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Sviluppo e sostenibilità: una politica estera rinnovata per l’Italia

Written by Marina Sereni.

Articolo di Marina Sereni pubblicato da Le Grand Continent.

L’anno che si è appena concluso è stato intenso e difficile. La pandemia e la crisi hanno messo alla prova le capacità di risposta e di progettualità di istituzioni nazionali e multilaterali. Molto è stato fatto, anche imparando da errori iniziali, e molto rimane da fare. È ancora presto per dire se siamo riusciti ad evitare il peggio ed è ancora più difficile giudicare se siamo riusciti a gettare le basi per risolvere le vulnerabilità che questa crisi ha evidenziato e per affrontare la grande emergenza climatica che è sotto gli occhi di tutti.
Con la sua Presidenza del G20 e co-presidenza della COP26, nel corso del 2021 l’Italia ha avuto un ruolo di primo piano nello scacchiere multilaterale per costruire il consenso necessario a trovare soluzioni condivise, efficaci, durature e giuste alle sfide sanitarie ed economiche. Il nostro sforzo è stato guidato dalla convinzione che la cooperazione multilaterale sia la chiave per affrontare le transizioni – digitale, ecologica, demografica – che definiscono e definiranno sempre più il benessere del pianeta. Pianeta, Persone e Prosperità sono state le parole chiave della nostra Presidenza del G20. Sono anche gli elementi chiave del concetto di sviluppo sostenibile – un tema e una preoccupazione che abbiamo fortemente voluto porre al centro dell’agenda del G20.
Le conseguenze dell’attuale crisi sui Paesi in via di sviluppo sono, infatti, molto pesanti e purtroppo a lungo termine. Si possono infatti già osservare segni di arretramento su diversi fronti rispetto agli Indicatori di sviluppo umano, causati dalla crisi economica e dalle conseguenze delle misure di contenimento alla pandemia: l’aggravarsi della povertà e dell’insicurezza alimentare, dell’ineguaglianza di genere e dell’abbandono scolastico, con gravi implicazioni in termini dei livelli di istruzione soprattutto femminile. Inoltre, queste cicatrici rischiano di accrescere il malcontento e la frustrazione dei cittadini – preesistenti al COVID-19 – e renderli fattori ancora più destabilizzanti.
La priorità rimane sicuramente quella di fermare il virus e le sue varianti; di distribuire e rendere il vaccino accessibile e accettabile a tutti (meno del 14% della popolazione africana ha ricevuto almeno una dose di vaccino e meno del 9% ne ha ricevute due1) e di mitigare le conseguenze socio-economiche della crisi, anche attraverso misure eccezionali per fornire liquidità ai Paesi in via di sviluppo (PVS). Questo senza perdere di vista altre sfide globali come la difesa dell’ambiente e la lotta ai cambiamenti climatici. La crisi che stiamo vivendo rafforza la necessità di ripensare e costruire nuovi modelli di sviluppo che siano più giusti e sostenibili.
La priorità rimane sicuramente quella di fermare il virus e le sue varianti; di distribuire e rendere il vaccino accessibile e accettabile a tutti e di mitigare le conseguenze socio-economiche della crisi, anche attraverso misure eccezionali per fornire liquidità ai Paesi in via di sviluppo (PVS). Questo senza perdere di vista altre sfide globali come la difesa dell’ambiente e la lotta ai cambiamenti climatici.
La risposta a tali sfide è un’ardua impresa, sia dal punto di vista della sua attuazione, sia dal punto di vista della sua previa formulazione. Che fare? Sicuramente, non rispondere alla crisi ed al mondo che verrà con l’unilateralismo, ma con una rinnovata cooperazione multilaterale basata sul dialogo e su regole condivise.

