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Il voto moderato dei cattolici

Written by Padre Francesco Occhetta.

Articolo di Padre Francesco Occhetta pubblicato da Comunità di Connessioni.

Durante un agosto rovente e pieno di nubifragi, si stanno chiudendo le liste elettorali e intanto il 25 settembre, giorno delle elezioni, si fa sempre più vicino. I nodi venuti al pettine hanno stupito l’opinione pubblica, ma era tutto già scritto: una legge elettorale inadeguata, la riduzione dei parlamentari, la scelta dei candidati da parte dei segretari di partito, i conflitti interni ai partiti, le esclusioni eclatanti da gestire e l’imposizione di candidati lontani dai territori in cui dovranno farsi eleggere.
Sono state depositate 75 liste, ma sulla scheda ne compariranno soltanto una quindicina. Si coaguleranno nella “rosa dei venti” politica, che si è formata dopo la caduta del Governo Draghi, la destra della Meloni, la sinistra di Letta, il “nord” (politico) rappresentato dal terzo polo di Calenda e Renzi e il “sud” voluto dal Movimento 5 Stelle di Conte. Il dato politico più incerto è il destino dell’area moderata, sempre più orfana di appartenenza, di rappresentanti e di riferimenti culturali. Eppure, questo bacino di consenso che ha storicamente nutrito la democrazia italiana include ancora milioni di voti provenienti in gran parte dal mondo cattolico ma anche da chi si astiene.
Dopo le incertezze e le derive politiche degli schieramenti tradizionali, molte persone che appoggiavano le forze moderate si stanno chiedendo cosa fare e chi votare. Tra queste ci sono anche i cattolici liberali, i cattolici popolari e i cattolici democratici, radici diverse di un unico albero, che hanno nutrito grandi anime del mondo cattolico come Comunione e Liberazione e la Comunità di Sant’Egidio. Per i primi sarà possibile orientare il consenso verso Forza Italia e il movimento di Lupi che hanno scelto di accodarsi ad una colazione sbilanciata a destra? Per i secondi basterà avere qualche loro esponente per appoggiare il Pd, il suo programma e le sue alleanze con la sinistra radicale e il movimento di Di Maio? Potrà essere il terzo polo di Renzi e Calenda – che ha voluto e sostenuto il Governo Draghi – una soluzione (temporanea) per sentirsi rappresentati? Cosa faranno grandi associazioni come l’Azione Cattolica o il Rinnovamento dello Spirito? Basteranno i loro richiami valoriali?
Sul tema sono ritornati di recente Andrea Riccardi – “Questione cattolica, una centralità da ritrovare”[1] – e Maria Prodi – “Elezioni la scomparsa dei cattolici”. La ricostruzione storica di Riccardi sull’irrilevanza politica dei cattolici lascia aperta la parte construens che ha come orizzonte “la centralità da ritrovare”. Riccardi lo ribadisce: “La Chiesa è la più grande rete sociale nel paese. Lo si è visto durante il Covid e nei momenti di faticosa coesione sociale. C’è in Italia una Chiesa del fare, del credere, del pregare, dell’intreccio di legami sociali, che è ancora una risorsa civile di valore”. Poi aggiunge “Tuttavia questa realtà ha bisogno di trovare parole e linguaggio per incrociare un discorso pubblico, dare voce a esperienze e sentimenti che vivono al suo interno. Non si tratta di tornare agli «anni dell’onnipotenza», come li definiva un protagonista del movimento cattolico, quanto di esprimere le dimensioni della propria realtà e responsabilità. Infatti vive ancora oggi, nel mondo dei cristiani italiani, un approccio concreto, serio, impegnativo, che ha molto da dire alla volatilità del linguaggio della politica, acuito in campagna elettorale e che ha stancato tanti italiani, come purtroppo mostra l’astensionismo”.
Anche Maria Prodi ritorna sul punto e mette il dito nella piaga: “La statura dei grandi democristiani del dopoguerra fu il frutto di una formazione culturale e prepolitica di spessore, realizzata negli ambienti ecclesiastici, grazie ad un vivissimo humus intellettuale, anche durante gli anni oscuri della repressione di ogni libertà operata dal fascismo”. Nelle ultime legislature la “questione cattolica” è stata risolta mettendo qualche esponente cattolico nelle liste per premiare qualche associazione e movimento, ma in queste ultime elezioni il contributo dei cattolici non è volutamente stato preso in considerazione. Scrive Maria Prodi: “Oggi facciamo i conti con partiti che vivono di comunicazione e si occupano della collocazione del loro ceto politico. Partiti che non riescono a ospitare al loro interno elaborazioni e dibattiti. Partiti sempre più inadatti a essere luoghi di idee, partiti sempre più inadatti a essere luoghi di discussione”. Poi sottolinea il debito formativo: “La scomparsa di un cattolicesimo politico è anche segno di un declino della faticosa ma indispensabile formazione culturale delle giovani generazioni di credenti”.
