5 no ai referendum sulla Giustizia
Intervento di Franco Mirabelli al Circolo PD del Giambellino (video).
Questo è un dato oggettivo, come mostrano i numeri: si aspetta troppo tempo per avere una sentenza sia nel processo civile che in quello penale; ci sono troppi arretrati; a livello nazionale ci sono realtà che funzionano in modo molto diverso tra loro. A questo si aggiunge un problema di credibilità della Giustizia, un po’ dovuto al non dare risposte ai cittadini nei tempi giusti e un po’ è dovuto al problema del governo della magistratura, emerso con le vicende del CSM e di Palamara. La percezione è che l’organo di autogoverno della magistratura vada riformato perché oggi è molto condizionato dalle correnti e questo fa sì che nelle scelte fatte prevalgano troppo spesso ragionamenti molto diversi dal merito.
Questo è il quadro della situazione.
Si anche può scegliere di proseguire la guerra eterna tra magistratura e politica, per cui di fronte alla Giustizia che non funziona e alla scarsa credibilità, si alimenta questo gioco, con uno scontro tra garantisti e giustizialisti.
Il referendum va in questa direzione: ha l’idea di dare un grande messaggio di necessità di cambiamento della Giustizia ma in un modo risibile.
Credo che la politica non possa limitarsi a prendere atto che la giustizia non funziona e scaricarne la responsabilità sulla magistratura ma debba mettere in campo proposte per arrivare a delle soluzioni.
Noi ci siamo trovati in questa Legislatura, con questa strana maggioranza, di fronte ad un fatto importante: il PNRR, per consentire di avere le risorse previste, ci ha messo davanti alla necessità di dover superare alcuni problemi patologici del Paese, tra questi i problemi della Giustizia, i tempi troppo lunghi per i processi civili e penali. Si sono rese necessarie, quindi, riforme che non si era riusciti a fare per molti anni e che ora sono state fatte.
È stata fatta la riforma del processo civile, volta ad accorciare i tempi dei processi e a portare fuori dal percorso processuale tutto ciò che non è necessario che stia dentro, quindi, spingendo con incentivi la mediazione e altre forme di risoluzione delle controversie. È una riforma che porterà a ridurre del 40% i tempi dei processi, come chiede l’Europa.
Allo stesso modo, con la riforma del processo penale è stato fatto uno sforzo per ridurre i tempi, stabilire prima la durata delle diverse fasi processuali (esclusi i processi di mafia e terrorismo).
Ci siamo battuti e abbiamo ottenuto dei cambiamenti anche rispetto alle questioni che riguardano il carcere.
Un quesito referendario riguarda le misure cautelari, non solo la carcerazione preventiva, per chi è indagato in attesa di processo.
In Italia c’è sicuramente un eccesso dell’utilizzo della carcerazione preventiva.
Nella riforma del processo penale, però, abbiamo iniziato a fare una parte importante del ragionamento riguardante il carcere e alla base delle norme introdotte vi è il principio che il carcere deve essere considerato come l’estrema ratio e non l’unica soluzione a qualunque problema.
Nella riforma del processo penale approvata, quindi, c’è una forte spinta all’utilizzo di pene alternative, patteggiamento, messa alla prova come soluzioni per portare fuori dall’ambito processuale le vicende meno gravi.
Abbiamo anche approvato la riforma della presunzione di innocenza che già sta producendo l’effetto di non avere più conferenze stampa di Pubblici Ministeri a inizio indagini, le quali devono essere sempre autorizzate dalle Procure e supportate da motivazioni serie. Questo evita che gli indagati finiscano sulle prime pagine dei giornali prima che venga accertato se sono colpevoli o meno.
Siamo, inoltre, intervenuti più volte a modificare il reato di abuso d’ufficio, che è stato spesso oggetto di sentenze e rinvii a giudizio per gli amministratori locali e abbiamo cercato di chiarire meglio come definire quel reato e non ogni volta che un sindaco si assume la responsabilità di una scelta.
Penso, quindi, che fin qui abbiamo agito bene, facendo ciò che era necessario fare, cioè le riforme. Questa è la strada da seguire.
Sulla Giustizia bisogna affrontare i problemi e fare le riforme per dare risposte ai cittadini e mettere la Giustizia nelle condizioni di funzionare.
