L'Europa è tornata
Intervista a Romano Prodi di Stefano Pasta pubblicata da Famiglia Cristiana.
«Finalmente sul tavolo dell’Europa c’è una risposta comune». Nei giorni convulsi che hanno cambiato l’Europa, quelli che hanno visto la storica marcia dei profughi siriani da Budapest a Vienna e a Bonn, Romano Prodi commenta il nuovo corso dell’Unione. Lo fa in margine al convegno di Tirana dedicato all’immigrazione e alle guerre in Medio Oriente e in Africa, organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio.
Alcuni giorni fa, parlando dell’incapacità di gestire l’afflusso dei profughi che premevano sul confine ungherese, aveva detto che lo stato di salute dell’Europa era “terribile”. E oggi, presidente, dopo l’arrivo del corteo di profughi a Bonn accolto dalle note dell’Inno alla gioia e delle dichiarazioni di vari capi di Stato e di Governo, Cameron compreso?
«La risposta dell’accoglienza ai profughi di guerra era una necessità ovvia e bisognava arrivarci prima. Non si è riusciti a fare nulla finché l’unico Paese interessato era l’Italia; si è capito che una soluzione doveva essere trovata solo quando il flusso è dilagato nei Balcani».
Il via all’iniziativa è arrivato dalla Germania, che ormai determina tutta la politica europea.
«Ho più volte criticato la leadership tedesca quando perseguiva il suo solo interesse. Oggi invece fa prevalere il senso di un interesse comune. Inoltre, la Germania fa una scelta intelligente: di fronte al crollo demografico della propria popolazione, accoglie i siriani – laureati per il 40 per cento – adottando politiche inclusive e coniugando, al proprio, l’interesse europeo. Quindi chapeau alla Merkel!».
Cosa pensa dell’ipotesi quote e penalizzazioni economiche per quei Paesi che non accolgono parte dei profughi?
«Sono d’accordo con il messaggio: è un problema comune, chi non si adatta deve pagarne il prezzo. Si tratta di un passo in avanti, anche se è solo l’inizio: la proposta infatti vale unicamente per chi fugge dalle guerre e non per chi scappa dalla povertà dell’Africa. Questo flusso migratorio crescerà e l’Italia dovrebbe farsi promotrice di una riflessione europea comune».
Lei ha partecipato all’incontro di Tirana: Sant’Egidio propone canali umanitari, diritto d’asilo europeo e revisione dell’accordo di Dublino.
«L’accordo di Dublino, che impone ai Paesi in cui approdano i profughi di prendersene cura, è stato sorpassato dai fatti e dalla storia. Venne firmato, come un aspetto burocratico, quando il fenomeno aveva altre dimensioni, poi è stato rinnovato senza pensarci. Il diritto d’asilo europeo è auspicabile, però poco realistico nell’attuale situazione politica dell’Unione. I canali umanitari – lo dice la parola stessa – sarebbero uno strumento di civiltà, da promuovere senz’altro. D’altro canto l’Europa non potrà far fronte a un’ondata senza limiti. Per questo insisto sulla necessità di maggiori iniziative per lo sviluppo, a partire da progetti politici europei in favore, ad esempio, dell’istruzione nei Paesi africani. Quando ero presidente della Commissione avevamo prospettato tante iniziative comuni, ma sono rimaste lettera morta».
L’Ungheria alza muri, i cechi marchiano i profughi, i Paesi dell’Est sono contrari all’accoglienza: perché questa ostilità?
«Sono rimasto molto colpito dalle reazioni dei Paesi dell’ex blocco sovietico e me le spiego soltanto come conseguenza del lungo periodo comunista. I regimi hanno svuotato il senso della “solidarietà”, praticavano quella “internazionale” che però non era genuina perché imposta dall’alto».
Lei è stato il protagonista dell’allargamento dell’Unione all’Est: è stata la cosa giusta?
«Sì, abbiamo lasciato fuori l’Ucraina e guardi cosa è accaduto; al contrario, prosperano Polonia e Paesi Baltici. Chi dice che l’allargamento è stato troppo rapido, non capisce che il treno della storia passa veloce, una volta soltanto, e bisogna salirci sopra al momento giusto. Altrimenti la storia non perdona e accadono i disastri, come è appunto successo all’unico Paese rimasto in bilico, l’Ucraina.
L’Inghilterra vuole invece limitare il diritto d’accesso anche ai cittadini dell’Unione…
«Il Regno Unito guarda solo alla propria politica interna, sotto questo aspetto è un Paese diverso. Un esempio: quando si decise il pattugliamento europeo nel Mediterraneo, il primo ministro britannico Cameron dichiarò: “Certamente partecipiamo anche noi”, aggiungendo “poi li portiamo tutti in Sicilia”. Quasi come uno sfottò, nel momento del dramma… La Gran Bretagna è fuori da Schengen, non solo dall’euro, le interessa solo la libera circolazione delle merci; in questa fase storica, per gli inglesi, le cose valgono più delle persone».