La Brianza del 2050
Articolo di Aldo Bonomi pubblicato da Il Sole 24 Ore.
La Brianza è sempre stata uno dei laboratori della civilizzazione materiale di un’Italia intermedia, pur nella particolarità del suo rapporto con Milano della cui area metropolitana è sempre stata parte integrante. Provincia non metropolitana con la più alta densità abitativa e allo stesso tempo la più bassa quota di comuni con meno di 5mila abitanti; soprattutto territorio d’impresa con 186 unità produttive per Kmq, 400mila occupati (largamente al di sopra del dato pre-Covid), un Pil di 26 miliardi di cui l’export vale il 50 % e un manifatturiero che cuba il 27 % del valore aggiunto con specializzazioni che vanno dall’high-tech al design passando dalla meccatronica e l’8 % del Pil e il 7,4 % dei brevetti lombardi.
Proprio qui l’associazione degli industriali prova a guardare lungo, immaginando addirittura la Brianza al 2050 e ponendo il problema di come si fa rappresentanza partendo dai concetti di spazio e di tempo. Un tentativo di «ricordare il futuro», immettendovi le tracce della storia precedente in un movimento senza strappi tra il «non più» del capitalismo molecolare e il«non ancora» di un capitalismo delle reti e delle piattaforme digitali. Oggi la Brianza sta nel mezzo, espressione di un capitalismo intermedio fatto di imprese medio-grandi capofila di filiere, in una metamorfosi dai distretti al modello della piattaforma. Mentre prima la Brianza poteva anche essere raccontata limitandosi alla piattaforma manifatturiera, oggi per capirne la metamorfosi va raccontata come intreccio di connessioni tra manifatturiero e piattaforma digitale, trasformazione dell’agricoltura e della terra in piattaforma ambientale, come piattaforma turistica e della cultura con La Villa Reale, fino ad intrecciare la piattaforma del terzo settore e del welfare di comunità.
La Brianza è policentrismo urbano-regionale, una rete di città-distretto da Cantù, Meda a Vimercate, città medie come Monza, ma anche parte costituente di una Milano città infinita in scomposizione e ricomposizione, tenuta assieme dalla dimensione emergente del capitalismo delle reti e da infrastrutture che sono anche i beni collettivi che legano orizzontalmente e verticalmente territorio e imprese. E qui sta una prima discontinuità di cui tenere conto: oggi anche in Brianza la società di mezzo si sta trasformando in una poliarchia funzionale composta non solo dalle rappresentanze degli interessi, ma da fondazioni, università, utilities, logistica, terzo settore, attori che acquisiscono funzioni dirette di governance territoriale. Nel primo postfordismo eravamo abituati a rappresentanze «corporative» che ragionavano del rapporto tra senso e reddito, tra passioni e interessi ma oggi occorre mettere al centro la trasformazione e dilatazione delle due coordinate fondative dello sviluppo, lo spazio e il tempo, il rapporto tra terra come bene naturale e territorio come costruzione sociale.
Il tempo che verrà si affronta costruendo connessioni e nuovi patti di soggetti molteplici dentro e tra le piattaforme dando gambe ad una visione dello sviluppo territoriale che nel caso della Brianza metta assieme città-distretto, città medie e area metropolitana di Milano. A Monza si è ragionato di imprese che sentono il limite strutturale della demografia, l’invecchiamento, l’accelerazione tecnologica e la crisi ecologica. Tematiche che scavano anche nel tessuto diffuso e vivo dell’artigianato. Agire sulla filiera della formazione è importante per mediare il rapporto tra piattaforma manifatturiera e digitale. Altrettanto importante è riconnettere l’impresa al cambiamento profondo dell’antropologia brianzola, con le nuove generazioni che non hanno più solo la cultura del capitalismo molecolare. Si fa rappresentanza delle discontinuità del tempo e dello spazio ripartendo da come sono cambiate le imprese, passate da una cultura della catena del valore, al modello della ragnatela del valore.
E siccome sulle reti lunghe si compete come sistemi territoriali, va capito come la nuova poliarchia funzionale tenga assieme le tre Brianze: la Brianza orientale che va verso Lecco, importante per la connessione tra piattaforma manifatturiera e digitale con STMicroelectronics che ad Agrate ha 5200 «operai-ricercatori»; la Brianza occidentale che va verso Como senza la quale non c’è il Salone del Mobile; Monza città media potenziale pivot e porta della città infinita in ricomposizione insieme a Mind, MilanoSesto, i grandi nodi della logistica verso Lodi e Piacenza.
In un recente intervento su Milano, Antonio Calabrò ne ha tratteggiato le eccellenze in divenire. Con lui, ci siamo confrontati sulla città come oligarchia o sul suo divenire la Milano della poliarchica. Un punto che riguarda anche la Brianza. La verticalità del rapporto con Milano deve accompagnarsi con una strategia orizzontale verso le città medie.Verso il 2050 si arriva con la poliarchia.
