Con Artweek in tanti hanno (ri)scoperto Cremona
Articolo di Luca Burgazzi pubblicato da Cremona Sera.
“Homo sum, humani nihil a me alienum puto” mi sia concesso, come incipit di questo mio intervento, prendere a prestito una citazione sicuramente usata e forse abusata da molti, ma proprio per questo ancora capace di dirci qualcosa.
“Sono uomo, niente di ciò che è umano ritengo estraneo a me” così diceva il vecchio Cremete nella commedia di Terenzio e oggi possiamo dirlo di tutte le esperienze culturali che nascono e crescono anche nella nostra città.
La settimana, appena conclusa, dell'arte contemporanea non può quindi prescindere da questo punto di vista. Una ricorsa all'effimero o qualcosa di più profondo? Una semplice moda social o qualcosa di più significativo? Provo qui a dare una mia risposta, ringraziando la redazione di CremonaSera per aver ospitato questo dibattito.
Abbiamo tutti visto le migliaia di persone, a dispetto anche dei soliti pessimisti, che hanno attraversato la nostra città.
Molti sono coloro che sono entrati in luoghi fino ad allora sconosciuti, scoprendo spazi e vie nuove, ma soprattutto hanno scoperto una città molto più accogliente di quanto noi stessi cittadini vogliamo ammettere e riconoscere.
In questo senso l'ArtWeek ha funzionato oltre ad ogni più rosea aspettativa, non solo in termini di presenze da fuori città, ma credo abbia funzionato prima di tutto tra i nostri concittadini.
Molti hanno (ri)scoperto la propria città, il suo patrimonio culturale e anche la sua bellezza forse data troppo per scontata o peggio misconosciuta.
Credo, tuttavia, che questa esperienza culturale (aboliamo la parola evento, ove possibile!) abbia lasciato una prospettiva più profonda.
Ha aperto un dibattito in città.
Ha finalmente fatto incontrare, e forse scontrare, generazioni diverse, con idee diverse e anche punti di vista differenti. In questo senso credo che il valore di questa manifestazione sia ancora più alto.
Sono fermamente convinto che dopo ogni esperienza culturale si debba “uscire” da questa con qualche domanda in più, rispetto a qualche risposta in meno.
Può sembrare paradossale nella nostra società, ormai sempre più allergica alle domande, ma sempre alla continua e costante ricerca di risposte semplici, immediate ed efficaci.
È anche grazie all'ArtWeek che possiamo dire che queste risposte non ci sono, o meglio, per arrivare a quelle risposte occorre fatica, studio, dibattito e ricerca.
In questa prospettiva anche il famigerato coccodrillo di Cattelan si inserisce in una chiave, non solo di promozione, fotografie e selfie (questi peraltro sono aspetti umani a cui le persone di cultura non possono essere estranei), ma di profonda riflessione, come è testimoniato dai vari editoriali di questi giorni.
Non sono uno storico dell'arte per ricostruire le varie presenze di coccodrilli all'interno dell'arte sacra, ma mi preme sottolineare un aspetto che ritengo molto interessante; nel corso della nostra storia cittadina, la cattedrale e più in generale il complesso monumentale del Duomo hanno rappresentato un punto nevralgico della vita non solo religiosa, ma politico e sociale della nostra città.
Questa sicuramente non è una peculiarità esclusiva di Cremona, ma il legame era (ed è) davvero importante, tanto da identificare la città stessa nei sigilli comunali con la facciata della cattedrale.
Elemento non da poco, considerata anche la rissosità dei cremonesi nei confronti dei loro vescovi!
Oggi, a distanza di secoli, sono ancora quei monumenti a porci domande e innescare un dibattito. Sono ancora quei luoghi a stimolare la riflessione ed ergersi a simbolo di un'intera comunità.
Certamente ha ragione Francesco Martelli quando si pone il quesito di cosa voglia dire oggi l'arte sacra contemporanea e credo sia doveroso, prima o poi, porsi questo tema anche in campo musicale, ma è innegabile che quei monumenti storici provocano ancora.