La scelta della magistratura di fare lo sciopero non tiene conto di questo. Le cose non possono restare come sono. Le riforme servono anche alla magistratura per recuperare credibilità e questa è la strada, come ha detto anche Draghi.
I magistrati vengono aiutati dalla riforma perché, con i soldi del PNRR, verranno assunte 18mila persone che lavoreranno negli uffici del processo per smaltire gli arretrati e sgravare i giudici da altre attività e consentire loro di concentrarsi sulle sentenze.
Abbiamo stanziato molte risorse del PNRR per la digitalizzazione. La pandemia ha mostrato che l’utilizzo della rete consente di accelerare gli atti e le procedure e può far funzionare meglio l’organizzazione.
In questo quadro, due quesiti referendari sono sbagliati e pericolosi.
Il cosiddetto referendum sulla custodia cautelare, gioca sulla rivendicazione che l’utilizzo della carcerazione preventiva in Italia è eccessivo, in realtà però quel quesito è molto altro.
Le misure cautelari (carcerazione preventiva o utilizzo del braccialetto elettronico o arresti domiciliari o divieto di avvicinamento alle vittime) vengono stabilite dal magistrato quando c’è il pericolo di fuga dell’indagato, il rischio di reiterazione del reato o la pericolosità sociale.
Il referendum toglie la reiterazione del reato come giustificazione per l’utilizzo delle misure cautelari (tutte).
Questo è pericoloso perché metterebbe a repentaglio una norma che serve a tutelare le vittime e la sicurezza pubblica. Si tratta di reati come stalking, truffe agli anziani, spaccio, anche quando gli accusati vengono colti in flagranza di reato.
Un altro quesito che produce un effetto sbagliato è quello che riguarda l’abrogazione della legge Severino.
Credo che la politica, nel corso del tempo, abbia fatto alcune scelte positive per tentare di affrancarsi dal malaffare e per evitare di venir inquinata dal malaffare. La Legge Severino va in questa direzione e prevede procedimenti amministrativi per cui chi commette reati contro il patrimonio, reati gravi o reati mafia decade se ricopre incarichi istituzionali e non può ricandidarsi.
La Legge Severino ha un limite: solo per gli amministratori locali è prevista la sospensione dagli incarichi già dopo la condanna in primo grado.
Questo è sbagliato e abbiamo depositato in Senato da un anno una proposta di legge per cambiare questo meccanismo ma tutti i promotori del referendum (comprese, quindi, le forze politiche della maggioranza) ci hanno risposto di non voler metter mano alla norma fino a dopo il voto perché altrimenti il quesito perderebbe di senso.
Il quesito referendario, però, abolisce tutta la Legge Severino. Questo comporta il fatto che diventerebbe candidabile a ricoprire incarichi pubblici e istituzionali anche chi si è macchiato di reati gravi.
Per i parlamentari, invece, la Legge Severino non prevede la decadenza fino alla sentenza definitiva di condanna e anche questa disparità tra chi è in Parlamento e chi governa i territori andrebbe corretta.
Gli altri tre quesiti sono tecnici e si stanno già affrontando con la riforma dell’ordinamento giudiziario, già approvata alla Camera dei Deputati in modo condiviso e che dal 14 giugno sarà al Senato, perché si è scelto comunque di attendere l’esito del referendum.
Questa riforma interviene sul tema delle cosiddette “porte girevoli” tra politica e magistratura, riducendo di molto la possibilità per i magistrati che svolgono un’esperienza in politica di tornare a ricoprire la stessa funzione precedente; mette mano al funzionamento del CSM, aumentando il numero dei membri togati del CSM per dare la possibilità di separare chi si deve occupare del disciplinare dagli altri.
Nella riforma si stabilisce, inoltre, che ogni magistrato deve tenere un fascicolo con la propria attività, che sarà poi oggetto di valutazione e nel Consiglio Giudiziario, che si occupa di valutare l’operato dei giudici, assumeranno più potere e peso gli avvocati e i professori universitari.
Inoltre, la riforma interviene sul meccanismo elettorale del CSM per diminuire il peso delle correnti.