Come Presidenza italiana del G20 ci siamo adoperati per rispondere alla crisi nel modo più efficace, inclusivo ed innovativo possibile. Un primo e preoccupante scenario rispetto al quale siamo tutti chiamati a collaborare e che ha subito gravi peggioramenti a causa della crisi è quello dell’insicurezza alimentare. A livello mondiale, il numero di persone colpite dalla fame è in aumento dal 2014, con un totale di denutriti che potrebbe superare gli 850 milioni entro il 2030. La pandemia potrebbe aggiungere più di 100 milioni di persone a tale cifra. Per questo abbiamo deciso di dedicare la Ministeriale congiunta Esteri e Sviluppo di Matera del 29 giugno 2021 al tema dell’insicurezza alimentare. In quell’occasione, abbiamo sostenuto l’importanza del rinnovare lo slancio politico necessario per affrontare le crisi alimentari emergenti e raggiungere entro il 2030 l’obiettivo di “Fame Zero”.
Ho constatato un ampio consenso in ambito G20 per raggiungere questo importante risultato. I paesi del G20 non solo possono ma devono dare l’esempio: rafforzando il sistema di commercio internazionale, assicurandosi che le nostre politiche siano coerenti con gli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile (SDGs) e con gli Accordi di Parigi sul Clima, valorizzando le organizzazioni internazionali aventi un ruolo centrale sul tema agroalimentare, in particolare quelle con sede a Roma (FAO, WFP, IFAD).
A Matera abbiamo approvato una Dichiarazione su sicurezza alimentare, nutrizione e sistemi alimentari. Si tratta di un risultato importante in quanto non c’era mai stata da parte del G20 una presa di posizione nei confronti dell’intera comunità internazionale sulla sicurezza alimentare globale così forte e così specifica nelle sue aree tematiche prioritarie. La Dichiarazione di Matera contiene anche l’invito ad aderire alla Food Coalition, iniziativa promossa dall’Italia, in ambito FAO, al fine di contrastare le ripercussioni che la pandemia sta avendo sulla sicurezza alimentare globale. Con il supporto del G20 e dei suoi partner, la Food Coalition potrebbe effettivamente diventare un’alleanza globale per azioni coordinate per la sicurezza alimentare. L’importanza di un approccio coordinato diventa ancora più importante alla luce del forte aumento dei prezzi alimentari. L’indice FAO ha raggiunto un livello che non si registrava dal 2011, quando la crisi dei prezzi alimentari spinse, secondo la Banca Mondiale, oltre 40 milioni di persone al di sotto della soglia di povertà estrema.

La crisi ha ulteriormente aggravato il problema del finanziamento dello sviluppo per i PVS: a fronte della necessità di sostenere maggiori spese, questi paesi hanno visto ridursi le proprie risorse interne e quelle legate ad esportazioni, investimenti esteri, rimesse dei migranti e aiuti allo sviluppo. Il risultato è stato un aumento del debito e un rischio di possibile insolvenza.
Sul fronte dei finanziamenti, il G20 si è adoperato per assicurare sufficiente liquidità ai Paesi più vulnerabili. La proroga della Debt Service Suspension Initiative fino alla fine del 2021 è una decisione positiva anche se purtroppo non sufficiente, dato che si applica solo ai paesi a basso reddito, escludendo paesi vulnerabili a medio reddito. Inoltre, una gran parte del debito non è più di proprietà dei paesi creditori membri del Club di Parigi o dei creditori ufficiali come le Banche Multilaterali, bensì in possesso di paesi emergenti e/o di creditori privati. Questo passa attraverso un trattamento comparativo ed un’equa condivisione degli oneri tra creditori pubblici e privati. Finora, hanno beneficiato complessivamente del DSSI 39 Paesi di cui 26 africani anche se l’impegno del settore privato nell’iniziativa non è stato finora pari alle aspettative.
In ogni caso, dilazionare il pagamento degli interessi sul debito non è abbastanza. In Africa, per esempio, la crescita della spesa per interessi sul debito estero ha assorbito quasi due terzi dell’incremento del gettito da imposte realizzato nella decade precedente la pandemia. La crisi attuale e il probabile aumento dei tassi di interesse aggraverà la situazione. I Paesi in via di sviluppo necessitano di nuove risorse da investire nel proprio sviluppo e di un approccio sistemico alla questione dell’indebitamento.
La proroga della Debt Service Suspension Initiative fino alla fine del 2021 è una decisione positiva anche se purtroppo non sufficiente, dato che si applica solo ai paesi a basso reddito, escludendo paesi vulnerabili a medio reddito.
Sul primo aspetto, il sostegno del G20 alla creazione di 650 miliardi di dollari di “Special Drawing Rights” (SDR) da parte del Fondo Monetario Internazionale (FMI) è stato determinante e la loro possibile parziale riassegnazione su base volontaria a beneficio dei paesi in difficoltà è un ulteriore passo in avanti.
Naturalmente, c’è ancora molto da fare. È urgente trovare soluzioni e strumenti innovativi per aiutare a espandere lo spazio fiscale dei Paesi partner. Il G20 si è impegnato ad accelerare il rifinanziamento dell’International Development Association –(IDA) e a lavorare su una ricostituzione ambiziosa del Fondo africano di sviluppo nel 2022. L’accordo raggiunto in dicembre ha permesso alla Banca Mondiale di raccogliere una cifra record grazie alla quale l’IDA potrà aiutare i 74 paesi più poveri. Al contempo, le sfide sono di una tale portata – anche nei paesi a reddito-medio – da richiedere soluzioni innovative per catalizzare altri fonti di finanziamento. Dobbiamo espandere l’uso delle garanzie e della finanza mista, incoraggiando le nostre banche di sviluppo a collaborare con le banche pubbliche di sviluppo dei PVS, investendo nel rafforzamento dei mercati locali dei capitali e sulla capacità di migliorare la raccolta e la gestione delle imposte.
In tal senso, il Gruppo di lavoro per lo sviluppo (Development Working Group) del G20 si è concentrato su tre questioni chiave per aumentare la mobilitazione e l’uso delle risorse per il finanziamento dello sviluppo sostenibile. La Presidenza Italiana ha lavorato in modo aperto e inclusivo coinvolgendo nel dibattito anche esponenti della società civile, rappresentanti di istituzioni internazionali e di PVS al fine di fornire un quadro più completo ai ministri dello sviluppo e dei Leader del G20 su questi tre temi.
In primo luogo, abbiamo preso in considerazione la necessità di sostenere strategie di finanziamento nazionali che consentano ai governi dei paesi in via di sviluppo di massimizzare le sinergie tra le risorse nazionali e internazionali al fine di poterle impiegare nella maniera più efficiente. Al riguardo, abbiamo deciso di sostenere i quadri finanziari nazionali integrati (INFFs, Integrated National Financing Frameworks), uno strumento che oltre 70 Paesi stanno sperimentando e che rappresenta un valido meccanismo per migliorare il coordinamento fra i donatori, le banche di sviluppo multilaterali e i governi nazionali favorendo l’allineamento fra risorse finanziarie e spesa pubblica.
In secondo luogo, abbiamo lavorato per promuovere il ricorso da parte dei PVS a strumenti finanziari legati alla sostenibilità, quali le obbligazioni “verdi” o “sociali” che sono sempre più diffuse nei paesi avanzati ma che presentano varie problematiche non solo per una loro maggiore diffusione a livello globale ma anche per evitare il greenwashing, garantendo che i fondi raccolti siano effettivamente impiegati per finanziare progetti di sviluppo sostenibile.
Infine, ci siamo adoperati per sviluppare una visione comune del G20 su come lavorare con i PVS per assicurare un adeguato allineamento delle risorse fiscali agli SDGs, al fine di garantire che i finanziamenti forniti dai paesi del G20 ai paesi in via di sviluppo abbiano un massimo impatto sulla ripresa e sul raggiungimento di questi ultimi. È un obiettivo ambizioso e sicuramente complesso, ma che ha trovato un riscontro molto positivo nei PVS, soprattutto in Africa, dove la Commissione Economica delle Nazioni Unite ha manifestato la sua disponibilità ad avviare progetti pilota.
In un simile contesto, una rinnovata cooperazione multilaterale si mostra sempre più necessaria. Per esempio, nel campo della cooperazione allo sviluppo, la comunità dei Paesi donatori non può pensare di poter risolvere la crisi a livello globale da sola. È necessaria un’ottica di totale ascolto e di dialogo costruttivo e paritario con gli altri, rafforzando la cooperazione con i paesi in via di sviluppo e, più in generale, con le economie emergenti. I progressi fatti in materia di tassazione delle imprese multinazionali sono stati possibili perché si è costruito in ambito OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) un quadro inclusivo con quasi 140 Paesi per definire, insieme, le nuove regole.

