Con Elly Schlein per un’Europa più ambiziosa
Articolo di Marina Sereni.
Il “debutto” europeo di Elly Schlein nella veste di leader ha reso plasticamente l’altezza della sfida che la attende e che ci attende. Costruire un’alternativa alle destre in Italia non è altra cosa dal rafforzare il profilo e il ruolo del Pse e delle altre forze progressiste in Europa.
Avere un’Unione Europea più forte politicamente, capace di affrontare con coraggio e sincero spirito di solidarietà europea i dossier più urgenti - dopo la crisi del Covid19 e l’invasione criminale della Russia contro l’Ucraina - è essenziale per affermare i valori di democrazia, eguaglianza, rispetto dei diritti per tutte e tutti, sostenibilità sociale ed ambientale dello sviluppo che sono pilastri essenziali dell’identità dei partiti della famiglia Pse ma anche di altre formazioni progressiste.
Gli incontri che ieri la Segretaria del Pd ha avuto a Bruxelles, e la calorosa accoglienza ricevuta, confermano l’importanza di quanto accade oggi nella politica italiana e la responsabilità che portiamo anche di fronte al panorama europeo.
Tolto di mezzo (speriamo definitivamente) il refrain sui possibili “cambiamenti di linea” del Pd sulla guerra in Ucraina, ieri sono balzati in evidenza le profonde differenze tra noi e il governo. E il confronto tra le proposte di Elly Schein e quelle di Giorgia Meloni sono impietose per il governo.
Sull’immigrazione Meloni si dichiara soddisfatta per tre righe nel documento conclusivo che non cambiano di un millimetro la situazione. Dopo la tragedia di Cutro ci saremmo aspettati che l’Italia sostenesse al Consiglio Europeo la nostra proposta di una missione europea di “ricerca e soccorso”, una Mare Nostrum europea per ridurre i pericoli e le morti dei disperati in mare. Dopo la tragedia di Cutro - in cui sono morte persone provenienti in grande misura da Paesi come l’Afganistan - ci saremmo aspettati che il governo provasse almeno a riaprire la discussione sulla riforma del regolamento di Dublino che, bloccando i richiedenti asilo o protezione umanitaria nel Paese di primo ingresso, penalizza fortemente Paesi come l’Italia, la Grecia, la Spagna… Solo condividendo a livello europeo la responsabilità dell’accoglienza di queste persone possiamo immaginare di gestire, nel medio periodo, programmi di collaborazione con i Paesi di provenienza per regolare flussi legali di migranti economici, altra cosa rispetto a chi fugge da guerre e violazione dei diritti umani essenziali.
Dopo la tragedia di Cutro ci saremmo aspettati che il governo italiano provasse a proporre che, come è giustamente accaduto con i profughi dall’Ucraina, si attivasse anche per altri teatri di crisi - come l’Afghanistan e la Siria - la protezione umanitaria temporanea in tutta l’Unione secondo la direttiva 55 del 2001.
Insomma, come ha detto la nostra Segretaria, “la Presidente Meloni all’Unione Europea fa le domande sbagliate” e il governo di destra continua a lanciare l’allarme sull’aumento degli sbarchi senza avere davvero ottenuto nulla dai partner europei, a partire dai leader della destra sovranista loro alleati.
E poi, se davvero vogliamo chiedere all’UE maggiore attenzione a ciò che accade nel continente africano, smettiamola di scomodare impropriamente il nome di Enrico Mattei. Cosa dovrebbe essere il Piano Mattei? La Presidente Meloni sa che l’Unione Europea ha lanciato un grande programma di investimenti infrastrutturali in Africa che va sotto il nome di Global Gateway? Quanti fondi è disponibile a mettere l’Italia nella cooperazione allo sviluppo con i Paesi africani?
Finora con la prima legge di Bilancio abbiamo visto solo un taglio di 50 milioni circa ai fondi per le iniziative bilaterali con i Paesi più poveri. Oggi l’Osservatore Romano in prima pagina lancia l’allarme per le conseguenze della siccità in Etiopia e nel Corno d’Africa. La Somalia è ormai sull’orlo della carestia. Davvero pensiamo che si possano fermare milioni di persone che non hanno più la possibilità di sopravvivere nei loro contesti, chiedendo ai Paesi del Nord Africa di bloccarli?
La giornata europea di ieri, d’altra parte, conferma che l’Italia non può isolarsi da Francia e Germania se vuole avere un peso in Europa. Le polemiche delle scorse settimane con la Francia hanno mostrato il rischio drammatico di isolamento del nostro Paese in un momento in cui si sta negoziando su temi cruciali come la ridefinizione del Patto di stabilità e crescita.