La Brianza è sempre stata uno dei laboratori della civilizzazione materiale di un’Italia intermedia, pur nella particolarità del suo rapporto con Milano della cui area metropolitana è sempre stata parte integrante. Provincia non metropolitana con la più alta densità abitativa e allo stesso tempo la più bassa quota di comuni con meno di 5mila abitanti; soprattutto territorio d’impresa con 186 unità produttive per Kmq, 400mila occupati (largamente al di sopra del dato pre-Covid), un Pil di 26 miliardi di cui l’export vale il 50 % e un manifatturiero che cuba il 27 % del valore aggiunto con specializzazioni che vanno dall’high-tech al design passando dalla meccatronica e l’8 % del Pil e il 7,4 % dei brevetti lombardi.
Proprio qui l’associazione degli industriali prova a guardare lungo, immaginando addirittura la Brianza al 2050 e ponendo il problema di come si fa rappresentanza partendo dai concetti di spazio e di tempo. Un tentativo di «ricordare il futuro», immettendovi le tracce della storia precedente in un movimento senza strappi tra il «non più» del capitalismo molecolare e il«non ancora» di un capitalismo delle reti e delle piattaforme digitali. Oggi la Brianza sta nel mezzo, espressione di un capitalismo intermedio fatto di imprese medio-grandi capofila di filiere, in una metamorfosi dai distretti al modello della piattaforma. Mentre prima la Brianza poteva anche essere raccontata limitandosi alla piattaforma manifatturiera, oggi per capirne la metamorfosi va raccontata come intreccio di connessioni tra manifatturiero e piattaforma digitale, trasformazione dell’agricoltura e della terra in piattaforma ambientale, come piattaforma turistica e della cultura con La Villa Reale, fino ad intrecciare la piattaforma del terzo settore e del welfare di comunità.
La Brianza è policentrismo urbano-regionale, una rete di città-distretto da Cantù, Meda a Vimercate, città medie come Monza, ma anche parte costituente di una Milano città infinita in scomposizione e ricomposizione, tenuta assieme dalla dimensione emergente del capitalismo delle reti e da infrastrutture che sono anche i beni collettivi che legano orizzontalmente e verticalmente territorio e imprese. E qui sta una prima discontinuità di cui tenere conto: oggi anche in Brianza la società di mezzo si sta trasformando in una poliarchia funzionale composta non solo dalle rappresentanze degli interessi, ma da fondazioni, università, utilities, logistica, terzo settore, attori che acquisiscono funzioni dirette di governance territoriale. Nel primo postfordismo eravamo abituati a rappresentanze «corporative» che ragionavano del rapporto tra senso e reddito, tra passioni e interessi ma oggi occorre mettere al centro la trasformazione e dilatazione delle due coordinate fondative dello sviluppo, lo spazio e il tempo, il rapporto tra terra come bene naturale e territorio come costruzione sociale.
Il tempo che verrà si affronta costruendo connessioni e nuovi patti di soggetti molteplici dentro e tra le piattaforme dando gambe ad una visione dello sviluppo territoriale che nel caso della Brianza metta assieme città-distretto, città medie e area metropolitana di Milano. A Monza si è ragionato di imprese che sentono il limite strutturale della demografia, l’invecchiamento, l’accelerazione tecnologica e la crisi ecologica. Tematiche che scavano anche nel tessuto diffuso e vivo dell’artigianato. Agire sulla filiera della formazione è importante per mediare il rapporto tra piattaforma manifatturiera e digitale. Altrettanto importante è riconnettere l’impresa al cambiamento profondo dell’antropologia brianzola, con le nuove generazioni che non hanno più solo la cultura del capitalismo molecolare. Si fa rappresentanza delle discontinuità del tempo e dello spazio ripartendo da come sono cambiate le imprese, passate da una cultura della catena del valore, al modello della ragnatela del valore.
E siccome sulle reti lunghe si compete come sistemi territoriali, va capito come la nuova poliarchia funzionale tenga assieme le tre Brianze: la Brianza orientale che va verso Lecco, importante per la connessione tra piattaforma manifatturiera e digitale con STMicroelectronics che ad Agrate ha 5200 «operai-ricercatori»; la Brianza occidentale che va verso Como senza la quale non c’è il Salone del Mobile; Monza città media potenziale pivot e porta della città infinita in ricomposizione insieme a Mind, MilanoSesto, i grandi nodi della logistica verso Lodi e Piacenza.
In un recente intervento su Milano, Antonio Calabrò ne ha tratteggiato le eccellenze in divenire. Con lui, ci siamo confrontati sulla città come oligarchia o sul suo divenire la Milano della poliarchica. Un punto che riguarda anche la Brianza. La verticalità del rapporto con Milano deve accompagnarsi con una strategia orizzontale verso le città medie.Verso il 2050 si arriva con la poliarchia.