Tra le priorità del G20 sotto Presidenza italiana, abbiamo inteso valorizzare il ruolo fondamentale delle città – in primis le città intermedie – e dell’urbanizzazione sostenibile nei paesi in via di sviluppo. Se parliamo di Agenda 2030 e del raggiungimento degli SDGs, non ci si può permettere di trascurare la dimensione locale e il ruolo trasformativo delle città intermedie. Queste ultime non hanno finora ricevuto – sorprendentemente – sufficiente attenzione a livello globale. E invece le città, specialmente quelle piccole e medie, si sono trovate in prima linea ad affrontare i bisogni e le emergenze, svolgendo un ruolo fondamentale nella risposta alla pandemia e rivelandosi, sempre di più, attori indispensabili per una ripresa inclusiva, resiliente e sostenibile. Nel Comunicato conclusivo della Ministeriale Sviluppo G20 dello scorso giugno, abbiamo riconosciuto che “le città intermedie offrono un potenziale significativo, ma spesso inesplorato e sottoutilizzato, per il raggiungimento degli SDGs a livello locale e […] possono svolgere un ruolo determinante, di concerto con i governi nazionali, per far progredire un modello di sviluppo che sia più inclusivo, resiliente e sostenibile”.
Una rinnovata cooperazione multilaterale si mostra sempre più necessaria. Per esempio, nel campo della cooperazione allo sviluppo, la comunità dei Paesi donatori non può pensare di poter risolvere la crisi a livello globale da sola.
Le città intermedie ospitano attualmente il 20% della popolazione mondiale e un terzo della popolazione urbana totale. L’OCSE e UCLG (Unione delle Città e dei Governi Locali) hanno stimato che gli investimenti realizzati a livello delle autorità subnazionali – ovvero, amministrazioni pubbliche di media grandezza – rappresentavano, nell’epoca pre-pandemica, quasi il 60% del totale degli investimenti pubblici nei paesi ad alto reddito. Cifre che mostrano la rilevanza cruciale delle autorità locali per l’attuazione delle politiche pubbliche. Al contrario, nei Paesi in via di sviluppo, sebbene i dati a disposizione siano meno dettagliati, gli investimenti delle autorità locali rappresentano soltanto il 7% degli investimenti pubblici. Il caso delle città intermedie può dunque costituire un esempio di best practice, un modello di sviluppo ovviamente modulabile in funzione delle diverse realtà nelle quali verrebbe applicato.

