Print

’ndrangheta 2.0. Il nostro no alla mafia

Written by Franco Mirabelli.

Franco Mirabelli Intervento di Franco Mirabelli ad un incontro a Lomazzo (video).

Vorrei entrare un po’ nella vicenda che ci ha spinto a essere qui in tanti questa mattina.
Quando parliamo di mafie al Nord, però, non parliamo più di infiltrazioni. Le infiltrazioni ci sono quando c’è un soggetto esterno che ogni tanto si infiltra. Qui siamo, invece, in presenza di un insediamento ‘ndranghetista, come lo ha definito anche la Commissione Parlamentare Antimafia nella Relazione della scorsa Legislatura. Le mafie (e in particolare la ‘ndrangheta) sono insediate al Nord.
Le mafie sono qui perché la loro principale attività oggi è quella di cercare di riciclare il denaro che proviene dai traffici illeciti, soprattutto dal traffico di droga. Per svolgere questa attività, le mafie hanno scelto il ricco Nord, dove le attività economiche fioriscono e dove, quindi, girano i soldi.
Siamo di fronte, dunque, ad un insediamento anche sui territori e ad un’aggressione dell’economia. L’inchiesta che coinvolge Lomazzo racconta di imprenditori che vengono messi in difficoltà perché, in un momento di crisi finanziaria, si sono rivolti alla criminalità organizzata pensando di farla franca. Sono imprenditori che fanno anche i politici e, una volta finiti in questa situazione, per salvarsi poi finiscono per trovarsi a Gioia Tauro ad un vertice con i boss per assumere un ruolo in prima persona e coinvolgere altri imprenditori, metterli in difficoltà per poter rilevare le aziende.
Il modello a cui stiamo assistendo in tutto il Nord mostra che le mafie si propongono come società di servizi nei confronti degli imprenditori, soprattutto nei momenti di crisi e di difficoltà.
Alessandra Dolci della Direzione Distrettuale Antimafia di Milano spiega che nei momenti di difficoltà sono gli imprenditori a cercare le mafie, ben sapendo chi stanno cercando.
C’è, dunque, un’aggressione alla nostra economia. Questo viene fatto cercando di suscitare meno allarme sociale possibile. Le mafie, infatti, sparano poco non perché non abbiano gli arsenali ma perché hanno bisogno di suscitare meno allarme sociale possibile.
La ‘ndrangheta è un’organizzazione potentissima e non è più legata ai soggiorni obbligati al Nord per i detenuti criminali perché oggi si tratta ormai di un’organizzazione globale, presente con delle locali in più 50 Paesi, fino al Canada, alla Germania, agli Stati Uniti o all’Australia.
La ‘ndrangheta ha un’organizzazione ferrea che, pur espandendosi molto lontano, è talmente forte per cui le decisioni vengono prese in Calabria.
La ‘ndrangheta ha un’organizzazione spaventosa ed è forte anche perché ha una matrice familiare e questo la rende più difficile da combattere, in quanto difficilmente un familiare denuncia un altro familiare.
Leggendo l’ordinanza e le intercettazioni che hanno portato ai numerosi arresti sul territorio fa impressione come emerga con evidenza la capacità della criminalità di condizionare l’economia, la politica e la vita di una comunità.
Tutto questo non avviene da poco ma da dieci anni.
La comunità risponde esattamente ai luoghi in cui la ‘ndrangheta ha scelto di insediarsi: i Comuni piccoli della Brianza, del comasco, dell’Est Ticino, dove si suscita poco allarme sociale, dove è più facile essere accettati, dove non ci sono i riflettori, dove, se serve, è più facile anche provare a condizionare la politica e dove passano inosservate le persone che comandano.
