RSA in Lombardia: le regole che la Regione deve cambiare
Articolo di Carlo Borghetti pubblicato dal Quotidiano Sanità.
Mentre la tragedia dell’incendio nella RSA di Milano riempie ancora i giornali, e lo strazio è ancora forte in tutti noi per le vittime e i feriti, si moltiplicano i commenti intorno al tema dell’assistenza alle persone anziane non autosufficienti.
Premesso che si deve lavorare sulla intera filiera dell’assistenza (che oggi non esiste), dall’assistenza familiare con badanti all’assistenza domiciliare integrata e agli appartamenti protetti, dai centri diurni integrati alle residenze sanitarie assistite e agli hospice, voglio soffermarmi su qualche breve considerazione intorno alle RSA.
Ritengo che il dibattito “pro o contro” le RSA sia piuttosto surreale: il problema è “quale” RSA vogliamo, non se sia possibile farne a meno, dato che gli ospiti realmente “da RSA” non potrebbero essere assistiti diversamente, e solo una piccola quota di attuali ospiti (sempre più esigua) potrebbe essere assistita in servizi domiciliari appropriati.
Oggi che succede nelle RSA in Lombardia?
Si lamentano gli ospiti e le loro famiglie, e hanno ragione: le rette sono mediamente troppo care e i servizi non sempre di qualità adeguata; si lamentano i lavoratori, e hanno ragione: sono pagati troppo poco e il loro numero è spesso insufficiente per il carico di lavoro necessario; si lamentano i gestori, e hanno ragione: i loro bilanci sono in ginocchio (per i sovracosti portati dal Covid, il caro bollette e l’inflazione) e i contributi regionali sono praticamente fermi da anni.
Le regole per l’assistenza, che sono definite dalla Regione per legge, sono state fissate oltre vent’anni fa e sono ormai superate: prevedono 901 minuti settimanali di assistenza per ciascun ospite, da erogare complessivamente attraverso medici, infermieri, OSS, ASA, fisioterapisti ed educatori, senza specificare quant’è il tempo minimo che ciascuna di queste figure deve garantire. E così ci sono strutture che hanno un medico ogni 40 ospiti e altre che ne prevedono uno per 120 ospiti o più, ad esempio, ma tutte ricevono i medesimi contributi regionali pro-ospite.
Inoltre 901 minuti a settimana non bastano più, perché gli ospiti sono decisamente peggiorati nelle condizioni di salute che si registrano all’ingresso in RSA rispetto a venti o più anni fa, e dunque il mix di operatori non può essere lasciato indefinito e -peggio- tendere al ribasso. E in effetti molte RSA superano i 1100 minuti settimanali di assistenza, ma ricevono gli stessi contributi regionali di chi eroga 901 minuti.
La Regione riconosce dunque i medesimi contributi pro-ospite alle RSA indipendentemente dal mix di operatori in servizio e dai minuti di assistenza garantiti: una regola ingiusta, evidentemente da rivedere.
Anche gli standard strutturali sono definiti per legge dalla Regione e sono oggi superati, a oltre vent’anni dalla loro definizione, perché non rispondono più alle attuali esigenze di un’assistenza di qualità, che dovrebbe dedicare più spazi per la socialità degli ospiti (come i soggiorni) e garantire al contempo anche spazi adeguati per la loro privacy (abbassando il numero medio di persone per camera). Ma oggi le regole regionali non tengono conto di queste esigenze nell’autorizzare le strutture e nel definirne i contributi.
Circa la retta pagata dagli ospiti o dalle famiglie, la legge prevede che questa vada a coprire i costi assistenziali ed alberghieri, e non vada a coprire i costi dell’assistenza sanitaria (LEA), che deve essere a carico del Servizio Sanitario. In Lombardia, invece, non è così: una parte sempre crescente delle rette va a coprire parte dei costi sanitari dell’assistenza, con il paradosso che se un anziano riceve assistenza sanitaria in ospedale ovviamente non la paga, ma se la riceve in RSA se ne paga un pezzo, anche se non dovrebbe essere così. In questo caso le regole non vanno cambiate, ma vanno applicate.
Come si può fare dunque un passo avanti rispetto a queste problematiche che riguardano le RSA lombarde, mentre parallelamente ci auguriamo finalmente si sviluppi, anche grazie al PNRR, una vera filiera di servizi dal domicilio all’hospice?
Servono a mio parere quattro azioni urgenti, tutte di competenza proprio della Regione (rispetto alle quali abbiamo depositato più volte le nostre proposte):
1. definire nuovi standard regionali gestionali e strutturali per adeguarli alle attuali esigenze degli ospiti e migliorare la qualità assistenziale;
2. correlare il contributo che la Regione dà alle RSA a parametri qualitativi del servizio, superando l’attuale calcolo pro-ospite;
3. introdurre criteri di accreditamento che premiano le strutture che calmierano le rette e che migliorano le condizioni contrattuali applicate al personale;
4. aumentare molto significativamente nel bilancio regionale il budget dedicato all’assistenza degli anziani non autosufficienti in RSA.