La riforma, quindi, supera i quesiti referendari nei contenuti e per approvarla ci sono voluti due anni di discussione.
Il quesito sul meccanismo elettorale del CSM parla di abrogare la raccolta firme a sostegno delle candidature ma questo poi non implica che ci sia subito una nuova legge elettorale.
Un altro quesito è volto a dare più consistenza al ruolo degli avvocati nel Consiglio Giudiziario per la valutazione dei giudici.
Un altro quesito riguarda la separazione delle funzioni in magistratura.
La riforma prevede che un giudice possa cambiare una sola volta funzione.
Un magistrato che vince il concorso tende ad accettare il posto che gli viene assegnato da giudicante o da inquirente, anche se non è quello che desidera. Con la riforma, nei primi dieci anni, si dà al magistrato la possibilità di scegliere se essere inquirente o giudicante e nel caso cambiare o meno la funzione, per una sola volta.
Questo esaurisce, dunque, il quesito referendario.
Il tema della separazione delle funzioni, però, viene spiegato come se fosse la separazione delle carriere ma in realtà sono cose diverse.
Per avere la separazione delle carriere è necessaria una riforma costituzionale perché inquirenti e giudicanti dovrebbero avere due forme di autogoverno diverse, mentre ora sono entrambi sotto al CSM.
In origine, il ruolo del Pubblico Ministero era quello di fare le indagini, non era necessariamente un accusatore.
Per separare le carriere bisognerebbe anche decidere poi chi governa i Pubblici Ministeri, altrimenti rischiano di essere solo coloro che indagano per accusare.
Il nostro sistema rischierebbe il fallimento in quel modo.
In ogni caso, non è vero che, siccome giudicanti e inquirenti sono sotto la stessa giurisdizione, uno non dà torto all’altro perché dopo i processi ci sono anche molte sentenze di assoluzione degli imputati. Questo significa che si può avere fiducia nei giudicanti.
I referendum, quindi, possono fare danni e per questo voteremo 5 no e lavoriamo andare avanti sulle riforme della Giustizia, convinti che ai cittadini servano risposte concrete e per chiudere la guerra tra magistratura e politica che sta paralizzando la Giustizia in Italia.
Video dell’intervento»
Video della diretta»
Questo è un dato oggettivo, come mostrano i numeri: si aspetta troppo tempo per avere una sentenza sia nel processo civile che in quello penale; ci sono troppi arretrati; a livello nazionale ci sono realtà che funzionano in modo molto diverso tra loro. A questo si aggiunge un problema di credibilità della Giustizia, un po’ dovuto al non dare risposte ai cittadini nei tempi giusti e un po’ è dovuto al problema del governo della magistratura, emerso con le vicende del CSM e di Palamara. La percezione è che l’organo di autogoverno della magistratura vada riformato perché oggi è molto condizionato dalle correnti e questo fa sì che nelle scelte fatte prevalgano troppo spesso ragionamenti molto diversi dal merito.
Questo è il quadro della situazione.
Si anche può scegliere di proseguire la guerra eterna tra magistratura e politica, per cui di fronte alla Giustizia che non funziona e alla scarsa credibilità, si alimenta questo gioco, con uno scontro tra garantisti e giustizialisti.
Il referendum va in questa direzione: ha l’idea di dare un grande messaggio di necessità di cambiamento della Giustizia ma in un modo risibile.
Credo che la politica non possa limitarsi a prendere atto che la giustizia non funziona e scaricarne la responsabilità sulla magistratura ma debba mettere in campo proposte per arrivare a delle soluzioni.
Noi ci siamo trovati in questa Legislatura, con questa strana maggioranza, di fronte ad un fatto importante: il PNRR, per consentire di avere le risorse previste, ci ha messo davanti alla necessità di dover superare alcuni problemi patologici del Paese, tra questi i problemi della Giustizia, i tempi troppo lunghi per i processi civili e penali. Si sono rese necessarie, quindi, riforme che non si era riusciti a fare per molti anni e che ora sono state fatte.
È stata fatta la riforma del processo civile, volta ad accorciare i tempi dei processi e a portare fuori dal percorso processuale tutto ciò che non è necessario che stia dentro, quindi, spingendo con incentivi la mediazione e altre forme di risoluzione delle controversie. È una riforma che porterà a ridurre del 40% i tempi dei processi, come chiede l’Europa.
