La precarietà stride con la crescita
Intervento di Sergio Mattarella (video).
Celebriamo il valore della giornata del 1° maggio con necessario anticipo, nel cuore del distretto della Meccatronica, qui a Reggio Emilia.
Dopo l’anno scorso, a Udine, anticipiamo anche questa volta la celebrazione della Festa del Lavoro in un luogo di lavoro che guarda all’innovazione.
Una realtà che ribadisce il valore costituzionale del lavoro e che sottolinea, al contempo, come esso si confermi il motore della crescita e della coesione sociale della Repubblica.
È il lavoro che ci mette di fronte alle sfide nuove, alle necessità e a bisogni emergenti, per chiederci come rilanciare il nostro Paese in Europa e nel mondo.
Il lavoro è stato lo strumento che ha permesso e favorito la mobilità sociale.
È stato ed è misura del contributo ai doveri inderogabili di solidarietà tracciati dalla Costituzione.
Il lavoro è ciò che mette ogni cittadino nella condizione di scegliere il proprio posto nella vita della comunità.
E il lavoro riguarda le persone.
Quel capitale umano che è all’origine dell’esperienza che qui, oggi, viene messa in rilievo con l’immagine della fabbrica come “cantiere permanente” evocata dalla Presidente Anceschi.
Un cantiere in cui, ogni giorno, si guarda avanti, non accontentandosi della difesa, del galleggiamento, di una visione di mera conservazione del tessuto industriale esistente.
Certo, serve, come è stato osservato, un eco-sistema adeguato, che permetta alle imprese di generare valore e occupazione, di far crescere la produttività attraverso i necessari investimenti.
Di creare, come qui è avvenuto, filiere produttive accompagnate da dialogo sociale e da rapporto costruttivo con le istituzioni.
Il riferimento al Patto del Lavoro sottoscritto fra Regione Emilia-Romagna, forze sociali e istituzioni, le Università, viene alla mente immediatamente, con la varietà delle iniziative che ne sono derivate.
Il confronto con l’integrazione del mercato in Europa e poi globale, con i risultati di crescita a doppia cifra dell’export - confermato anche nei momenti più avversi della congiuntura dopo la folle guerra scatenata dalla Federazione Russa in Ucraina - e nonostante l’aumento dei costi dell’energia e delle materie prime, ribadisce il valore del modello dei distretti industriali presenti nel nostro Paese.
È ulteriormente incoraggiante, sul piano generale, la crescita del PIL oltre le previsioni.
Il distretto come esso stesso catena di valore.
Fabbrica, a un tempo, diffusa e integrata, alla prova, ormai - e non a caso siamo sul terreno della meccatronica - della gestione della governance dei dati, come ci ha ricordato il presidente Rocchi e, alla prova, inevitabilmente, dell’intelligenza artificiale, con i benefici e le incognite che ne scaturiscono.
Tutto questo nella consapevolezza che ne deriva una trasformazione del lavoro e che dà origine contemporaneamente - come risultante del dialogo fra le parti sociali - a nuovi diritti, come quello, richiamato, di un vero e proprio diritto soggettivo alla formazione in capo al lavoratore, per difendere l’occupazione.
Si affaccia un nuovo mondo del lavoro e si affianca a quello esistente e dobbiamo saper inverare i principi costituzionali nei nuovi modelli produttivi con eguale saldezza.
Ci troviamo – ripeto - in un ambito territoriale di eccellenza della nostra industria, che ha già saputo porsi, ad esempio, il tema della industrializzazione della nuova mobilità e dei processi che dovranno caratterizzarla, senza complessi di inferiorità rispetto ad aree di altri Paesi.
Una grande capacità di innovazione resa possibile dalla passione degli imprenditori, dal contributo dei lavoratori alla vita e agli obiettivi dell’impresa, al rapporto con il mondo della ricerca.
