La questione salariale
Articolo di Piero Fassino.
170.000 percettori del Reddito di Cittadinanza dal 1 di agosto non lo percepiranno più. Lo percepirà ancora, limitatamente al 31 dicembre 2023, solo chi ha nel proprio nucleo familiare un disabile o un minore o un ultrasessantenne. In ogni caso dal 1 gennaio del prossimo anno il Reddito di Cittadinanza cessa di esistere per tutti, sostituito da un "Assegno di inclusione" di importo tra i 480 e i 650 euro per un durata massima di 18 mesi, rinnovabile per altri 12.
Che il Reddito di Cittadinanza dovesse essere riformato, molti lo hanno sempre sostenuto, sottolineando in particolare l'insufficiente collegamento tra sostegno al reddito - indispensabile per chi non ha letteralmente di che vivere - e l'offerta di un lavoro. Così come non sono mancati abusi e usi distorti. E più volte si è ribadito che molto più efficace era il Reddito di inclusione, introdotto dal governo Gentiloni, che assegnandone ai Comuni risorse e responsabilità consentiva una gestione assai più trasparente dello strumento.
Queste considerazioni non possono tuttavia giustificare in alcun modo la decisione del Governo di interrompere di colpo - con un sms - l'erogazione del RdC a 170.000 beneficiari, dietro ciascuno dei quali sta una famiglia. Persone a cui viene tolto l’unica fonte di sostentamento in territori - in particolare il Mezzogiorno - segnati da alti livelli di inoccupazione e dove opportunità di un impiego legale e dignitoso sono scarse e soffocate dal lavoro nero e sottopagato.
Non solo, ma con colpevole latitanza il governo non ha attivato nessuno degli strumenti a suo tempo annunciati per favorire la collocazione al lavoro dei percettori del RdC, lasciando semplicemente che lo strumento arrivasse a scadenza.
Risultato: migliaia di persone che trovandosi di colpo senza alcuna forma di reddito si rivolgeranno ai centri per l'impiego o ai Comuni, i quali a loro volta non dispongono delle risorse per far fronte a una tale emergenza.
Non si fa la lotta alla povertà, facendo la lotta ai poveri.
Così come non si fa la lotta al lavoro sottopagato - spesso 3/4 euro all'ora - ostacolando in ogni modo la introduzione di un salario minimo legale, istituto in vigore in molti Paesi europei, a partire dalla Germania.
Così come colpisce che non si capisca - o non si voglia capire - che in Italia è ormai aperta una questione salariale che riguarda milioni e milioni di persone e famiglie.
Secondo i dati statistici l’80% dei lavoratori a tempo indeterminato ha un reddito netto mensile che sta in una forchetta 1200-1600 euro. Se poi si considerano i lavoratori a tempo determinato - in gran parte giovani - l'80% ha un salario netto che si situa tra i 600 e i 900 euro. Chiunque capisce che sono redditi con cui si stenta a vivere, soprattutto laddove lavori uno solo in famiglia.
E ancora: se poi l'analisi si sposta ai livelli pensionistici, emerge che 2/3 dei pensionati italiani gode di una pensione netta mensile che si situa tra i 700 e i 1200 euro.
D’altra parte è ormai sottolineato da tutti gli analisti che l'Italia è l'unica nazione europea che ha conosciuto in questi anni una riduzione consistente dei salari reali, a fronte di incrementi - anche cospicui - conosciuti nella quasi totalità de Paesi europei.
Se poi si aggiunge la erosione prodotta dall'inflazione sui redditi e i maggiori costi derivanti alle famiglie da riduzioni di servizi - a partire dai servizi sanitari - ci si può ben rendere conto di quanto in Italia si ponga una gigantesca questione di distribuzione della ricchezza. E quanto si imponga ormai come urgente la realizzazione di una "politica dei redditi" che attraverso più strumenti - contrattazione sindacale, riduzione oneri contributivi, salario minimo legale, politiche fiscali e parafiscali, politiche sociali - consenta un incremento del potere reale d'acquisto di salari, stipendi e pensioni e redditi dignitosi.
È questione di grande rilevo su cui fin dalla prossima legge di bilancio l'opposizione dovrà avanzare proposte - e il PD ne ha elaborate di significative - incalzando il governo perché non si sottragga al dovere di dare risposte corrispondenti alle aspettative dei cittadini.
