Milano colonia spagnola
Articolo di Ignazio Ravasi pubblicato da DeltaEcopolis.
Nel 1535 moriva, senza lasciare eredi, l’ultimo Sforza, Francesco II, la sua morte coincise con la fine del Ducato sforzesco. Infatti, Carlo V d’Asburgo, re di Spagna e imperatore del Sacro Romano Impero, un impero sul quale si diceva “non tramontasse mai il sole”, occupò la città e il Ducato ritenendolo di importanza strategica sia sotto gli aspetti politici che militari.
Da capitale Milano fu ridotta a semplice provincia spagnola.
Tutta la conduzione del Ducato, ridotto a colonia, fu affidata a un “Governatore”, nominato da Madrid, con poteri equivalenti a quelli di un Viceré, subordinato soltanto al re di Spagna. Ovunque furono insediate, nel territorio “Lombardo”, truppe spagnole spesso protagoniste di estorsioni e soprusi contro la popolazione. Inoltre, il continuo andirivieni di truppe straniere aveva ridotto il territorio milanese a desolata brughiera. I contadini, per sfuggire alle violenze di ogni genere, avevano abbandonato le campagne, con il conseguente crollo dell’agricoltura. Anche se lo Stato milanese era riuscito a mantenere le magistrature civiche come il Vicario e i Dodici di Provvisione (una sorta di Sindaco e Giunta), si trattava di “conquiste formali” che non avevano impedito il decadimento della vita politica di Milano.
Solo e soprattutto a livello popolare, i milanesi, erano riusciti a mantenere vivo il senso dell’indipendenza. Infatti, la presenza negli “organi municipali” era riservata alle famiglie milanesi di antica nobiltà, un ceto ristretto e chiuso in se stesso, il cui carattere parassitario si acuì sotto l’influsso spagnolo. Gli stessi mercanti e artigiani milanesi, si ridusse a corporazioni in lotta l’una con l’altra (a metà dei seicento se ne contavano circa un centinaio) e anch’esse, come i comuni cittadini, furono tartassate dal fiscalismo spagnolo. Si dice che tutto era tassabile e tassato e che ogni giorno fosse introdotta una nuova gabella.
A questa generalizzata situazione di dispotismo e corruzione, che toccava anche gli ordini ecclesiastici (si pensi alla famosa Monaca di Monza descritta dal Manzoni), reagì San Carlo Borromeo a partire dal 1565, avviando la soppressione dell’Ordine degli Umiliati di Brera, e cercando di sostenere una riforma dei costumi.
Egli fu un energico assertore della Controriforma, e intraprese un sistematico e rigoroso lavoro di orientamento della vita religiosa e di riforma del clero.
Leggendaria, poi, è rimasta l’opera di assistenza, svolta personalmente e con tanta generosità, da Carlo, nella peste che infuriò a Milano tra il 1576 e il 1577.
Le uniche opere realizzate dall’amministrazione spagnola, naturalmente pagate con le tasse dei milanesi, furono le massicce fortificazioni di Milano - le mura spagnole erette tra il 1548 e il 1562 - e la fortificazione del Castello, con la Tenaglia nel 1552 e poi con i Baluardi nel 1569.
L’amministrazione spagnola si rese persino responsabile del decadimento della filiera della seta e dei broccati che erano famosi e ricercati in tutta Europa e della rovina della secolare industria milanese delle armi e armature, delle quali aveva proibito l’esportazione nel 1607.
In questo disastroso periodo, un altro cardinale, Federico Borromeo, nominato arcivescovo della diocesi di Milano nel 1595, proprio nel 1607 diede vita alla Biblioteca Ambrosiana.
Fu la prima grande biblioteca aperta al pubblico, originariamente dotata di 30.000 volumi e 14.000 manoscritti.
A essa fu presto aggiunta la Pinacoteca, nel 1618, sempre grazie ad una donazione del Borromeo. Pur essendo un intransigente e severo sostenitore della Controriforma, Federico Borromeo, seppe aiutare la cultura milanese a rifiorire e crescere, ad esempio affiancando alla Pinacoteca, nel 1621, l’Accademia di pittura e scultura. Non è dunque un caso che in quel periodo, ad animare la pittura ci fosse Procaccini e Campi, nella letteratura Carlo Maria Maggi e Carlo Ambrogio Biffi e nelle scienze Girolamo Cardano, Alessandro Tadino e Ludovico Settala.
Nonostante tutto, in quei primi anni del seicento Milano ebbe, anche, un significativo sviluppo economico e fiorì, proprio in quel periodo, l’agricoltura della Bassa con tutto quanto né seguì in termini d’incremento della produzione di cereali, di riso, di foraggi, di allevamenti di bestiame. Soltanto la terribile peste del 1630, descritta dal Manzoni nei “Promessi sposi”, diede un colpo mortale a questo sviluppo portando, tra l’altro, la popolazione di Milano a scendere bruscamente sotto i 70.000 abitanti.
Il periodo di crisi si attenuò soltanto con il passaggio, nel 1700, della Lombardia agli austriaci.