Ovviamente le prime tre azioni dipendono in parte dalla quarta, e da anni lo diciamo, inascoltati, anche alla discussione di ogni Bilancio regionale: mentre il bisogno di servizi sociosanitari per minori, persone anziane o con disabilità cresce di anno in anno, la Regione sbaglia a continuare a dedicare la stessa quota di Bilancio per i servizi sociosanitari che dedicava quarant’anni fa, cioè solo il 10% di quanto stanzia per tutti i servizi per la Salute. Troppo poco.
“Non ci sono soldi”, qualcuno dirà a Palazzo Lombardia, ma la mia risposta qui è triplice:
1. più si investe nei servizi sociosanitari, più si prendono in carico le persone al manifestarsi della non autosufficienza, meno si spenderà poi nel servizio sanitario, evitando che queste persone finiscano in ospedale dove “costano” molto molto di più: dunque aumentando il budget dei servizi sociosanitari si risparmia in proporzione molto di più in Sanità;
2. la salute in generale e la salute dei nostri anziani è una priorità, e deve essere dunque anche una priorità di Bilancio;
3. deve aumentare in modo cospicuo il Fondo Sanitario Nazionale, aumentando così la quota-parte che viene trasferita alle Regioni.
Purtroppo nel Documento di Economia e Finanza approvato ad aprile dal Governo si rilevano però previsioni di definanziamento del nostro servizio sanitario drammatiche, data la crisi attuale del sistema: al contrario di quanto ci eravamo sentiti dire in campagna elettorale lo scorso settembre, infatti, si prevede un rapporto spesa sanitaria/PIL che scende dal 6,9% del 2022 al 6,2% nel 2025, mentre il target europeo cui dobbiamo puntare deve superare il 7%.
L’incendio di Milano chiede lutto, necessita di chiarire al più presto l’accaduto e le responsabilità, ma deve anche spingere la Regione e le altre istituzioni coinvolte a fare un deciso passo avanti per migliorare l’assistenza degli anziani in RSA, tutelare i lavoratori e sostenere i gestori che lo meritano: se non ora, quando?
Mentre la tragedia dell’incendio nella RSA di Milano riempie ancora i giornali, e lo strazio è ancora forte in tutti noi per le vittime e i feriti, si moltiplicano i commenti intorno al tema dell’assistenza alle persone anziane non autosufficienti.
Premesso che si deve lavorare sulla intera filiera dell’assistenza (che oggi non esiste), dall’assistenza familiare con badanti all’assistenza domiciliare integrata e agli appartamenti protetti, dai centri diurni integrati alle residenze sanitarie assistite e agli hospice, voglio soffermarmi su qualche breve considerazione intorno alle RSA.
Ritengo che il dibattito “pro o contro” le RSA sia piuttosto surreale: il problema è “quale” RSA vogliamo, non se sia possibile farne a meno, dato che gli ospiti realmente “da RSA” non potrebbero essere assistiti diversamente, e solo una piccola quota di attuali ospiti (sempre più esigua) potrebbe essere assistita in servizi domiciliari appropriati.
Oggi che succede nelle RSA in Lombardia?
Si lamentano gli ospiti e le loro famiglie, e hanno ragione: le rette sono mediamente troppo care e i servizi non sempre di qualità adeguata; si lamentano i lavoratori, e hanno ragione: sono pagati troppo poco e il loro numero è spesso insufficiente per il carico di lavoro necessario; si lamentano i gestori, e hanno ragione: i loro bilanci sono in ginocchio (per i sovracosti portati dal Covid, il caro bollette e l’inflazione) e i contributi regionali sono praticamente fermi da anni.
Le regole per l’assistenza, che sono definite dalla Regione per legge, sono state fissate oltre vent’anni fa e sono ormai superate: prevedono 901 minuti settimanali di assistenza per ciascun ospite, da erogare complessivamente attraverso medici, infermieri, OSS, ASA, fisioterapisti ed educatori, senza specificare quant’è il tempo minimo che ciascuna di queste figure deve garantire. E così ci sono strutture che hanno un medico ogni 40 ospiti e altre che ne prevedono uno per 120 ospiti o più, ad esempio, ma tutte ricevono i medesimi contributi regionali pro-ospite.
