Le elezioni, il PD e i territori
È utile fare alcune valutazioni politiche rispetto al risultato delle elezioni regionali che si sono appena svolte. A mio avviso, emerge in modo chiaro che è centrale accelerare il lavoro che ha costruito la commissione guidata dal Vicesegretario del PD Lorenzo Guerini e dal Presidente Matteo Orfini sulle regole interne. In discussione c’è sicuramente il rapporto del Segretario con le minoranze interne ma anche alcuni nodi da sciogliere su vicende concrete, in particolare sulla riforma della scuola e sulla riforma del Senato. Su queste riforme, l’orientamento di Matteo Renzi è quello di riaprire in parte la discussione, concentrandosi su alcuni punti (in particolare per ciò che concerne la riforma del Senato perché sulla scuola alcune modifiche sono state già apportate alla Camera dei Deputati). Resta che l’idea di base è quella di non prolungare all’infinito le discussioni.
Per quanto riguarda la riforma della scuola, l’orientamento è quello di approvare la riforma tutta insieme - e non stralciandone delle parti - in tempi utili per poter far fronte alla vicenda dei precari in modo che vengano assunti per renderli operativi già dal prossimo anno. Non è accolto, quindi, l’invito della minoranza di stralciare la parte sui precari e approvarla subito per poi fermare tutto il resto perché è evidente che seguire questa strada non è praticabile se si vuole concludere e portare a casa la riforma. Probabilmente, sulla vicenda della scuola è stato fatto anche qualche errore. La riforma della scuola è stata lanciata un anno fa, c’è stata una campagna di ascolto e alla fine sembra quasi che sia stata preparata una proposta di legge su cui non era d’accordo nessuno, per cui evidentemente qualcosa non ha funzionato nella campagna di ascolto.
Per quanto riguarda la riforma della scuola, l’orientamento è quello di approvare la riforma tutta insieme - e non stralciandone delle parti - in tempi utili per poter far fronte alla vicenda dei precari in modo che vengano assunti per renderli operativi già dal prossimo anno. Non è accolto, quindi, l’invito della minoranza di stralciare la parte sui precari e approvarla subito per poi fermare tutto il resto perché è evidente che seguire questa strada non è praticabile se si vuole concludere e portare a casa la riforma. Probabilmente, sulla vicenda della scuola è stato fatto anche qualche errore. La riforma della scuola è stata lanciata un anno fa, c’è stata una campagna di ascolto e alla fine sembra quasi che sia stata preparata una proposta di legge su cui non era d’accordo nessuno, per cui evidentemente qualcosa non ha funzionato nella campagna di ascolto.
In Parlamento, comunque, la preoccupazione non riguarda i pochi voti di maggioranza al Senato: i due senatori Mauro e Di Maggio è già da molto tempo che votano contro il Governo, per cui non c’è alcuna novità numerica in questo.
Sul risultato elettorale ha sicuramente pesato lo scontro interno al PD relativo alla riforma della legge elettorale ma anche la vicenda legata alla sentenza della Corte Costituzionale sull’indicizzazione delle pensioni e le discussioni che ne sono seguite. Il PD ha risolto tutto molto brillantemente ma è evidente che in una politica tutta urlata e in cui tutto si semplifica anche queste vicende hanno mandato all’esterno messaggi poco rassicuranti.
Un altro messaggio negativo in generale è stato dato da tutta la vicenda degli impresentabili, che è nata dai giornali molto prima che se ne occupasse la Commissione Parlamentare Antimafia e su cui Rosy Bindi è poi saltata sopra. Avremmo dovuto dire che c’era una sproporzione enorme tra una campagna mediatica fatta tutta sugli impresentabili candidati e la realtà dei fatti perché poi, come si è visto, i problemi riguardavano un numero esiguo di persone, invece con la presentazione della lista da parte della Presidente della Commissione Antimafia si è andati a implementare ulteriormente quella campagna. Il risultato è che si è fatta una campagna elettorale senza che si sia parlato mai dei temi territoriali delle Regioni in cui si votava. È evidente, quindi, che discutere solo di impresentabili ha contribuito ad alimentare una sfiducia nell’elettorato. In questo va ricercata una parte delle spiegazioni sull’astensionismo così alto.
Inoltre, al di là del merito, questa discussione si è rivolta in prevalenza contro il Partito Democratico perché, anche se le nostre liste erano pulite, sia il Movimento Cinque Stelle che SEL hanno lavorato molto per far apparire il PD come una forza dai candidati discutibili dal punto di vista della legalità. Il PD, a prescindere da ciò che è successo in Commissione Antimafia, non ha saputo dare una risposta forte e adeguata a questa situazione che si stava creando.
Il Partito Democratico ha avuto comunque un buon risultato elettorale. I numeri dicono questo. Su 12 Regioni che hanno votato nelle ultime tornate, il PD è passato dal governarne 6 a oggi in cui ne governa 10 (complessivamente il PD governa 17 Regioni su 21) e in un clima politico in cui in Europa tutti i partiti che sono al governo tendono a perdere in modo molto significativo. Non è comunque semplicissimo fare una valutazione sul risultato del PD perché ci sono state anche molte liste civiche; in Veneto addirittura risulta che il 7% di coloro che avrebbero votato PD ha preferito votare Zaia e questo indica che c’è una forte mobilità elettorale anche legata al merito delle questioni territoriali e alle capacità di governo dei candidati e all’offerta politica in campo.
Il punto è che il PD si è illuso che il risultato del 40% ottenuto alle elezioni europee fosse un patrimonio intangibile mentre in realtà non era così e, in questa fase, si è visto che sono mancate politiche territoriali convincenti (soprattutto in Liguria e Veneto) e da qui emerge anche la necessità di ripensare al partito e reinvestire sul partito, sui gruppi dirigenti, sui territori e anche sul fatto che occorre costruire una classe dirigente sui territori che sia coerente con la linea politica nazionale. Oggi non c’è una classe dirigente con un proprio radicamento territoriale capace di tradurre sui territori la linea politica nazionale. Questo non significa portare il renzismo: non si vincono le elezioni a Cologno Monzese o a Parabiago perché Renzi è il Segretario del PD ma lì serve una capacità di iniziativa politica che evidentemente fino ad ora è mancata. Venendo alla città di Milano, il cominciare a discutere delle possibili candidature a sindaco senza un minimo di bussola politica rischia di riprodurre gli stessi errori che sono stati fatti in Liguria. Con quella modalità si va contro al muro. Il centrodestra, anche dopo questo risultato elettorale, metterà in campo tutto ciò che ha da spendere per vincere a Milano e poter così ripartire da Milano per provare a vincere nazionalmente. Questo passaggio, quindi, va gestito con attenzione e una riflessione occorre farla, anche perché al momento la segreteria milanese non ha ancora preso alcuna decisione. La proliferazione di candidati a cui assistiamo, a prescindere da qualunque ragionamento politico, dal rapporto con l’amministrazione Pisapia, dal giudizio politico su ciò che è stato fatto e dalla proposta politica da mettere in campo è pericolosa. Era sensato il percorso tracciato dalla segreteria milanese in cui il 13 giugno con l’evento MilanoDomani si sarebbe intrapresa la costruzione di un percorso e poi da lì si parte per andare avanti, altrimenti il tutto diventa una fiera.
Per seguire l'attività del senatore Franco Mirabelli: sito web - pagina facebook