Se siamo usciti a testa alta dalla pandemia, e dalle più pesanti conseguenze sociali dovute al prolungato rallentamento delle attività, lo dobbiamo anche alla forza della nostra industria manifatturiera e, dentro di essa, alle aziende più innovative protese sui mercati internazionali.
Esempio di quanto la fiducia e la determinazione possono permettere di raggiungere.
E l’immagine del cantiere riporta al Cantiere Italia, al cantiere del PNRR, con la ineguagliabile opportunità che offre per ridurre e colmare ritardi strutturali, per sostenere strategie di crescita e per favorire, con l’innovazione, più diffuse opportunità.
Opportunità che interpellano il sistema delle imprese per mettere a terra le diverse iniziative.
La memoria riporta ad altri momenti significativi del dibattito per trasformare l’economia italiana e per puntare alla piena occupazione.
Dal Piano del lavoro proposto dalla Cgil di Di Vittorio nel 1949 alla proposta di Schema di sviluppo dell’occupazione e del reddito in Italia nel 1955, voluto dal Ministro Vanoni, di cui ricorrono, quest’anno, 120 anni dalla nascita.
Quello statista aveva indicato come obiettivi da perseguire quelli della piena occupazione, della riduzione degli squilibri Nord-Sud, del risanamento del bilancio dello Stato.
Uno sforzo che partiva dalla convinzione di come il mondo del lavoro fosse la locomotiva di un Paese che vuole avanzare.
Partiva dalla consapevolezza che il lavoro costituisce indice di dignità.
Del rapporto stretto che interviene tra lavoro, coesione sociale e saldezza delle istituzioni e, dunque, della democrazia.
Lavoro, dunque, per un esercizio pieno dei diritti di cittadinanza.
Lavoro come antidoto, come strumento efficace per combattere in modo proficuo discriminazioni e illegalità diffuse.
Il lavoro è parametro che permette di misurare l’effettivo livello di parità, sul terreno della occupazione e dei salari, tra donne e uomini. Al fine di verificare il rispetto di quanto disposto dall’art. 37 della nostra Costituzione: “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione”.
L’unità del Paese significa anche unità sostanziale sul piano delle opportunità di lavoro.
Significa impegno per rimuovere le disuguaglianze territoriali.
Presidiare e promuovere l’unità significa anche tutto questo.
Il lavoro è indice di dignità perché è strettamente collegato al progetto di vita di ogni persona.
E, allora, mentre talvolta affiora la tentazione di arrendersi all’idea che possa esistere il lavoro povero, la cui remunerazione non permette di condurre una esistenza decente, è necessario affermare con forza, invece, il carattere del lavoro come primo, elementare, modo costruttivo di redistribuzione del reddito prodotto.
Il Primo Maggio, che qui celebriamo per tutta Italia, è la festa quindi della dignità del lavoro.
È la festa della Repubblica fondata sul lavoro.
Il lavoro è un diritto. Luigi Einaudi – rigoroso maestro liberale di economia - in risposta all’appello di Giorgio La Pira, definito “in difesa della povera gente”, in cui indicava la lotta alla disoccupazione e lo sradicamento della miseria come impegno primario dello Stato - siamo nel 1950 - affermava che “lo Stato moderno ha come primo compito di non creare disoccupazione e miseria”, elencando i motivi che le aggravano.
Il lavoro è anche un dovere.
Ce lo ricorda l’art.4 della Costituzione: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”.
Per proseguire: “Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.
Ecco perché favorire l’ingresso nel mondo del lavoro è compito delle autorità pubbliche preposte che devono creare le condizioni affinché le imprese possano svilupparsi.
E l’intervento del Ministro del lavoro – che ringrazio - manifesta questa consapevolezza.
Ma, come noto, il richiamo ai valori fondanti della nostra società è ben più impegnativo.
La Repubblica – sappiamo - è “fondata sul lavoro”.
Abbiamo adempiuto appieno a questo precetto?