Ma in che posizione si trovano dunque le città intermedie nei Paesi a medio e basso reddito? Semplicemente: la loro crescita demografica è fra le più rapide. In Africa, in particolare, si sta verificando e continuerà a svilupparsi la crescita urbana più rapida del pianeta. Nel rapporto Dinamiche dell’urbanizzazione africana 2020 del Club del Sahel e dell’Africa dell’Ovest, si prevede il raddoppiamento della popolazione africana da qui al 2050, di cui due terzi saranno assorbiti da aree urbane. Va notata la peculiarità del processo di urbanizzazione in atto nel continente africano; contrariamente a quel che si pensa, gran parte della giovanissima popolazione urbana non si concentrerà nelle grandi metropoli – tramite un massiccio esodo rurale – ma in piccole e medie agglomerazioni – per l’appunto, le città intermedie (questo non vuol dire che la crescita demografica delle grandi metropoli non crescerà esponenzialmente).
Inoltre, queste città devono ancora costruire buona parte delle proprie infrastrutture: le loro scelte di investimento in reti energetiche e di trasporto avranno un impatto significativo in termini di sostenibilità, tutela del territorio e della biodiversità, trasformazione digitale e risposta al cambiamento climatico. Nonostante le loro funzioni essenziali, le città intermedie nei paesi in via di sviluppo si trovano ad affrontare una situazione ancora più grave in vista soprattutto nella ripresa post-Covid-19. Sono spesso trascurate nelle strategie nazionali e nei programmi di cooperazione internazionale e devono affrontare enormi limitazioni per realizzare il loro potenziale di sviluppo. Il rapporto Dinamiche dello Sviluppo Africano 2021, prodotto dal Centro di Sviluppo dell’OCSE e dall’Unione Africana, mostra ad esempio le potenzialità, ma anche le difficoltà che queste città si trovano ad affrontare nel quadro della trasformazione digitale e creazione di posti di lavoro. Questi elementi ci hanno resi consapevoli dell’urgente necessità di prestare una maggiore attenzione alle autorità locali e alle città intermedie e per questo abbiamo inserito, per la prima volta, ciò che in gergo tecnico è chiamata la “localizzazione e territorializzazione” degli SDGs nell’agenda del G20.

Grazie al lavoro del Development Working Group, il G20 ha istituito una Piattaforma sulla localizzazione degli SDGs e sulle città intermedie, uno spazio aperto ed inclusivo di dialogo politico per aiutare a massimizzare le sinergie tra le iniziative esistenti e ad affrontare alcune delle principali lacune che queste città devono affrontare per realizzare il loro potenziale di sviluppo. Abbiamo inoltre approvato i 10 G20 Rome High Level Principles [10 Principi di alto livello del G20 di Roma] per i partenariati fra città volti alla realizzazione degli SDGs, evidenziando alcune aree chiave per progredire nella loro localizzazione. Sulla base di questi Principi, che tengono conto dell’eterogeneità delle città intermedie dei paesi del G20 e dei paesi in via di sviluppo, la Piattaforma G20 mira a preparare un Compendio di buone pratiche sui partenariati tra città per la localizzazione degli SDGs, attraverso il quale il G20 potrà favorire la creazione di progetti pilota o nuovi partenariati tra città intermedie e territori in paesi G20 e paesi partner.

In questo contesto l’Italia, un Paese di città piccole e medie in cui esistono e si sono costruiti forti legami fra imprese e territorio, fra il Terzo settore e le istituzioni, ha l’opportunità di svolgere un ruolo di primo piano in questa iniziativa, contribuendo sostanzialmente ad una nuova agenda internazionale per lo sviluppo locale. In effetti, il nostro paese ha tradizionalmente un ruolo di primo piano nel dibattito sulle politiche di sviluppo territoriale a livello internazionale, in particolare nell’ambito OCSE, ed il contributo delle nostre autorità locali alla realizzazione di progetti di cooperazione internazionale allo sviluppo è ampiamente riconosciuto. Quest’ultima costituisce un patrimonio originale di esperienze, frutto della capacità di Regioni e Comuni di mobilitare i diversi attori e le risorse dei territori, al fine di costruire relazioni e partenariati per lo sviluppo sostenibile.