170.000 percettori del Reddito di Cittadinanza dal 1 di agosto non lo percepiranno più. Lo percepirà ancora, limitatamente al 31 dicembre 2023, solo chi ha nel proprio nucleo familiare un disabile o un minore o un ultrasessantenne. In ogni caso dal 1 gennaio del prossimo anno il Reddito di Cittadinanza cessa di esistere per tutti, sostituito da un "Assegno di inclusione" di importo tra i 480 e i 650 euro per un durata massima di 18 mesi, rinnovabile per altri 12.
Che il Reddito di Cittadinanza dovesse essere riformato, molti lo hanno sempre sostenuto, sottolineando in particolare l'insufficiente collegamento tra sostegno al reddito - indispensabile per chi non ha letteralmente di che vivere - e l'offerta di un lavoro. Così come non sono mancati abusi e usi distorti. E più volte si è ribadito che molto più efficace era il Reddito di inclusione, introdotto dal governo Gentiloni, che assegnandone ai Comuni risorse e responsabilità consentiva una gestione assai più trasparente dello strumento.
Queste considerazioni non possono tuttavia giustificare in alcun modo la decisione del Governo di interrompere di colpo - con un sms - l'erogazione del RdC a 170.000 beneficiari, dietro ciascuno dei quali sta una famiglia. Persone a cui viene tolto l’unica fonte di sostentamento in territori - in particolare il Mezzogiorno - segnati da alti livelli di inoccupazione e dove opportunità di un impiego legale e dignitoso sono scarse e soffocate dal lavoro nero e sottopagato.
Non solo, ma con colpevole latitanza il governo non ha attivato nessuno degli strumenti a suo tempo annunciati per favorire la collocazione al lavoro dei percettori del RdC, lasciando semplicemente che lo strumento arrivasse a scadenza.
Risultato: migliaia di persone che trovandosi di colpo senza alcuna forma di reddito si rivolgeranno ai centri per l'impiego o ai Comuni, i quali a loro volta non dispongono delle risorse per far fronte a una tale emergenza.
Non si fa la lotta alla povertà, facendo la lotta ai poveri.
Così come non si fa la lotta al lavoro sottopagato - spesso 3/4 euro all'ora - ostacolando in ogni modo la introduzione di un salario minimo legale, istituto in vigore in molti Paesi europei, a partire dalla Germania.
Così come colpisce che non si capisca - o non si voglia capire - che in Italia è ormai aperta una questione salariale che riguarda milioni e milioni di persone e famiglie.
Secondo i dati statistici l’80% dei lavoratori a tempo indeterminato ha un reddito netto mensile che sta in una forchetta 1200-1600 euro. Se poi si considerano i lavoratori a tempo determinato - in gran parte giovani - l'80% ha un salario netto che si situa tra i 600 e i 900 euro. Chiunque capisce che sono redditi con cui si stenta a vivere, soprattutto laddove lavori uno solo in famiglia.
E ancora: se poi l'analisi si sposta ai livelli pensionistici, emerge che 2/3 dei pensionati italiani gode di una pensione netta mensile che si situa tra i 700 e i 1200 euro.
D’altra parte è ormai sottolineato da tutti gli analisti che l'Italia è l'unica nazione europea che ha conosciuto in questi anni una riduzione consistente dei salari reali, a fronte di incrementi - anche cospicui - conosciuti nella quasi totalità de Paesi europei.
Se poi si aggiunge la erosione prodotta dall'inflazione sui redditi e i maggiori costi derivanti alle famiglie da riduzioni di servizi - a partire dai servizi sanitari - ci si può ben rendere conto di quanto in Italia si ponga una gigantesca questione di distribuzione della ricchezza. E quanto si imponga ormai come urgente la realizzazione di una "politica dei redditi" che attraverso più strumenti - contrattazione sindacale, riduzione oneri contributivi, salario minimo legale, politiche fiscali e parafiscali, politiche sociali - consenta un incremento del potere reale d'acquisto di salari, stipendi e pensioni e redditi dignitosi.
È questione di grande rilevo su cui fin dalla prossima legge di bilancio l'opposizione dovrà avanzare proposte - e il PD ne ha elaborate di significative - incalzando il governo perché non si sottragga al dovere di dare risposte corrispondenti alle aspettative dei cittadini.