Abbiamo saputo, nei 75 anni di Costituzione repubblicana, promuovere sempre le condizioni per rendere effettivo per tutti il diritto al lavoro?
È una missione che non appartiene soltanto ad alcuni ma riguarda l’intera società.
Ancora, trovano piena applicazione l’art.36 della Costituzione: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”?
L’art. 37, che prima ho ricordato, per la parità tra donne e uomini nel lavoro, afferma anche che “La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato”. E che “La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione”.
Un recente rapporto ha posto in evidenza come il lavoro minorile sfruttato sia ancora una piaga presente.
Lo sfruttamento ai danni dei minori costituisce un grave furto di futuro, sottraendo questi ragazzi alla scuola e spingendoli verso la marginalità.
È un tema che riguarda anche la condizione di molti lavoratori immigrati.
Altro aspetto da porre in primo piano è quello degli infortuni sul lavoro, che distruggono vite, gettano nella disperazione famiglie, provocano danni irreversibili, con costi umani inaccettabili.
Sappiamo bene che anche le battaglie del movimento sindacale dei lavoratori hanno contribuito in modo significativo a raggiungere traguardi di progresso sociale evidenti e che l’Italia, nella sua trasformazione, ha compiuto giganteschi passi di crescita e di sviluppo.
Ma sappiamo anche che le contraddizioni tendono sovente a riprodursi, come in ogni vicenda umana.
C’è amarezza in chi constata che la piena occupazione, specie per i giovani e le donne, è di là da venire. Così come nel Mezzogiorno.
Persistono frammentazione e precarietà, condizioni di lavoro insicure, divari salariali,; si registra un costo della vita in aumento, in funzione anche delle tensioni internazionali in atto.
Stagnazione salariale e sicurezza sul lavoro, nonostante i passi compiuti, sono temi in perenne discussione.
I rappresentanti sindacali - Bigoni e Perrone - che hanno preso la parola, lo hanno dichiarato e denunciato.
A quale lavoro pensiamo?
Le imprese cercano personale qualificato e formato.
La precarietà come sistema stride con le finalità di crescita e di sviluppo.
Se le cifre sono preoccupanti e note, e denunciano in Italia un alto tasso di inattività rispetto ai parametri europei, una risposta adeguata può venire soltanto da un concreto impegno di mobilitazione collettiva che sappia valorizzare il grande patrimonio di competenze presente nel nostro Paese.
Ampliare la base del lavoro, e la sua qualità, deve essere assillo costante a ogni livello, a partire dalle istituzioni.
Naturalmente, non sarà possibile creare nuovo lavoro, sostenere le innovazioni necessarie, affrontare con coraggio e creatività la competizione dei mercati senza il protagonismo delle imprese, grandi, medie e piccole.
Senza la partecipazione dei lavoratori e dei sindacati, senza il contributo del Terzo settore, senza l’apporto del mondo delle professioni.
Il Primo maggio di quest’anno conferma i grandi valori che ispirano questa giornata di Festa per i lavoratori e per l’intera comunità nazionale.
È una giornata di impegno, perché sollecita a rendere concreta l’affermazione che la Repubblica è fondata sul lavoro, traguardo a cui tendere costantemente.
Buona festa del lavoro a chi il lavoro ce l’ha.
A chi lo crea e a chi lo difende.
Ai Cavalieri e ai Maestri del lavoro.
A quanti non hanno lavoro e lo cercano.
Ai giovani che si vanno formando.
Alle donne, nella realizzazione professionale.
Ai diversamente abili che, nel lavoro, affermano la loro dignità di persone.
A quanti hanno concluso la loro esperienza lavorativa, e hanno partecipato al progresso dell’Italia.
Auguro una giornata serena e festosa ai giovani al Concertone di piazza San Giovanni a Roma. La musica sottolinea anche la connessione di speranza tra le parole “lavoro” e “pace”.
Viva il lavoro.
Viva il Primo maggio.