L’Italia e l’Africa: prolegomeni per un rinnovato multilateralismo
Come abbiamo visto per quel che riguarda le città intermedie, l’Africa sta diventando sempre di più un capitolo cruciale dell’agenda internazionale, e una della priorità della politica estera italiana. Il rafforzamento del dialogo e del rapporto con i Paesi e le istituzioni africane è destinato a imporsi in modo sempre più marcato – per evidenti ragioni di natura strategica, storica, geografica, economica e culturale, includendo al contempo e in modo progressivo la società civile del continente. L’idea è quella di promuovere una genuina partnership paritaria, orientata ad uno sviluppo condiviso ed all’affrontare insieme le molteplici sfide globali. Per questo, lo scorso dicembre la Farnesina ha presentato un documento strategico, il “Partenariato con l’Africa”, dal quale questa tipologia di relazione “people-to-people” si evince chiaramente e viene declinata in molteplici iniziative.
Il Continente africano nei prossimi anni crescerà a ritmi sempre più elevati – metà della popolazione ha oggi meno di 19 anni – e sarà al centro di molteplici e complesse dinamiche sociali ed economiche. In questo scenario, e come rilevato dal citato documento strategico, il processo di integrazione economica continentale offrirà enormi opportunità per la trasformazione produttiva delle economie africane e, potenzialmente, anche per una maggiore presenza delle imprese italiane – piccole, medie e grandi – sul continente.
L’Africa sta diventando sempre di più un capitolo cruciale dell’agenda internazionale, e una della priorità della politica estera italiana. L’idea è quella di promuovere una genuina partnership paritaria, orientata ad uno sviluppo condiviso ed all’affrontare insieme le molteplici sfide globali.
La nostra posizione al centro del Mediterraneo rende non solo opportuna ma anche necessaria un’azione di politica estera coerente ed inclusiva, articolata in funzione delle molteplici dinamiche – presenti e future – alle quali il continente africano è soggetto. Lo sviluppo economico sostenibile del continente è una priorità condivisa, che richiede una promozione degli investimenti e della cooperazione ancora più convinta, sul piano finanziario, scientifico, tecnologico e culturale. Ma lo sviluppo non potrà essere sostenibile senza azioni convinte e congiunte per la lotta ai cambiamenti climatici, per assicurare energia (ed energia pulita) alla popolazione oggi sprovvista, per assicurare la pace e la sicurezza, e per la promozione di una governance efficace e inclusiva, che rafforzi la qualità delle istituzioni e promuova i diritti dei cittadini, specie per le fasce vulnerabili quali donne, bambini, anziani e disabili.
Queste considerazioni strategiche sono frutto anche, se non soprattutto, dell’intensa presenza dell’Italia in Africa e dell’Africa in Italia di cui sono testimonianza le molteplici iniziative della cooperazione allo sviluppo e delle imprese italiane e la radicata esperienza delle nostre ONG, organizzazioni religiose e dei volontari; ma anche il dinamismo della diaspora africana, che ha un enorme potenziale per promuovere partenariati e attività imprenditoriali sul continente aiutando il nostro paese ad interpretare da una più giusta prospettiva i rapidi cambiamenti che il continente africano sta sperimentando.
Non a caso, l’Africa rappresenta il principale partner della Cooperazione Italiana allo Sviluppo: sui 20 Paesi prioritari individuati dal nostro Documento Triennale di Programmazione ed Indirizzo 2021-2023, 11 sono africani (Egitto, Tunisia, Etiopia, Kenya, Somalia, Sudan, Burkina Faso, Mozambico, Mali, Niger e Senegal).
Il nostro forte impegno nel Continente Africano è testimoniato anche dall’entità di risorse a dono destinate ai Paesi africani. Infatti, nel 2020 sono stati erogati complessivamente dall’Italia per il continente africano oltre 438 milioni di euro di assistenza pubblica allo sviluppo (di cui oltre 120 dalla Cooperazione Italiana).
Queste risorse si traducono concretamente in progetti attuati dalle organizzazioni internazionali e dalle Organizzazioni della Società Civile (OSC) presenti sul territorio volti a realizzare priorità ed obiettivi di azione che si inquadrano in una visione cha ha come orizzonte temporale il 2030 e che contribuiscono al raggiungimento degli SDGs.
Le priorità settoriali e tematiche che guidano la nostra azione in Africa sono: l’ambiente e il clima, la salute, la sicurezza alimentare, l‘istruzione e la formazione, la protezione dei gruppi più fragili tra cui donne, bambini, sfollati e rifugiati. È intorno a questi assi che si sviluppa la strategia d’intervento della Cooperazione Italiana allo Sviluppo nel Continente Africano. Evidenzio inoltre che il raggiungimento della piena parità di genere e l’emancipazione femminile rappresentano tematiche trasversali di tutti i nostri interventi di cooperazione. Inoltre, la Cooperazione è orientata anche secondo priorità geografiche, oltre che settoriali. Esse si suddividono principalmente in tre zone, a nord e sud del Sahara: il Nord Africa, il Sahel e il Corno d’Africa.