Credo, infatti, che non sia il coccodrillo a provocare, anzi è il Battistero; è il patrimonio culturale che non ha paura di confrontarsi con il contemporaneo a farlo!
Non credo sia un elemento da poco.
Ecco perché trovo sbagliato parlare di sacralità/de sacralità o peggio profanazione come spesso leggiamo in qualche commento poco ragionato e anche poco attento alla Storia (forse ci scandalizzerebbe leggere cosa era considerato sacro ai tempi della costruzione del battistero!).
Non si tratta di ricerca del nuovismo solo per scandalizzare, al contrario, significa riaffermare la centralità di un luogo e di come quel luogo oggi sia ancora attuale, vivo e contemporaneo.
Anche come credente non posso che essere contento di questo.
Infine chiudo su un ultimo passaggio: tutti gli artisti contemporanei coinvolti sono giovanissimi, ma hanno lavorato nella produzione di opere proprio in dialogo con l'antico. Non in una logica di competizione, ma di confronto. Una sfida questa che penso appassioni chiunque si occupi di cultura ed in particolare di arte. Il patrimonio antico è diventato parte dell'opera artistica e non semplicemente un luogo espositivo. Elemento che forse ci è sfuggito nella furia, a tratti censoria, che spesso prende piede quando si parla di contemporaneo.
Ecco, l'Artweek credo ci abbia posto molte domande, poche risposte, ma forse proprio per questo è stata un successo. Va riconosciuto alla curatrice Rossella Farinotti il merito di un delicato quanto profondo lavoro di connessione, così come va riconosciuta una bella sinergia tra le varie istituzioni della città che hanno saputo anche su questo versante lavorare insieme.
La città di Cremona ha bisogno di domande proprio per non cadere in uno stato di contemplativa sonnolenza, ma ha la necessità interrogarsi su cosa sia l'antico oggi e su come questo possa ancora rappresentare un elemento generativo di arte di e cultura.
Appuntamento quindi alla prossima edizione di Cremona ArtWeek 2024.
“Homo sum, humani nihil a me alienum puto” mi sia concesso, come incipit di questo mio intervento, prendere a prestito una citazione sicuramente usata e forse abusata da molti, ma proprio per questo ancora capace di dirci qualcosa.
“Sono uomo, niente di ciò che è umano ritengo estraneo a me” così diceva il vecchio Cremete nella commedia di Terenzio e oggi possiamo dirlo di tutte le esperienze culturali che nascono e crescono anche nella nostra città.
La settimana, appena conclusa, dell'arte contemporanea non può quindi prescindere da questo punto di vista. Una ricorsa all'effimero o qualcosa di più profondo? Una semplice moda social o qualcosa di più significativo? Provo qui a dare una mia risposta, ringraziando la redazione di CremonaSera per aver ospitato questo dibattito.
Abbiamo tutti visto le migliaia di persone, a dispetto anche dei soliti pessimisti, che hanno attraversato la nostra città.
Molti sono coloro che sono entrati in luoghi fino ad allora sconosciuti, scoprendo spazi e vie nuove, ma soprattutto hanno scoperto una città molto più accogliente di quanto noi stessi cittadini vogliamo ammettere e riconoscere.
In questo senso l'ArtWeek ha funzionato oltre ad ogni più rosea aspettativa, non solo in termini di presenze da fuori città, ma credo abbia funzionato prima di tutto tra i nostri concittadini.
Molti hanno (ri)scoperto la propria città, il suo patrimonio culturale e anche la sua bellezza forse data troppo per scontata o peggio misconosciuta.
Credo, tuttavia, che questa esperienza culturale (aboliamo la parola evento, ove possibile!) abbia lasciato una prospettiva più profonda.
Ha aperto un dibattito in città.
Ha finalmente fatto incontrare, e forse scontrare, generazioni diverse, con idee diverse e anche punti di vista differenti. In questo senso credo che il valore di questa manifestazione sia ancora più alto.