Viva la Costituzione.
Celebriamo il valore della giornata del 1° maggio con necessario anticipo, nel cuore del distretto della Meccatronica, qui a Reggio Emilia.
Dopo l’anno scorso, a Udine, anticipiamo anche questa volta la celebrazione della Festa del Lavoro in un luogo di lavoro che guarda all’innovazione.
Una realtà che ribadisce il valore costituzionale del lavoro e che sottolinea, al contempo, come esso si confermi il motore della crescita e della coesione sociale della Repubblica.
È il lavoro che ci mette di fronte alle sfide nuove, alle necessità e a bisogni emergenti, per chiederci come rilanciare il nostro Paese in Europa e nel mondo.
Il lavoro è stato lo strumento che ha permesso e favorito la mobilità sociale.
È stato ed è misura del contributo ai doveri inderogabili di solidarietà tracciati dalla Costituzione.
Il lavoro è ciò che mette ogni cittadino nella condizione di scegliere il proprio posto nella vita della comunità.
E il lavoro riguarda le persone.
Quel capitale umano che è all’origine dell’esperienza che qui, oggi, viene messa in rilievo con l’immagine della fabbrica come “cantiere permanente” evocata dalla Presidente Anceschi.
Un cantiere in cui, ogni giorno, si guarda avanti, non accontentandosi della difesa, del galleggiamento, di una visione di mera conservazione del tessuto industriale esistente.
Certo, serve, come è stato osservato, un eco-sistema adeguato, che permetta alle imprese di generare valore e occupazione, di far crescere la produttività attraverso i necessari investimenti.
Di creare, come qui è avvenuto, filiere produttive accompagnate da dialogo sociale e da rapporto costruttivo con le istituzioni.
Il riferimento al Patto del Lavoro sottoscritto fra Regione Emilia-Romagna, forze sociali e istituzioni, le Università, viene alla mente immediatamente, con la varietà delle iniziative che ne sono derivate.
Il confronto con l’integrazione del mercato in Europa e poi globale, con i risultati di crescita a doppia cifra dell’export - confermato anche nei momenti più avversi della congiuntura dopo la folle guerra scatenata dalla Federazione Russa in Ucraina - e nonostante l’aumento dei costi dell’energia e delle materie prime, ribadisce il valore del modello dei distretti industriali presenti nel nostro Paese.
È ulteriormente incoraggiante, sul piano generale, la crescita del PIL oltre le previsioni.
Il distretto come esso stesso catena di valore.
Fabbrica, a un tempo, diffusa e integrata, alla prova, ormai - e non a caso siamo sul terreno della meccatronica - della gestione della governance dei dati, come ci ha ricordato il presidente Rocchi e, alla prova, inevitabilmente, dell’intelligenza artificiale, con i benefici e le incognite che ne scaturiscono.
Tutto questo nella consapevolezza che ne deriva una trasformazione del lavoro e che dà origine contemporaneamente - come risultante del dialogo fra le parti sociali - a nuovi diritti, come quello, richiamato, di un vero e proprio diritto soggettivo alla formazione in capo al lavoratore, per difendere l’occupazione.
Si affaccia un nuovo mondo del lavoro e si affianca a quello esistente e dobbiamo saper inverare i principi costituzionali nei nuovi modelli produttivi con eguale saldezza.
Ci troviamo – ripeto - in un ambito territoriale di eccellenza della nostra industria, che ha già saputo porsi, ad esempio, il tema della industrializzazione della nuova mobilità e dei processi che dovranno caratterizzarla, senza complessi di inferiorità rispetto ad aree di altri Paesi.
Una grande capacità di innovazione resa possibile dalla passione degli imprenditori, dal contributo dei lavoratori alla vita e agli obiettivi dell’impresa, al rapporto con il mondo della ricerca.