Il Sahel rappresenta senz’altro una regione di crescente rilevanza per noi, nella quale Niger, Burkina Faso e Mali (a partire dal 2022) sono Paesi Prioritari, e dove abbiamo destinato nel quadriennio 2018-2021 circa 120 milioni di euro, per progetti di sviluppo e di emergenza riguardanti lo sviluppo rurale, la sicurezza alimentare, l’adattamento ai cambiamenti climatici, la protezione delle categorie più vulnerabili, come rifugiati, sfollati interni e rimpatriati, e lo sviluppo del settore privato.
Lo sforzo finanziario della comunità internazionale in Sahel è stato quindi notevolissimo negli ultimi anni. L’Italia vi ha contribuito nel quadro di una politica di rafforzamento a tutto campo della nostra presenza nell’area, che ha visto l’apertura di quattro Ambasciate (Niger, Guinea, Burkina Faso e in Mali ), un impegno importante sul fronte della sicurezza, dell’attenzione alla problematica migratoria ma anche dei bisogni umanitari della popolazione, in particolare in materia di sicurezza alimentare. Le dimensioni umanitario-sviluppo-pace che si legano virtuosamente nell’approccio Nexus sono già insite nella nostra azione, che può essere resa più efficace e produttiva. Il deterioramento del quadro complessivo dell’area, ed in particolare la crisi sociale e politica in alcuni paesi, impone infatti una riflessione sull’efficacia delle iniziative della comunità internazionale, alle quali aderiamo con i partner europei.

Siamo molto impegnati, per ragioni di prossimità geografica e legami storico-culturali, anche nell’Africa Mediterranea, dove finanziamo numerose iniziative di sviluppo finalizzate a favorire la stabilizzazione e la democratizzazione dei Paesi nordafricani, promuovendo la tutela dei diritti umani e facilitando la creazione di nuove opportunità d’impiego. Di fatti, il Nord Africa costituisce un partner naturale per l’Italia e per i paesi euro-mediterranei. Per questo, l’Italia sostiene l’esigenza di un rilancio strategico del partenariato euro-mediterraneo sulla base di un nuovo paradigma di gestione congiunta dei “beni comuni euro-mediterranei” (intensificazione della cooperazione su clima, ambiente, digitalizzazione, sicurezza).
Contribuiamo, inoltre, alla risposta umanitaria internazionale, prestando particolare attenzione alla Libia e alla crisi dei rifugiati Saharawi in Algeria. Quest’anno siamo poi intervenuti in diverse occasioni per prestare aiuto agli amici tunisini e libici nella lotta al COVID-19, con forniture di materiali e ossigeno volte ad alleviare le pressioni della pandemia sulle strutture di quei Paesi.

Nostra tradizionale area d’intervento è anche quella del Corno d’Africa, dove operiamo da sempre nei settori dello sviluppo agricolo e agro-industriale, in particolare tramite progetti a sostegno delle filiere produttive e della sanità. La regione è oggi afflitta da crescente e preoccupante instabilità, alla luce del conflitto in Etiopia, della difficile transizione democratica in Sudan e della cronica fragilità in Somalia. Occorre evitare il collasso di un’area altamente popolata e strategica, trovando un difficile equilibrio tra la volontà di non penalizzare la popolazione e l’uso delle leve a disposizione della comunità internazionale per fare pressione più efficacemente sulle autorità.
In questa fase, nei due Paesi, sul fronte dello sviluppo valutiamo, in funzione dell’evoluzione degli eventi, di mantenere le iniziative di cui beneficia direttamente la popolazione (penso ai servizi sanitari, alla sicurezza alimentare) e di congelare provvisoriamente le altre. Sul fronte umanitario, proseguiamo le attività per cercare, insieme ai nostri partner internazionali, di dare risposta ai bisogni essenziali delle persone in stato di necessità, ed in particolare alle vittime del conflitto nel Tigray, peraltro ormai esteso ad altre regioni dell’Etiopia.

Questo è lo scenario che vede impegnata l’Italia nella Cooperazione in Africa. Ora va considerato l’apporto dato dai diversi contesti internazionali e dai tavoli multilaterali, in primis le Nazioni Unite e l’Unione Africana (rispetto alla quale l’Italia è l’unico paese UE ad avere, dal 2018, un proprio Rappresentante permanente dedicato, in qualità di osservatore). Sempre sul fronte multilaterale, l’Italia sostiene fervidamente l’azione delle Organizzazioni Regionali africane ed i processi di integrazione da loro avviati. Consideriamo i fora regionali africani una piattaforma privilegiata di dialogo e non a caso abbiamo una nostra stretta collaborazione con l’IGAD (Intergovernmental Authority on Development) e l’UNECA in Africa orientale e con il Sahel.
Inoltre, date le specificità demografiche e politiche delle società africane, il dialogo e la cooperazione con esse – basata, su una relazione di partenariato tra eguali e una maggiore coordinazione dell’azione nei fori multilaterali – non può prescindere da un rafforzamento e una maggiore inclusione della la società civile, i privati e le organizzazioni non governative del Continente stesso.