Sono fermamente convinto che dopo ogni esperienza culturale si debba “uscire” da questa con qualche domanda in più, rispetto a qualche risposta in meno.
Può sembrare paradossale nella nostra società, ormai sempre più allergica alle domande, ma sempre alla continua e costante ricerca di risposte semplici, immediate ed efficaci.
È anche grazie all'ArtWeek che possiamo dire che queste risposte non ci sono, o meglio, per arrivare a quelle risposte occorre fatica, studio, dibattito e ricerca.
In questa prospettiva anche il famigerato coccodrillo di Cattelan si inserisce in una chiave, non solo di promozione, fotografie e selfie (questi peraltro sono aspetti umani a cui le persone di cultura non possono essere estranei), ma di profonda riflessione, come è testimoniato dai vari editoriali di questi giorni.
Non sono uno storico dell'arte per ricostruire le varie presenze di coccodrilli all'interno dell'arte sacra, ma mi preme sottolineare un aspetto che ritengo molto interessante; nel corso della nostra storia cittadina, la cattedrale e più in generale il complesso monumentale del Duomo hanno rappresentato un punto nevralgico della vita non solo religiosa, ma politico e sociale della nostra città.
Questa sicuramente non è una peculiarità esclusiva di Cremona, ma il legame era (ed è) davvero importante, tanto da identificare la città stessa nei sigilli comunali con la facciata della cattedrale.
Elemento non da poco, considerata anche la rissosità dei cremonesi nei confronti dei loro vescovi!
Oggi, a distanza di secoli, sono ancora quei monumenti a porci domande e innescare un dibattito. Sono ancora quei luoghi a stimolare la riflessione ed ergersi a simbolo di un'intera comunità.
Certamente ha ragione Francesco Martelli quando si pone il quesito di cosa voglia dire oggi l'arte sacra contemporanea e credo sia doveroso, prima o poi, porsi questo tema anche in campo musicale, ma è innegabile che quei monumenti storici provocano ancora.
Credo, infatti, che non sia il coccodrillo a provocare, anzi è il Battistero; è il patrimonio culturale che non ha paura di confrontarsi con il contemporaneo a farlo!
Non credo sia un elemento da poco.
Ecco perché trovo sbagliato parlare di sacralità/de sacralità o peggio profanazione come spesso leggiamo in qualche commento poco ragionato e anche poco attento alla Storia (forse ci scandalizzerebbe leggere cosa era considerato sacro ai tempi della costruzione del battistero!).
Non si tratta di ricerca del nuovismo solo per scandalizzare, al contrario, significa riaffermare la centralità di un luogo e di come quel luogo oggi sia ancora attuale, vivo e contemporaneo.
Anche come credente non posso che essere contento di questo.
Infine chiudo su un ultimo passaggio: tutti gli artisti contemporanei coinvolti sono giovanissimi, ma hanno lavorato nella produzione di opere proprio in dialogo con l'antico. Non in una logica di competizione, ma di confronto. Una sfida questa che penso appassioni chiunque si occupi di cultura ed in particolare di arte. Il patrimonio antico è diventato parte dell'opera artistica e non semplicemente un luogo espositivo. Elemento che forse ci è sfuggito nella furia, a tratti censoria, che spesso prende piede quando si parla di contemporaneo.
Ecco, l'Artweek credo ci abbia posto molte domande, poche risposte, ma forse proprio per questo è stata un successo. Va riconosciuto alla curatrice Rossella Farinotti il merito di un delicato quanto profondo lavoro di connessione, così come va riconosciuta una bella sinergia tra le varie istituzioni della città che hanno saputo anche su questo versante lavorare insieme.
La città di Cremona ha bisogno di domande proprio per non cadere in uno stato di contemplativa sonnolenza, ma ha la necessità interrogarsi su cosa sia l'antico oggi e su come questo possa ancora rappresentare un elemento generativo di arte di e cultura.
Appuntamento quindi alla prossima edizione di Cremona ArtWeek 2024.