Print

La non-riforma della Sanità lombarda e il nostro no

Written by Carlo Borghetti.

Carlo BorghettiArticolo di Carlo Borghetti pubblicato da La Città di Cinisello.

In Lombardia, 1997 Formigoni, 2015 Maroni, 2021 Fontana-Moratti: tre riforme sanitarie in 24 anni. Ma dopo l’ennesima “riforma”, al di là delle riconosciute eccellenze ospedaliere, mi sento di dire che i problemi della sanità lombarda - che ci sono e si trascinano da anni - rischiano di rimanere tali anche nei prossimi anni, anzi rischiano di peggiorare: sostegno insufficiente alla prevenzione, lunghi tempi d’attesa per visite ed esami, discontinua presa in carico dei cronici e dei fragili, integrazione mancante tra sociale e sanitario, scarsissima assistenza domiciliare, iniquo rapporto tra pubblico e privato, e altro ancora.
Perché dico questo?
Perché martedì 30 novembre, dopo ben 16 giornate intere di dibattito in Aula svolto quasi tutto dalle sole minoranze sulle proprie proposte, la maggioranza di centro-destra non ha cambiato nulla delle proprie posizioni iniziali e ha votato una nuova “riforma” sanitaria, targata “Fontana Moratti”, che non tocca i punti deboli del sistema, manca del coraggio di cambiare dove serve e restituisce un’architettura delle aziende sanitarie più confusa di prima. Una “non-riforma”.
Mi spiego. La “riforma Maroni” (legge 23/2015) aveva riconosciuto la debolezza della sanità territoriale lombarda, a causa del fatto che la Regione dal 1997 si era La non-riforma della Sanità lombarda e il nostro no sempre più concentrata solo sugli ospedali (trascurando poliambulatori, consultori, luoghi della riabilitazione…), e aveva cancellato le ASL, dedite al territorio, e le Aziende Ospedaliere, sostituendole con nuove aziende (le ASST, Aziende Socio Sanitarie Territoriali) che avrebbero dovuto gestire insieme sia gli ospedali che il territorio, con l’intento di rilanciare proprio i servizi territoriali. Le 27 ASST venivano poi “sottoposte” a 8 Agenzie (le ATS) che ereditavano la parte di funzioni di programmazione delle vecchie ASL che non finiva nelle ASST. Essendo l’unica Regione d’Italia che andava a cancellare le ASL e le Aziende Ospedaliere previste dalle leggi nazionali, il Governo di allora poté approvare la legge regionale 23/2015 solo definendola come “sperimentale”, e da sottoporre a conferma o cambiamento una volta trascorsi 5 anni, nel 2020, previa valutazione dei risultati.
Ebbene da allora nei 5 anni successivi in Lombardia si è avuta la beffa che i servizi territoriali gestiti dalla stessa azienda che gestisce gli ospedali, anziché rilanciarsi, sono andati ulteriormente a indebolirsi, come ben sanno i lombardi, come dimostrato dai dati sui Livelli Essenziali di Assistenza (che pongono la Lombardia al quinto/sesto posto in Italia) e come anche dimostrato in modo drammatico dall’inizio della pandemia, quando mentre il sistema ospedaliero reagiva con forza, i servizi territoriali non erano in grado di fare il tracciamento dei contatti stretti, né i tamponi, né l’assistenza domiciliare, azioni necessarie sul territorio per arginare il diffondersi del contagio.
Ecco che allora a fine 2020 dal Governo arriva la richiesta al Presidente della Regione Fontana: “Riallineate la Lombardia al servizio sanitario nazionale, rilanciate la prevenzione, istituite i Distretti sociosanitari e superate il sistema ATS-ASST”. Nel frattempo con il 2021 arrivano anche i fondi europei del Recovery che attraverso il PNRR del Governo Draghi mirano a rilanciare anche la sanità territoriale nel Paese, dando il compito alle Regioni di realizzare (tra le altre cose) gli Ospedali di Comunità e le Case di Comunità, dove trovare finalmente in un unico luogo medici specialisti (come cardiologi, diabetologi, ecc.), medici di famiglia, ambulatori per gli esami, ma anche anche assistenti sociali, operatori per la presa in carico globale della persona… (da cui il concetto di “Comunità”).
E invece Fontana e Moratti, con il centrodestra tutto, cosa fanno con la nuova “riforma” approvata il 30 novembre? Mantengono il sistema ATS-ASST di Maroni; spezzettano i servizi di prevenzione lasciando la prevenzione veterinaria nelle ATS e spostando la prevenzione umana nelle ASST; spostano i servizi per le Cure Primarie dalle ATS alle ASST costringendo i medici di famiglia a relazionarsi con entrambe anziché con una; istituiscono i Distretti dentro le ASST dando a loro da gestire le Case e gli Ospedali di Comunità, ma senza dar loro di fatto autonomia di gestione e di budget, che resta in capo alle ASST; istituiscono di nuovo le Aziende Ospedaliere, ma solo a Milano e a Bergamo (per le altre province si vedrà tra due anni!); sanciscono “l’equivalenza” tra pubblico e privato. Siamo di fronte a un vero patchwork, che aumenta oggettivamente la confusione di ruoli e della catena di comando, non risponde al senso vero delle indicazioni ministeriali e rischia seriamente di compromettere il potenziale innovativo di rilancio della sanità territoriale voluta dal governo.

Per seguire l'attività di Carlo Borghetti: sito web - pagina facebook

Pin It