In questi ultimi anni la Chiesa in Italia ha investito sul “fare” evangelico – dare da mangiare agli affamati, visitare gli infermi e i carcerati e così via – mentre ha trascurato il “formare” alla politica e all’amministrazione i suoi laici sui principi della Dottrina sociale. La nuova “questione cattolica” può solo ripartire dall’insegnamento di De Gasperi e da una nuova idea di “moderazione”, che operi come il lievito, servendo alla democrazia per lievitare. Essere moderati è un modo di vivere lo spazio pubblico, un’attitudine riconciliativa, mite, non gridata, mai estrema. Sottovalutare o umiliare questo metodo politico – anche all’interno della Chiesa stessa – rischia di bloccare processi di connessione, dialogo, mediazione, convergenza, relazione e incontro.
La centralità politica è come la rosa dei venti: un punto di intersezione dove le politiche di «destra» e di «sinistra» e le nuove politiche del «nord» e del «sud» sono obbligate a passare per mantenere il Paese nel suo assetto democratico inscritto nella Costituzione. Il «centro» politico, inteso come «centralità», è un metodo, un’antropologia, un gradualismo di riforme, la moderazione dei linguaggi, il rispetto dell’avversario, la cultura della mediazione. Il mondo cattolico rappresenta un costruire che nasce dal rapporto con l’Altro che aiuta a incontrare chiunque, superando gli ostacoli sociali e politici per trasformarli in opportunità storiche grazie – insegna Papa Francesco – allo «spazio del compromesso […] che supera le contrapposizione che ostacolano il bene comune».
L’Europa voluta da De Gasperi, la scelta dell’euro nel tempo di Prodi, la solidarietà dell’Ue verso l’Italia nel concedere i fondi del Pnrr, l’oculata gestione di Draghi, le grandi riforme della sanità, della scuola e altre ancora sono tutte passate dalla mediazione della centralità politica e dalla cultura moderata. Era proprio De Gasperi a ricordare che “si parla molto di chi va a sinistra o a destra, ma il decisivo è andare avanti, e andare avanti vuol dire andare verso la giustizia sociale”. È questo il punto di intersezione per rifondare «politiche di fiducia», altrimenti le paure e le differenze aumenteranno le tensioni sociali rendendo ingovernabile il Paese.
Occorre rimanere vigili. Le alleanze elettorali non basteranno a sé stesse, come è capitato in questa legislatura, e in Parlamento gli esiti politici, prima ancora che istituzionali, saranno di nuovo da ripensare. Con una legge elettorale diversa si sarebbero potuti includere molti moderati, i protagonisti della società civile e i rappresentanti dei territori, ma, come ricorda la sapienza popolare, “con i se e con i ma la storia non si fa”. La riforma della legge elettorale, che rimane “la madre di tutte le riforme” come diceva Carlo Donat-Cattin, potrebbe invece germogliare da un’iniziativa popolare nei modi stabiliti dalla Costituzione.
Nel medio periodo occorre invece unire e connettere le tante realtà virtuose che sono protagoniste di solidarietà nel Paese, riscoprendo la centralità sussidiaria dei corpi intermedi. Lo crede anche il presidente della Cei, il cardinale Zuppi, che ha chiesto di ricominciare dalla questione ambientale, dal rispetto del creato, di rispondere ai bisogni dei più deboli, facendo diventare la solidarietà una prassi politica. Solo così l’area moderata potrà caratterizzarsi come punto di convergenza dove tutti possono incontrarsi. In caso contrario, la cultura politica continuerà a favorire la forza centrifuga e ad estremizzare scelte, forze e parole.
In questa ora della storia sarebbe una grave omissione se il mondo moderato non rialzasse la testa e non si assumesse la responsabilità di questa nuova stagione, superando i protagonismi personali e contribuendo, attraverso la formazione delle coscienze e la selezione dei politici, a governare la cosa pubblica. I criteri di partenza per riconoscersi rimangono quelli del «buon politico» ricordati da Sturzo, in cui è centrale l’aderenza ad una serie di virtù come l’onestà, la sincerità, il distacco dal denaro e il dovere di non sprecare i finanziamenti pubblici.
Tutto questo nel concreto significa investire sull’istruzione e sulla formazione dei giovani, formare un patto generazionale, investire nell’inclusione sociale e territoriale, nelle politiche ambientali, nella giustizia, in un lavoro degno, nella parità di genere e nella costruzione della pace e dell’Europa. Tornare ad una forza protagonista e gentile nella vita politica del Paese, questo è ciò che i moderati sono chiamati a fare per la nostra società e per le nuove generazioni. Per farlo occorre che la cultura centrista abbia il coraggio di “federarsi”, di ripartire da un metodo e dalle esperienze virtuose che già esistono per progettare il domani con speranza e realismo.
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