Se siamo usciti a testa alta dalla pandemia, e dalle più pesanti conseguenze sociali dovute al prolungato rallentamento delle attività, lo dobbiamo anche alla forza della nostra industria manifatturiera e, dentro di essa, alle aziende più innovative protese sui mercati internazionali.
Esempio di quanto la fiducia e la determinazione possono permettere di raggiungere.
E l’immagine del cantiere riporta al Cantiere Italia, al cantiere del PNRR, con la ineguagliabile opportunità che offre per ridurre e colmare ritardi strutturali, per sostenere strategie di crescita e per favorire, con l’innovazione, più diffuse opportunità.
Opportunità che interpellano il sistema delle imprese per mettere a terra le diverse iniziative.
La memoria riporta ad altri momenti significativi del dibattito per trasformare l’economia italiana e per puntare alla piena occupazione.
Dal Piano del lavoro proposto dalla Cgil di Di Vittorio nel 1949 alla proposta di Schema di sviluppo dell’occupazione e del reddito in Italia nel 1955, voluto dal Ministro Vanoni, di cui ricorrono, quest’anno, 120 anni dalla nascita.
Quello statista aveva indicato come obiettivi da perseguire quelli della piena occupazione, della riduzione degli squilibri Nord-Sud, del risanamento del bilancio dello Stato.
Uno sforzo che partiva dalla convinzione di come il mondo del lavoro fosse la locomotiva di un Paese che vuole avanzare.
Partiva dalla consapevolezza che il lavoro costituisce indice di dignità.
Del rapporto stretto che interviene tra lavoro, coesione sociale e saldezza delle istituzioni e, dunque, della democrazia.
Lavoro, dunque, per un esercizio pieno dei diritti di cittadinanza.
Lavoro come antidoto, come strumento efficace per combattere in modo proficuo discriminazioni e illegalità diffuse.
Il lavoro è parametro che permette di misurare l’effettivo livello di parità, sul terreno della occupazione e dei salari, tra donne e uomini. Al fine di verificare il rispetto di quanto disposto dall’art. 37 della nostra Costituzione: “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione”.
L’unità del Paese significa anche unità sostanziale sul piano delle opportunità di lavoro.
Significa impegno per rimuovere le disuguaglianze territoriali.
Presidiare e promuovere l’unità significa anche tutto questo.
Il lavoro è indice di dignità perché è strettamente collegato al progetto di vita di ogni persona.
E, allora, mentre talvolta affiora la tentazione di arrendersi all’idea che possa esistere il lavoro povero, la cui remunerazione non permette di condurre una esistenza decente, è necessario affermare con forza, invece, il carattere del lavoro come primo, elementare, modo costruttivo di redistribuzione del reddito prodotto.
Il Primo Maggio, che qui celebriamo per tutta Italia, è la festa quindi della dignità del lavoro.
È la festa della Repubblica fondata sul lavoro.
Il lavoro è un diritto. Luigi Einaudi – rigoroso maestro liberale di economia - in risposta all’appello di Giorgio La Pira, definito “in difesa della povera gente”, in cui indicava la lotta alla disoccupazione e lo sradicamento della miseria come impegno primario dello Stato - siamo nel 1950 - affermava che “lo Stato moderno ha come primo compito di non creare disoccupazione e miseria”, elencando i motivi che le aggravano.
Il lavoro è anche un dovere.
Ce lo ricorda l’art.4 della Costituzione: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”.
Per proseguire: “Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.
Ecco perché favorire l’ingresso nel mondo del lavoro è compito delle autorità pubbliche preposte che devono creare le condizioni affinché le imprese possano svilupparsi.
E l’intervento del Ministro del lavoro – che ringrazio - manifesta questa consapevolezza.
Ma, come noto, il richiamo ai valori fondanti della nostra società è ben più impegnativo.
La Repubblica – sappiamo - è “fondata sul lavoro”.
Abbiamo adempiuto appieno a questo precetto?
