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Dialog Milano, le religioni e l’accoglienza dei profughi

Written by Stefano Pasta.

Stefano Pasta
Articolo pubblicato dal Corriere della Sera

Le note di Karim Wasfi sulle macerie di Baghdad hanno fatto il giro del mondo, raggiungendo televisioni e giornali internazionali. Quando lo scorso 27 aprile un’autobomba ha ucciso dieci persone nella capitale irachena, lui, direttore dell’Orchestra sinfonica nazionale, è sceso in strada improvvisando un concerto. Tutti quanti – soldati, netturbini, lavoratori – si sono riuniti e sono venuti ad ascoltare la musica. Anche chi guidava si è fermato. La settimana successiva due nuovi attentati (l’Isis colpisce soprattutto i quartieri sciiti della città) hanno ucciso 17 persone.
E il Maestro ha ripreso a suonare accanto ai palazzi crollati. «Il violoncello – dice – non può fermare le bombe, ma è un segno di perseveranza per dire che la vita è bella e vale la pena viverla sino in fondo».
Il 10 giugno la musica di Wasfi è arrivata a Milano, intervallando l’incontro “Viaggi della speranza: Europa, religioni e accoglienza”. Si tratta del primo degli eventi di Dialog, l’iniziativa della Comunità di Sant’Egidio in collaborazione con il Forum delle Religioni e il Comune per promuovere il dialogo interreligioso durante i mesi di Expo.
Al Teatro Litta, uomini e donne di religioni diverse hanno ripetuto che «l’accoglienza è sacra» (con le parole dell’imam di Catania), «luminosa» (la pastora calvinista di Losanna), «la traduzione concreta della nostra fede» (il presidente cattolico della Caritas turca). Da non credente Pierfrancesco Majorino ha aggiunto: «Perché decidiamo di accogliere? Perché siamo di fronte a persone». Lui è assessore alle Politiche sociali in una città, Milano, che nei propri dormitori ha accolto 64mila siriani ed eritrei in 20 mesi.
Oggi nel mondo i rifugiati sono 51 milioni, il numero più alto dalla Seconda guerra mondiale.
«Di fronte a chi invita a non accogliere – dice Giorgio Del Zanna della Comunità di Sant’Egidio – il compito delle religioni è indicare la via dell’accoglienza. Vuol dire aiutare l’Europa a ritrovare l’anima di apertura verso chi fugge dalla guerra, che è quella dei principi democratici e della sua tradizione umanistica».
Rinaldo Marmara, presidente della Caritas turca ed esponente delle minoranza cattolica in Anatolia, racconta dell’aiuto ai profughi siriani, iracheni e afghani. Dice: «Solo i siriani accolti in Turchia sono 1 milione e 800mila, di cui 350mila solo a Istanbul». Nel 2014 tutti i profughi siriani arrivati in Italia sono stati 42mila, 150mila in Europa (su 507 milioni di abitanti). Il piccolo Libano (4,6 milioni di abitanti) ne ospita un milione e mezzo. Anche i numeri aiutano a capire. Recentemente la Valle d’Aosta ha rifiutato di accogliere 79 profughi: la motivazione è che ne ospitava già 62 (unità, non mila).
Nell’incontro al Teatro Litta si parla delle fughe dei profughi, ma soprattutto delle motivazioni: le bombe di Baghdad, la Siria al quinto anno di guerra, la dittatura eritrea. Tra i 55mila profughi sbarcati in Italia dall’inizio del 2015 al 6 giugno, gli eritrei sono la prima nazionalità (11.275). «Scappano da una prigione a cielo aperto – dice l’italoeritrea Alganesh Fessaha dell’ong Gandhi – dove il servizio militare è permanente, dura dai 16 ai 54 anni». A marzo la Commissione d’inchiesta Onu sull’Eritrea, istituita dall’Human Rights Council, ha presentato a Ginevra una relazione che parla di «repressione senza pietà».
Alganesh salva i profughi dal Corno d’Africa alle carceri egiziane, dalla Libia al Sudan. In particolare negli ultimi anni ha liberato 750 eritrei ed etiopi rapiti nel Sinai. Dalla sua casa di Milano parte periodicamente per il deserto, dove alcuni clan beduini hanno costituito una vera e propria rete mafiosa. «Chiedono ai parenti il riscatto – racconta – con telefonate durante le quali torturano i sequestrati con plastica fusa sulla pelle, o li percuotono con bastoni e spranghe, mentre i loro capelli vengono bruciati con il kerosene e le donne violentate». E aggiunge: «In quest’opera di salvataggio mi aiuta lo sceicco salafita Awwad Mohamed Ali Hassan che abita nel Sinai. Partiamo entrambi dal nostro credo religioso: cattolica io, musulmano lui».
Ne aveva sentito parlare da alcuni profughi ed è andata a cercarlo a pochi chilometri dal confine con Israele.
«Era sbalordito – racconta del loro primo incontro – che fossi una donna, cristiana, sola. Mi chiese perché ero venuta. Gli spiegai il motivo, aggiungendo un po’ impaurita che me ne sarei andata subito”. “Tu non vai via” disse. “Pensai di essere finita nelle mani dei trafficanti, ma poi aggiunse: “Vai via domani perché la strada è pericolosa”. Mangiai con sua madre e passai la notte nella tenda con le donne, senza chiudere occhio per la paura. Il silenzio del deserto era rotto dagli spari tra beduini ed esercito egiziano». All’alba lo sceicco andò dai beduini: «Chiese il rilascio dei sequestrati – racconta Alganesh – nel nome di Allah e da allora, nella preghiera islamica del venerdì, condanna sempre la la tratta di esseri umani».
Altre alleanze interreligiose a favore dei profughi vengono narrate al convegno di Dialog. Kheit Abdelhafid, imam della moschea di Catania e presidente della Comunità islamica di Sicilia, dice: «Nella nostra moschea sono ospitati profughi siriani e collaboriamo con la Comunità di Sant’Egidio in occasione degli sbarchi». Diane Barraud, pastora della Chiesa evangelica riformata svizzera, gestisce il Point d’Appui a Losanna insieme a un teologo cattolico. Racconta: «Assistiamo i migranti e i richiedenti asilo. In questi anni abbiamo visto gli effetti negativi dell’accordo europeo di Dublino. Un ragazzo eritreo, con due fratelli regolarmente residenti da anni in Svizzera, è stato appena rimandato in Italia perché fotosegnalato al momento dello sbarco. È una scelta sbagliata: i due fratelli avrebbero potuto sostenerlo nel percorso di integrazione».
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