Priorità tematiche del partenariato con l’Africa
Sicurezza alimentare
Per quanto riguarda in particolare il tema della sicurezza alimentare, storico pilastro della Cooperazione Italiana, voglio evidenziare che lavoriamo alacremente per rendere l’agricoltura, principale componente dell’economia di molti Paesi africani, e l’agro-business, più efficienti e sostenibili sul piano ambientale, accompagnando l’espansione del numero di piccole e medie aziende attive, incentivando il coinvolgimento di donne e di giovani nell’imprenditoria di questi comparti. Questi sforzi si inseriscono nel più ampio approccio territoriale per promuovere lo sviluppo rurale e il rafforzamento dei legami tra zone urbane e rurali, anche attraverso l’investimento sulle città intermedie. Significativa è l’attenzione data a questo settore anche nell’ambito delle nostre iniziative umanitarie, dove sosteniamo le principali organizzazioni impegnate nell’assistenza alimentare nei contesti di emergenza.
In Sahel sono numerosi i progetti che finanziamo con l’intento di assicurare a lungo termine la sicurezza alimentare dei Paesi della regione. Ad esempio, con un contributo di 2.8 milioni di euro sosteniamo un progetto di piccola irrigazione per lo sviluppo della produzione agroalimentare in Niger; sempre in Niger abbiamo rifinanziato con un contributo di 2 milioni di euro la seconda fase del progetto ANADIA II che mira a contribuire allo sviluppo di un’agricoltura sostenibile resiliente ai cambiamenti climatici per sostenere la sicurezza alimentare del Paese. Ricordo infine l’iniziativa Agrinovia 3.0, dal valore complessivo di 2.1 milioni di euro, che intende rafforzare le capacità di innovazione nel settore rurale in Burkina Faso attraverso un programma di formazione professionale, realizzato in collaborazione con l’Università Roma Tre.
Pace e sicurezza
Un tema prioritario per il partenariato con l’Africa è quello della pace e sicurezza. La proliferazione di cellule terroristiche e i conflitti interni sono un fattore destabilizzante che rischia di vanificare gli sforzi per realizzare gli obiettivi dell’Agenda 2063 dell’Unione Africana. L’azione italiana si articola su più fronti, spaziando dall’attività di cooperazione allo sviluppo alla formazione delle forze di sicurezza ed al sostegno alle missioni di pace delle Nazioni Unite. L’Italia intende rafforzare ulteriormente il proprio sostegno alle attività di mediazione, di prevenzione dei conflitti, e di stabilizzazione post-conflitto realizzate dalla Nazione Unite con particolare attenzione al Nord Africa, Libia, Sahel e Corno d’Africa. Per questo, l’Italia contribuisce a diverse missioni della Politica di Sicurezza e Difesa Comune (PSDC) dell’UE, sia fornendo personale, sia contribuendo a definire i singoli mandati e le linee generali di indirizzo della PSDC.
Per quel che riguarda il Nord Africa, l’impegno dell’Italia per la stabilizzazione della Libia rimane prioritario in quanto condizione indispensabile per contrastare efficacemente la minaccia terroristica, prevenire i flussi migratori irregolari e il traffico di esseri umani, di armi e di sostanze illegali nonché tutelare gli interessi energetici e più in generale economico-commerciali. Nella ferma convinzione che non possa esistere nessuna scorciatoia militare, sosteniamo convintamente gli sforzi delle Nazioni Unite nell’ambito del “Processo di Berlino” per una soluzione politica della crisi libica che promuova la piena pacificazione ed il ritorno alla normalità del Paese. La presenza a Tripoli della nostra Ambasciata rende particolarmente profilata la nostra azione nel Paese.
In seguito alla crisi libica, la regione del Sahel si è andata configurando sempre più come frontiera meridionale dell’Europa, diventando una delle zone prioritarie per l’Italia e acquisendo valore strategico sotto il profilo, fra gli altri, della sicurezza e dei traffici illeciti. Nell’area saheliana, già storicamente caratterizzata da precarietà socio-economica, vulnerabilità ambientale, frammentazione comunitaria e difficoltà di accesso delle istituzioni statuali nei territori più periferici, si sono aggiunti negli anni ulteriori fattori di instabilità derivanti dai cambiamenti climatici, dall’espansione demografica, dalla volatilità economica globale e dall’avanzata dell’estremismo jihadista. Come accennato poc’anzi, intendiamo rafforzare i nostri rapporti bilaterali con i paesi ovest-africani; rafforzamento che sarà accompagnato dall’intensificazione del programma di visite politiche e dall’approfondimento del partenariato con il G5 Sahel.
Per quanto concerne il Corno d’Africa, l’Italia è chiamata a rivestire un ruolo centrale sia in ambito europeo che in linea con gli interessi nazionali, e cioè preservare l’attenzione massima dell’Unione sul Corno assumendo al contempo un ruolo di crescente leadership per assicurare stabilità, pace e sviluppo ai paesi della regione. In tal senso, l’appoggio al multilateralismo e al rafforzamento funzionale di organismi regionali come l’UA e l’IGAD dovranno essere confermati attraverso il mantenimento di uno sforzo finanziario mirato a sostenere la loro efficacia decisionale, il loro prestigio nelle situazioni di crisi politica ed emergenziale, mediante canali finanziari sperimentati e percorribili, come ad esempio il Decreto Missioni. Sarà poi opportuno mantenere un ruolo di primo piano in Somalia, a sostegno del processo di ricostruzione istituzionale, di superamento delle dinamiche inter-tribali ed inter-claniche e della lotta ad Al Shabaab e Daesh, specie in termini di presenze apicali nelle Missioni e nelle Operazioni PSDC dell’UE. In tale quadro, sarà importante continuare a dedicare particolare attenzione al processo di integrazione economica regionale, attraverso adeguate iniziative politiche, economiche, finanziarie e culturali che abbiano come minimo comun denominatore il tema della formazione, area dove l’Italia è riconosciuta a livello internazionale per la sua capacità di interpretare i desiderata locali e adattare la propria offerta in modalità inclusiva ed interculturale.

