Il PD non cada nella trappola
Articolo di Erminio Quartiani
La trappola è tesa.
Il M5S ha perso le elezioni, ma si appresta a vivere di rendita: autodefinirsi di sinistra e puntare a svuotare il Pd, con una concorrenza sistematica su tutti i temi sensibili, dalla pace, ai temi economici a quelli sindacali. Ieri, a Roma, Landini ha sancito una cesura storica: l’autonomia della Cgil da ogni rapporto ombelicale con la sinistra ufficiale.
Nel contempo Conte, che ha visto il suo partito dimezzato al voto, si celebra come leader dei progressisti, ma stavolta svuotando e sostituendo il Pd. Gli viene fatto credere da una campagna, con terminali fuori e dentro il Pd, che imputa a Letta il sostegno a Draghi, la scelta atlantista sulla guerra e la rottura elettorale con M5S, come ragioni della sconfitta.
E viene alimentata dagli “ex amici”, da Rosy Bindi al prof. Pasquino, al sempiterno Carlo De Benedetti, a noti giornalisti e commentatori che prospettano al Pd, come obiettivo del congresso, quella dello scioglimento.
I topos delle accuse di questi signori al Pd sono due: non rappresentare i poveri, l’essersi identificato con la responsabilità nazionale ed essere troppo “statale”. In poche parole: non essere stato assistenzialista, populista e irresponsabile. Insomma, non aver fatto la stessa politica del M5S.
Seguendo questi signori, il Pd avrebbe fatto la fine di M5S: dimezzato i voti e sciolto, molto prima, dagli elettori.
Il Pd non ascolti gli sciacalli. E non abbocchi alle sirene dell’harakiri.
Il Pd per radicamento, profilo, funzione di governo locale resta insostituibile.
E la democrazia italiana, in un momento delicato per la Repubblica, ha solo da perdere dall’auto dissoluzione del Pd.
Serve autonomia, coraggio e patriottismo di partito delle dirigenti e dei dirigenti del Pd.
La Meloni ha già troppo miele sparso intorno per regalarle anche il suicidio del Pd.
La trappola è tesa.
Il M5S ha perso le elezioni, ma si appresta a vivere di rendita: autodefinirsi di sinistra e puntare a svuotare il Pd, con una concorrenza sistematica su tutti i temi sensibili, dalla pace, ai temi economici a quelli sindacali. Ieri, a Roma, Landini ha sancito una cesura storica: l’autonomia della Cgil da ogni rapporto ombelicale con la sinistra ufficiale.
Nel contempo Conte, che ha visto il suo partito dimezzato al voto, si celebra come leader dei progressisti, ma stavolta svuotando e sostituendo il Pd. Gli viene fatto credere da una campagna, con terminali fuori e dentro il Pd, che imputa a Letta il sostegno a Draghi, la scelta atlantista sulla guerra e la rottura elettorale con M5S, come ragioni della sconfitta.
E viene alimentata dagli “ex amici”, da Rosy Bindi al prof. Pasquino, al sempiterno Carlo De Benedetti, a noti giornalisti e commentatori che prospettano al Pd, come obiettivo del congresso, quella dello scioglimento.
I topos delle accuse di questi signori al Pd sono due: non rappresentare i poveri, l’essersi identificato con la responsabilità nazionale ed essere troppo “statale”. In poche parole: non essere stato assistenzialista, populista e irresponsabile. Insomma, non aver fatto la stessa politica del M5S.
Seguendo questi signori, il Pd avrebbe fatto la fine di M5S: dimezzato i voti e sciolto, molto prima, dagli elettori.
Il Pd non ascolti gli sciacalli. E non abbocchi alle sirene dell’harakiri.
Il Pd per radicamento, profilo, funzione di governo locale resta insostituibile.
E la democrazia italiana, in un momento delicato per la Repubblica, ha solo da perdere dall’auto dissoluzione del Pd.
Serve autonomia, coraggio e patriottismo di partito delle dirigenti e dei dirigenti del Pd.
La Meloni ha già troppo miele sparso intorno per regalarle anche il suicidio del Pd.