Anche sulla transizione ecologica l’Italia rischia di non ottenere risultati perché parte da un presupposto sbagliato. Non si difende l’interesse dell’industria nazionale (ed europea) cercando di frenare il processo di conversione green del settore auto. Piuttosto si deve chiedere all’Unione di investire maggiori risorse per accompagnare lavoratori e imprese in questo gigantesco e inevitabile processo di cambiamento tecnologico. Altrimenti saranno altri protagonisti e non l’Europa - che pure ne avrebbe tutti i titoli - a guidare questa rivoluzione già in atto.
La stessa retorica sulla necessità di modificare il PNRR - e le (non) scelte fatte dal governo sulla questione “balneari” - contribuiscono a sollevare dubbi sull’affidabilità del nostro Paese in un passaggio cruciale. L’attuazione concreta dei progetti che il PNRR finanzia è una sfida che non possiamo mancare. Servirebbe ora grande pragmatismo per aiutare, ad esempio, i Comuni grandi, medi e soprattutto piccoli, ad utilizzare le risorse del Piano le cui priorità - transizione ecologica, transizione digitale, lotta alle diseguaglianze - sono oggi più attuali che mai.
Come pensiamo di poter negoziare adeguate misure di flessibilità nelle nuove regole di Bilancio se non rispetteremo le scadenze e gli impegni, compresi quelli sulle riforme, presi con il PNRR?
L’Italia è uno dei Paesi fondatori del progetto di integrazione europea. Di fronte alla crisi drammatica del Covid ha saputo trovare la strada di una risposta solidale straordinaria. Sarebbe un errore ora, tanto più di fronte allo sconvolgimento provocato nelle relazioni internazionali dall’aggressione russa all’Ucraina, tornare indietro, considerare Next Generation EU soltanto una parentesi. L’Unione Europea ha bisogno di andare avanti lungo la strada delle riforme, tenendo anche presente la domanda di partecipazione che viene dai cittadini europei. Vediamo le resistenze e le timidezze di tanti governi, soprattutto conservatori, che frenano sulla strada necessaria di un rafforzamento dell’architettura istituzionale e delle politiche comuni dell’Unione.
Ecco su questa frontiera il Pd con Elly Schlein sta dalla parte di un’Europa più ambiziosa, attore globale e non somma di tante piccole nazioni. E in questa direzione daremo il nostro contributo al rafforzamento della famiglia socialista e al dialogo e alla collaborazione tra tutte le forze progressiste e democratiche che credono nel progetto europeo.
Il “debutto” europeo di Elly Schlein nella veste di leader ha reso plasticamente l’altezza della sfida che la attende e che ci attende. Costruire un’alternativa alle destre in Italia non è altra cosa dal rafforzare il profilo e il ruolo del Pse e delle altre forze progressiste in Europa.
Avere un’Unione Europea più forte politicamente, capace di affrontare con coraggio e sincero spirito di solidarietà europea i dossier più urgenti - dopo la crisi del Covid19 e l’invasione criminale della Russia contro l’Ucraina - è essenziale per affermare i valori di democrazia, eguaglianza, rispetto dei diritti per tutte e tutti, sostenibilità sociale ed ambientale dello sviluppo che sono pilastri essenziali dell’identità dei partiti della famiglia Pse ma anche di altre formazioni progressiste.
Gli incontri che ieri la Segretaria del Pd ha avuto a Bruxelles, e la calorosa accoglienza ricevuta, confermano l’importanza di quanto accade oggi nella politica italiana e la responsabilità che portiamo anche di fronte al panorama europeo.
Tolto di mezzo (speriamo definitivamente) il refrain sui possibili “cambiamenti di linea” del Pd sulla guerra in Ucraina, ieri sono balzati in evidenza le profonde differenze tra noi e il governo. E il confronto tra le proposte di Elly Schein e quelle di Giorgia Meloni sono impietose per il governo.
Sull’immigrazione Meloni si dichiara soddisfatta per tre righe nel documento conclusivo che non cambiano di un millimetro la situazione. Dopo la tragedia di Cutro ci saremmo aspettati che l’Italia sostenesse al Consiglio Europeo la nostra proposta di una missione europea di “ricerca e soccorso”, una Mare Nostrum europea per ridurre i pericoli e le morti dei disperati in mare. Dopo la tragedia di Cutro - in cui sono morte persone provenienti in grande misura da Paesi come l’Afganistan - ci saremmo aspettati che il governo provasse almeno a riaprire la discussione sulla riforma del regolamento di Dublino che, bloccando i richiedenti asilo o protezione umanitaria nel Paese di primo ingresso, penalizza fortemente Paesi come l’Italia, la Grecia, la Spagna… Solo condividendo a livello europeo la responsabilità dell’accoglienza di queste persone possiamo immaginare di gestire, nel medio periodo, programmi di collaborazione con i Paesi di provenienza per regolare flussi legali di migranti economici, altra cosa rispetto a chi fugge da guerre e violazione dei diritti umani essenziali.