Allo stesso modo, con la riforma del processo penale è stato fatto uno sforzo per ridurre i tempi, stabilire prima la durata delle diverse fasi processuali (esclusi i processi di mafia e terrorismo).
Ci siamo battuti e abbiamo ottenuto dei cambiamenti anche rispetto alle questioni che riguardano il carcere.
Un quesito referendario riguarda le misure cautelari, non solo la carcerazione preventiva, per chi è indagato in attesa di processo.
In Italia c’è sicuramente un eccesso dell’utilizzo della carcerazione preventiva.
Nella riforma del processo penale, però, abbiamo iniziato a fare una parte importante del ragionamento riguardante il carcere e alla base delle norme introdotte vi è il principio che il carcere deve essere considerato come l’estrema ratio e non l’unica soluzione a qualunque problema.
Nella riforma del processo penale approvata, quindi, c’è una forte spinta all’utilizzo di pene alternative, patteggiamento, messa alla prova come soluzioni per portare fuori dall’ambito processuale le vicende meno gravi.
Abbiamo anche approvato la riforma della presunzione di innocenza che già sta producendo l’effetto di non avere più conferenze stampa di Pubblici Ministeri a inizio indagini, le quali devono essere sempre autorizzate dalle Procure e supportate da motivazioni serie. Questo evita che gli indagati finiscano sulle prime pagine dei giornali prima che venga accertato se sono colpevoli o meno.
Siamo, inoltre, intervenuti più volte a modificare il reato di abuso d’ufficio, che è stato spesso oggetto di sentenze e rinvii a giudizio per gli amministratori locali e abbiamo cercato di chiarire meglio come definire quel reato e non ogni volta che un sindaco si assume la responsabilità di una scelta.
Penso, quindi, che fin qui abbiamo agito bene, facendo ciò che era necessario fare, cioè le riforme. Questa è la strada da seguire.
Sulla Giustizia bisogna affrontare i problemi e fare le riforme per dare risposte ai cittadini e mettere la Giustizia nelle condizioni di funzionare.
La scelta della magistratura di fare lo sciopero non tiene conto di questo. Le cose non possono restare come sono. Le riforme servono anche alla magistratura per recuperare credibilità e questa è la strada, come ha detto anche Draghi.
I magistrati vengono aiutati dalla riforma perché, con i soldi del PNRR, verranno assunte 18mila persone che lavoreranno negli uffici del processo per smaltire gli arretrati e sgravare i giudici da altre attività e consentire loro di concentrarsi sulle sentenze.
Abbiamo stanziato molte risorse del PNRR per la digitalizzazione. La pandemia ha mostrato che l’utilizzo della rete consente di accelerare gli atti e le procedure e può far funzionare meglio l’organizzazione.
In questo quadro, due quesiti referendari sono sbagliati e pericolosi.
Il cosiddetto referendum sulla custodia cautelare, gioca sulla rivendicazione che l’utilizzo della carcerazione preventiva in Italia è eccessivo, in realtà però quel quesito è molto altro.
Le misure cautelari (carcerazione preventiva o utilizzo del braccialetto elettronico o arresti domiciliari o divieto di avvicinamento alle vittime) vengono stabilite dal magistrato quando c’è il pericolo di fuga dell’indagato, il rischio di reiterazione del reato o la pericolosità sociale.
Il referendum toglie la reiterazione del reato come giustificazione per l’utilizzo delle misure cautelari (tutte).
Questo è pericoloso perché metterebbe a repentaglio una norma che serve a tutelare le vittime e la sicurezza pubblica. Si tratta di reati come stalking, truffe agli anziani, spaccio, anche quando gli accusati vengono colti in flagranza di reato.
Un altro quesito che produce un effetto sbagliato è quello che riguarda l’abrogazione della legge Severino.
Credo che la politica, nel corso del tempo, abbia fatto alcune scelte positive per tentare di affrancarsi dal malaffare e per evitare di venir inquinata dal malaffare. La Legge Severino va in questa direzione e prevede procedimenti amministrativi per cui chi commette reati contro il patrimonio, reati gravi o reati mafia decade se ricopre incarichi istituzionali e non può ricandidarsi.