Inoltre 901 minuti a settimana non bastano più, perché gli ospiti sono decisamente peggiorati nelle condizioni di salute che si registrano all’ingresso in RSA rispetto a venti o più anni fa, e dunque il mix di operatori non può essere lasciato indefinito e -peggio- tendere al ribasso. E in effetti molte RSA superano i 1100 minuti settimanali di assistenza, ma ricevono gli stessi contributi regionali di chi eroga 901 minuti.
La Regione riconosce dunque i medesimi contributi pro-ospite alle RSA indipendentemente dal mix di operatori in servizio e dai minuti di assistenza garantiti: una regola ingiusta, evidentemente da rivedere.
Anche gli standard strutturali sono definiti per legge dalla Regione e sono oggi superati, a oltre vent’anni dalla loro definizione, perché non rispondono più alle attuali esigenze di un’assistenza di qualità, che dovrebbe dedicare più spazi per la socialità degli ospiti (come i soggiorni) e garantire al contempo anche spazi adeguati per la loro privacy (abbassando il numero medio di persone per camera). Ma oggi le regole regionali non tengono conto di queste esigenze nell’autorizzare le strutture e nel definirne i contributi.
Circa la retta pagata dagli ospiti o dalle famiglie, la legge prevede che questa vada a coprire i costi assistenziali ed alberghieri, e non vada a coprire i costi dell’assistenza sanitaria (LEA), che deve essere a carico del Servizio Sanitario. In Lombardia, invece, non è così: una parte sempre crescente delle rette va a coprire parte dei costi sanitari dell’assistenza, con il paradosso che se un anziano riceve assistenza sanitaria in ospedale ovviamente non la paga, ma se la riceve in RSA se ne paga un pezzo, anche se non dovrebbe essere così. In questo caso le regole non vanno cambiate, ma vanno applicate.
Come si può fare dunque un passo avanti rispetto a queste problematiche che riguardano le RSA lombarde, mentre parallelamente ci auguriamo finalmente si sviluppi, anche grazie al PNRR, una vera filiera di servizi dal domicilio all’hospice?
Servono a mio parere quattro azioni urgenti, tutte di competenza proprio della Regione (rispetto alle quali abbiamo depositato più volte le nostre proposte):
1. definire nuovi standard regionali gestionali e strutturali per adeguarli alle attuali esigenze degli ospiti e migliorare la qualità assistenziale;
2. correlare il contributo che la Regione dà alle RSA a parametri qualitativi del servizio, superando l’attuale calcolo pro-ospite;
3. introdurre criteri di accreditamento che premiano le strutture che calmierano le rette e che migliorano le condizioni contrattuali applicate al personale;
4. aumentare molto significativamente nel bilancio regionale il budget dedicato all’assistenza degli anziani non autosufficienti in RSA.
Ovviamente le prime tre azioni dipendono in parte dalla quarta, e da anni lo diciamo, inascoltati, anche alla discussione di ogni Bilancio regionale: mentre il bisogno di servizi sociosanitari per minori, persone anziane o con disabilità cresce di anno in anno, la Regione sbaglia a continuare a dedicare la stessa quota di Bilancio per i servizi sociosanitari che dedicava quarant’anni fa, cioè solo il 10% di quanto stanzia per tutti i servizi per la Salute. Troppo poco.
“Non ci sono soldi”, qualcuno dirà a Palazzo Lombardia, ma la mia risposta qui è triplice:
1. più si investe nei servizi sociosanitari, più si prendono in carico le persone al manifestarsi della non autosufficienza, meno si spenderà poi nel servizio sanitario, evitando che queste persone finiscano in ospedale dove “costano” molto molto di più: dunque aumentando il budget dei servizi sociosanitari si risparmia in proporzione molto di più in Sanità;
2. la salute in generale e la salute dei nostri anziani è una priorità, e deve essere dunque anche una priorità di Bilancio;
3. deve aumentare in modo cospicuo il Fondo Sanitario Nazionale, aumentando così la quota-parte che viene trasferita alle Regioni.
Purtroppo nel Documento di Economia e Finanza approvato ad aprile dal Governo si rilevano però previsioni di definanziamento del nostro servizio sanitario drammatiche, data la crisi attuale del sistema: al contrario di quanto ci eravamo sentiti dire in campagna elettorale lo scorso settembre, infatti, si prevede un rapporto spesa sanitaria/PIL che scende dal 6,9% del 2022 al 6,2% nel 2025, mentre il target europeo cui dobbiamo puntare deve superare il 7%.
L’incendio di Milano chiede lutto, necessita di chiarire al più presto l’accaduto e le responsabilità, ma deve anche spingere la Regione e le altre istituzioni coinvolte a fare un deciso passo avanti per migliorare l’assistenza degli anziani in RSA, tutelare i lavoratori e sostenere i gestori che lo meritano: se non ora, quando?
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