Dopo la tragedia di Cutro ci saremmo aspettati che il governo italiano provasse a proporre che, come è giustamente accaduto con i profughi dall’Ucraina, si attivasse anche per altri teatri di crisi - come l’Afghanistan e la Siria - la protezione umanitaria temporanea in tutta l’Unione secondo la direttiva 55 del 2001.
Insomma, come ha detto la nostra Segretaria, “la Presidente Meloni all’Unione Europea fa le domande sbagliate” e il governo di destra continua a lanciare l’allarme sull’aumento degli sbarchi senza avere davvero ottenuto nulla dai partner europei, a partire dai leader della destra sovranista loro alleati.
E poi, se davvero vogliamo chiedere all’UE maggiore attenzione a ciò che accade nel continente africano, smettiamola di scomodare impropriamente il nome di Enrico Mattei. Cosa dovrebbe essere il Piano Mattei? La Presidente Meloni sa che l’Unione Europea ha lanciato un grande programma di investimenti infrastrutturali in Africa che va sotto il nome di Global Gateway? Quanti fondi è disponibile a mettere l’Italia nella cooperazione allo sviluppo con i Paesi africani?
Finora con la prima legge di Bilancio abbiamo visto solo un taglio di 50 milioni circa ai fondi per le iniziative bilaterali con i Paesi più poveri. Oggi l’Osservatore Romano in prima pagina lancia l’allarme per le conseguenze della siccità in Etiopia e nel Corno d’Africa. La Somalia è ormai sull’orlo della carestia. Davvero pensiamo che si possano fermare milioni di persone che non hanno più la possibilità di sopravvivere nei loro contesti, chiedendo ai Paesi del Nord Africa di bloccarli?
La giornata europea di ieri, d’altra parte, conferma che l’Italia non può isolarsi da Francia e Germania se vuole avere un peso in Europa. Le polemiche delle scorse settimane con la Francia hanno mostrato il rischio drammatico di isolamento del nostro Paese in un momento in cui si sta negoziando su temi cruciali come la ridefinizione del Patto di stabilità e crescita.
Anche sulla transizione ecologica l’Italia rischia di non ottenere risultati perché parte da un presupposto sbagliato. Non si difende l’interesse dell’industria nazionale (ed europea) cercando di frenare il processo di conversione green del settore auto. Piuttosto si deve chiedere all’Unione di investire maggiori risorse per accompagnare lavoratori e imprese in questo gigantesco e inevitabile processo di cambiamento tecnologico. Altrimenti saranno altri protagonisti e non l’Europa - che pure ne avrebbe tutti i titoli - a guidare questa rivoluzione già in atto.
La stessa retorica sulla necessità di modificare il PNRR - e le (non) scelte fatte dal governo sulla questione “balneari” - contribuiscono a sollevare dubbi sull’affidabilità del nostro Paese in un passaggio cruciale. L’attuazione concreta dei progetti che il PNRR finanzia è una sfida che non possiamo mancare. Servirebbe ora grande pragmatismo per aiutare, ad esempio, i Comuni grandi, medi e soprattutto piccoli, ad utilizzare le risorse del Piano le cui priorità - transizione ecologica, transizione digitale, lotta alle diseguaglianze - sono oggi più attuali che mai.
Come pensiamo di poter negoziare adeguate misure di flessibilità nelle nuove regole di Bilancio se non rispetteremo le scadenze e gli impegni, compresi quelli sulle riforme, presi con il PNRR?
L’Italia è uno dei Paesi fondatori del progetto di integrazione europea. Di fronte alla crisi drammatica del Covid ha saputo trovare la strada di una risposta solidale straordinaria. Sarebbe un errore ora, tanto più di fronte allo sconvolgimento provocato nelle relazioni internazionali dall’aggressione russa all’Ucraina, tornare indietro, considerare Next Generation EU soltanto una parentesi. L’Unione Europea ha bisogno di andare avanti lungo la strada delle riforme, tenendo anche presente la domanda di partecipazione che viene dai cittadini europei. Vediamo le resistenze e le timidezze di tanti governi, soprattutto conservatori, che frenano sulla strada necessaria di un rafforzamento dell’architettura istituzionale e delle politiche comuni dell’Unione.
Ecco su questa frontiera il Pd con Elly Schlein sta dalla parte di un’Europa più ambiziosa, attore globale e non somma di tante piccole nazioni. E in questa direzione daremo il nostro contributo al rafforzamento della famiglia socialista e al dialogo e alla collaborazione tra tutte le forze progressiste e democratiche che credono nel progetto europeo.
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