La Legge Severino ha un limite: solo per gli amministratori locali è prevista la sospensione dagli incarichi già dopo la condanna in primo grado.
Questo è sbagliato e abbiamo depositato in Senato da un anno una proposta di legge per cambiare questo meccanismo ma tutti i promotori del referendum (comprese, quindi, le forze politiche della maggioranza) ci hanno risposto di non voler metter mano alla norma fino a dopo il voto perché altrimenti il quesito perderebbe di senso.
Il quesito referendario, però, abolisce tutta la Legge Severino. Questo comporta il fatto che diventerebbe candidabile a ricoprire incarichi pubblici e istituzionali anche chi si è macchiato di reati gravi.
Per i parlamentari, invece, la Legge Severino non prevede la decadenza fino alla sentenza definitiva di condanna e anche questa disparità tra chi è in Parlamento e chi governa i territori andrebbe corretta.
Gli altri tre quesiti sono tecnici e si stanno già affrontando con la riforma dell’ordinamento giudiziario, già approvata alla Camera dei Deputati in modo condiviso e che dal 14 giugno sarà al Senato, perché si è scelto comunque di attendere l’esito del referendum.
Questa riforma interviene sul tema delle cosiddette “porte girevoli” tra politica e magistratura, riducendo di molto la possibilità per i magistrati che svolgono un’esperienza in politica di tornare a ricoprire la stessa funzione precedente; mette mano al funzionamento del CSM, aumentando il numero dei membri togati del CSM per dare la possibilità di separare chi si deve occupare del disciplinare dagli altri.
Nella riforma si stabilisce, inoltre, che ogni magistrato deve tenere un fascicolo con la propria attività, che sarà poi oggetto di valutazione e nel Consiglio Giudiziario, che si occupa di valutare l’operato dei giudici, assumeranno più potere e peso gli avvocati e i professori universitari.
Inoltre, la riforma interviene sul meccanismo elettorale del CSM per diminuire il peso delle correnti.
La riforma, quindi, supera i quesiti referendari nei contenuti e per approvarla ci sono voluti due anni di discussione.
Il quesito sul meccanismo elettorale del CSM parla di abrogare la raccolta firme a sostegno delle candidature ma questo poi non implica che ci sia subito una nuova legge elettorale.
Un altro quesito è volto a dare più consistenza al ruolo degli avvocati nel Consiglio Giudiziario per la valutazione dei giudici.
Un altro quesito riguarda la separazione delle funzioni in magistratura.
La riforma prevede che un giudice possa cambiare una sola volta funzione.
Un magistrato che vince il concorso tende ad accettare il posto che gli viene assegnato da giudicante o da inquirente, anche se non è quello che desidera. Con la riforma, nei primi dieci anni, si dà al magistrato la possibilità di scegliere se essere inquirente o giudicante e nel caso cambiare o meno la funzione, per una sola volta.
Questo esaurisce, dunque, il quesito referendario.
Il tema della separazione delle funzioni, però, viene spiegato come se fosse la separazione delle carriere ma in realtà sono cose diverse.
Per avere la separazione delle carriere è necessaria una riforma costituzionale perché inquirenti e giudicanti dovrebbero avere due forme di autogoverno diverse, mentre ora sono entrambi sotto al CSM.
In origine, il ruolo del Pubblico Ministero era quello di fare le indagini, non era necessariamente un accusatore.
Per separare le carriere bisognerebbe anche decidere poi chi governa i Pubblici Ministeri, altrimenti rischiano di essere solo coloro che indagano per accusare.
Il nostro sistema rischierebbe il fallimento in quel modo.
In ogni caso, non è vero che, siccome giudicanti e inquirenti sono sotto la stessa giurisdizione, uno non dà torto all’altro perché dopo i processi ci sono anche molte sentenze di assoluzione degli imputati. Questo significa che si può avere fiducia nei giudicanti.
I referendum, quindi, possono fare danni e per questo voteremo 5 no e lavoriamo andare avanti sulle riforme della Giustizia, convinti che ai cittadini servano risposte concrete e per chiudere la guerra tra magistratura e politica che sta paralizzando la Giustizia in Italia.
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