Nel 1535 moriva, senza lasciare eredi, l’ultimo Sforza, Francesco II, la sua morte coincise con la fine del Ducato sforzesco. Infatti, Carlo V d’Asburgo, re di Spagna e imperatore del Sacro Romano Impero, un impero sul quale si diceva “non tramontasse mai il sole”, occupò la città e il Ducato ritenendolo di importanza strategica sia sotto gli aspetti politici che militari.
Da capitale Milano fu ridotta a semplice provincia spagnola.
Tutta la conduzione del Ducato, ridotto a colonia, fu affidata a un “Governatore”, nominato da Madrid, con poteri equivalenti a quelli di un Viceré, subordinato soltanto al re di Spagna. Ovunque furono insediate, nel territorio “Lombardo”, truppe spagnole spesso protagoniste di estorsioni e soprusi contro la popolazione. Inoltre, il continuo andirivieni di truppe straniere aveva ridotto il territorio milanese a desolata brughiera. I contadini, per sfuggire alle violenze di ogni genere, avevano abbandonato le campagne, con il conseguente crollo dell’agricoltura. Anche se lo Stato milanese era riuscito a mantenere le magistrature civiche come il Vicario e i Dodici di Provvisione (una sorta di Sindaco e Giunta), si trattava di “conquiste formali” che non avevano impedito il decadimento della vita politica di Milano.
Solo e soprattutto a livello popolare, i milanesi, erano riusciti a mantenere vivo il senso dell’indipendenza. Infatti, la presenza negli “organi municipali” era riservata alle famiglie milanesi di antica nobiltà, un ceto ristretto e chiuso in se stesso, il cui carattere parassitario si acuì sotto l’influsso spagnolo. Gli stessi mercanti e artigiani milanesi, si ridusse a corporazioni in lotta l’una con l’altra (a metà dei seicento se ne contavano circa un centinaio) e anch’esse, come i comuni cittadini, furono tartassate dal fiscalismo spagnolo. Si dice che tutto era tassabile e tassato e che ogni giorno fosse introdotta una nuova gabella.
A questa generalizzata situazione di dispotismo e corruzione, che toccava anche gli ordini ecclesiastici (si pensi alla famosa Monaca di Monza descritta dal Manzoni), reagì San Carlo Borromeo a partire dal 1565, avviando la soppressione dell’Ordine degli Umiliati di Brera, e cercando di sostenere una riforma dei costumi.
Egli fu un energico assertore della Controriforma, e intraprese un sistematico e rigoroso lavoro di orientamento della vita religiosa e di riforma del clero.
Leggendaria, poi, è rimasta l’opera di assistenza, svolta personalmente e con tanta generosità, da Carlo, nella peste che infuriò a Milano tra il 1576 e il 1577.
Le uniche opere realizzate dall’amministrazione spagnola, naturalmente pagate con le tasse dei milanesi, furono le massicce fortificazioni di Milano - le mura spagnole erette tra il 1548 e il 1562 - e la fortificazione del Castello, con la Tenaglia nel 1552 e poi con i Baluardi nel 1569.
L’amministrazione spagnola si rese persino responsabile del decadimento della filiera della seta e dei broccati che erano famosi e ricercati in tutta Europa e della rovina della secolare industria milanese delle armi e armature, delle quali aveva proibito l’esportazione nel 1607.
In questo disastroso periodo, un altro cardinale, Federico Borromeo, nominato arcivescovo della diocesi di Milano nel 1595, proprio nel 1607 diede vita alla Biblioteca Ambrosiana.
Fu la prima grande biblioteca aperta al pubblico, originariamente dotata di 30.000 volumi e 14.000 manoscritti.
A essa fu presto aggiunta la Pinacoteca, nel 1618, sempre grazie ad una donazione del Borromeo. Pur essendo un intransigente e severo sostenitore della Controriforma, Federico Borromeo, seppe aiutare la cultura milanese a rifiorire e crescere, ad esempio affiancando alla Pinacoteca, nel 1621, l’Accademia di pittura e scultura. Non è dunque un caso che in quel periodo, ad animare la pittura ci fosse Procaccini e Campi, nella letteratura Carlo Maria Maggi e Carlo Ambrogio Biffi e nelle scienze Girolamo Cardano, Alessandro Tadino e Ludovico Settala.
Nonostante tutto, in quei primi anni del seicento Milano ebbe, anche, un significativo sviluppo economico e fiorì, proprio in quel periodo, l’agricoltura della Bassa con tutto quanto né seguì in termini d’incremento della produzione di cereali, di riso, di foraggi, di allevamenti di bestiame. Soltanto la terribile peste del 1630, descritta dal Manzoni nei “Promessi sposi”, diede un colpo mortale a questo sviluppo portando, tra l’altro, la popolazione di Milano a scendere bruscamente sotto i 70.000 abitanti.
Il periodo di crisi si attenuò soltanto con il passaggio, nel 1700, della Lombardia agli austriaci.