Abbiamo saputo, nei 75 anni di Costituzione repubblicana, promuovere sempre le condizioni per rendere effettivo per tutti il diritto al lavoro?
È una missione che non appartiene soltanto ad alcuni ma riguarda l’intera società.
Ancora, trovano piena applicazione l’art.36 della Costituzione: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”?
L’art. 37, che prima ho ricordato, per la parità tra donne e uomini nel lavoro, afferma anche che “La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato”. E che “La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione”.
Un recente rapporto ha posto in evidenza come il lavoro minorile sfruttato sia ancora una piaga presente.
Lo sfruttamento ai danni dei minori costituisce un grave furto di futuro, sottraendo questi ragazzi alla scuola e spingendoli verso la marginalità.
È un tema che riguarda anche la condizione di molti lavoratori immigrati.
Altro aspetto da porre in primo piano è quello degli infortuni sul lavoro, che distruggono vite, gettano nella disperazione famiglie, provocano danni irreversibili, con costi umani inaccettabili.
Sappiamo bene che anche le battaglie del movimento sindacale dei lavoratori hanno contribuito in modo significativo a raggiungere traguardi di progresso sociale evidenti e che l’Italia, nella sua trasformazione, ha compiuto giganteschi passi di crescita e di sviluppo.
Ma sappiamo anche che le contraddizioni tendono sovente a riprodursi, come in ogni vicenda umana.
C’è amarezza in chi constata che la piena occupazione, specie per i giovani e le donne, è di là da venire. Così come nel Mezzogiorno.
Persistono frammentazione e precarietà, condizioni di lavoro insicure, divari salariali,; si registra un costo della vita in aumento, in funzione anche delle tensioni internazionali in atto.
Stagnazione salariale e sicurezza sul lavoro, nonostante i passi compiuti, sono temi in perenne discussione.
I rappresentanti sindacali - Bigoni e Perrone - che hanno preso la parola, lo hanno dichiarato e denunciato.
A quale lavoro pensiamo?
Le imprese cercano personale qualificato e formato.
La precarietà come sistema stride con le finalità di crescita e di sviluppo.
Se le cifre sono preoccupanti e note, e denunciano in Italia un alto tasso di inattività rispetto ai parametri europei, una risposta adeguata può venire soltanto da un concreto impegno di mobilitazione collettiva che sappia valorizzare il grande patrimonio di competenze presente nel nostro Paese.
Ampliare la base del lavoro, e la sua qualità, deve essere assillo costante a ogni livello, a partire dalle istituzioni.
Naturalmente, non sarà possibile creare nuovo lavoro, sostenere le innovazioni necessarie, affrontare con coraggio e creatività la competizione dei mercati senza il protagonismo delle imprese, grandi, medie e piccole.
Senza la partecipazione dei lavoratori e dei sindacati, senza il contributo del Terzo settore, senza l’apporto del mondo delle professioni.
Il Primo maggio di quest’anno conferma i grandi valori che ispirano questa giornata di Festa per i lavoratori e per l’intera comunità nazionale.
È una giornata di impegno, perché sollecita a rendere concreta l’affermazione che la Repubblica è fondata sul lavoro, traguardo a cui tendere costantemente.
Buona festa del lavoro a chi il lavoro ce l’ha.
A chi lo crea e a chi lo difende.
Ai Cavalieri e ai Maestri del lavoro.
A quanti non hanno lavoro e lo cercano.
Ai giovani che si vanno formando.
Alle donne, nella realizzazione professionale.
Ai diversamente abili che, nel lavoro, affermano la loro dignità di persone.
A quanti hanno concluso la loro esperienza lavorativa, e hanno partecipato al progresso dell’Italia.
Auguro una giornata serena e festosa ai giovani al Concertone di piazza San Giovanni a Roma. La musica sottolinea anche la connessione di speranza tra le parole “lavoro” e “pace”.
Viva il lavoro.
Viva il Primo maggio.
Viva la Costituzione.