I flussi migratori dall’Africa verso l’Europa e la tragedia dei tanti, troppi, morti nel Mediterraneo, hanno catalizzato l’attenzione negli ultimi anni. È importante capire le cause di questi flussi – spesso legate all’instabilità e alla violenza, ma anche una conseguenza naturale dello sviluppo economico. Contrariamente a quello che si pensa comunemente, lo sviluppo economico dei paesi meno avanzati accresce le possibilità di emigrazione, non le diminuisce. Nonostante la narrazione per molti versi errata che si è costruita negli ultimi anni, la gestione del fenomeno migratorio rimane un aspetto essenziale del nostro rapporto con il continente africano – nonché per il mantenimento dell’equilibrio della nostra politica interna, sia al livello nazionale che al livello europeo. L’Italia ha posto in essere una strategia multilivello per la gestione del fenomeno migratorio – articolata su una serie di interventi: azione sulle cause profonde dei flussi, assistenza in loco ai migranti nei paesi di transito, attività di rafforzamento delle capacità per la lotta ai trafficanti di esseri umani. Tale strategia è improntata al rafforzamento del partenariato con i paesi africani di origine e transito, che si avvale dell’indispensabile collaborazione delle agenzie delle Nazioni Unite operanti sul terreno (in particolare OIM e UNHCR). Per sostenere finanziariamente questo ambizioso piano d’azione, dal 2017 è attivo nel bilancio del Ministero degli Affari Esteri un “Fondo Africa” per progetti da eseguire nei Paesi africani di maggior rilievo in materia migratoria. La legge di Bilancio 2020 ha trasformato il “Fondo Africa” in “Fondo Migrazioni”, ampliando il suo ambito geografico anche a paesi non africani. Ovviamente, per una gestione efficace del fenomeno migratorio, di cui la revisione del meccanismo di Dublino è una fondamentale precondizione, è cruciale attuare un sempre più stretto coordinamento tra l’UE e i suoi Stati membri. Mi auguro che l’Italia e l’Unione Europea proseguiranno nel cammino già intrapreso, rendendo il dossier “migrazioni” trasversale rispetto a tutte le iniziative in Africa.
Contrariamente a quello che si pensa comunemente, lo sviluppo economico dei paesi meno avanzati accresce le possibilità di emigrazione, non le diminuisce. Nonostante la narrazione per molti versi errata che si è costruita negli ultimi anni, la gestione del fenomeno migratorio rimane un aspetto essenziale del nostro rapporto con il continente africano.
Il continente africano presenta un carattere eccezionale e un’enorme opportunità per l’Italia e l’Europa. Uno scenario complesso, difficile, in rapida espansione e portatore di un incredibile potenziale, futuro vettore di cambiamento – sia al livello dello sviluppo su scala mondiale, che al livello dei futuri equilibri geopolitici globali. Uno scenario che richiede soluzioni e approcci a medio e lungo termine, e non le soluzioni immediate alle quali siamo abituati. Per questo la nostra politica estera e di cooperazione deve, in modo convinto, focalizzare e crearsi una propria linea indipendente nella relazione con l’Africa, con i suoi paesi e con le sue istituzioni. Questo servirà non solo a cooperare e contribuire allo sviluppo del continente africano ma anche a quello del nostro continente europeo, da troppo alla ricerca di una nuova e più solida identità ed autonomia che passa, in primo luogo, dalla sua autodefinizione rispetto al mondo esterno.

Per seguire l'attività di Marina Sereni: sito web

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