Nella scorsa Legislatura, con la Commissione Parlamentare Antimafia e Nando Dalla Chiesa, abbiamo fatto uno studio sulle mafie al Nord anche sulla base delle inchieste e abbiamo visto che non ci sono boss che si arricchiscono e si comprano le ville sfarzose: i capi delle locali di ‘ndrangheta e le loro mogli fanno lavori umili perché l’obiettivo non è l’arricchimento personale ma è arricchire l’organizzazione, che deve espandersi e deve tutelare le famiglie di quelli che vengono arrestati. I soldi servono a questo, non all’arricchimento personale. Diventa difficile, quindi, capire che lì ci sono persone pericolose per la collettività.
Leggendo l’inchiesta, mi pare evidente anche che il messaggio che dobbiamo dare tutti in modo forte è che con le mafie non si può convivere.
Con le mafie non si convive.
Non esiste il modello per cui ci si rivolge alla mafia, si porta a casa un favore e il giorno dopo si è liberi. Non funziona così.
Con le mafie non si convive. Nessuno può convivere con le mafie pensando di farla franca.
La società non può convivere con le mafie. L’atteggiamento verso le mafie può essere solo quello di combatterle perché mettono in discussione la convivenza civile.
Sento spesso diffondersi l’idea che alla fine le mafie non fanno danni: si percepiscono come più dannosi i piccoli spacciatori o gli scippatori ma, quando si pensa questo, si trascura il fatto che si parla di organizzazioni criminali che stanno investendo miliardi nell’economia legale e questo è un rischio enorme per la nostra democrazia.
È un problema molto grande per ognuno di noi avere un’economia legale condizionata sempre più da fondi di provenienza illecita e inquinata dalle mafie, perché viene meno la legge del libero mercato e la concorrenza.
Le mafie hanno una capacità di condizionare la politica che non è più quella di una volta, non c’è più solo il tentativo di appropriarsi degli appalti.
L’esperienza che abbiamo avuto in queste terre è di persone che vengono mandate dalla ‘ndrangheta o con cui con la ‘ndrangheta costruisce un rapporto dando voti o aiuti con l’obiettivo di avere qualcuno nei Comuni che, se serve, possa intervenire per accelerare pratiche, cambiare destinazione d’uso, ecc.
La vicenda avvenuta a Valmadrera nasce dalla scelta sbagliata di candidare una persona che non si sapeva neanche chi fosse, quando era venuto meno un candidato che avrebbe dovuto essere in quella lista.
La persona che il partito ha candidato senza conoscere è stata eletta ed è diventata il tramite tra la ‘ndrangheta e l’amministrazione comunale per ottenere la gestione del chiosco sulla spiaggia davanti al lago. Questo è il rapporto con la politica oggi.
Per questo la politica deve essere capace di alzare le barriere: dobbiamo sapere chi candidiamo nelle liste e dobbiamo sapere quali sono le spie di qualcosa che non va.
Nella lotta alle mafie non è sufficiente l’impegno della magistratura.
La magistratura e le istituzioni in questi anni hanno fatto uno straordinario lavoro.
La nostra normativa antimafia è straordinaria (con il reato di associazione mafiosa, la confisca dei beni e gli strumenti per verificare la provenienza dei finanziamenti) e tutto il mondo cerca di copiarla.
Abbiamo i migliori investigatori.
Falcone, probabilmente, fu ucciso perché lo Stato aveva deciso di fare la Direzione Nazionale Antimafia che lui era venuto a promuovere a Roma. Borsellino avrebbe dovuto essere colui che avrebbe preso in mano la Direzione Nazionale Antimafia.
In questo Paese abbiamo fatto scelte coraggiose.
Oggi la politica non dà la sensazione di considerare la lotta alle mafie una priorità. La politica, però, c’è in questo scontro e ha una capacità di adeguare le normative di fronte ai cambiamenti delle mafie, che cercano sempre i soldi dove ci sono e mutano a seconda delle situazioni e degli strumenti di contrasto.
L’inchiesta di Lomazzo mostra che un modo per arricchirsi e riciclare è la fatturazione falsa, il fare fallire le aziende.
Man mano che la ‘ndrangheta cerca nuove strade, dobbiamo essere in grado di aggiornare le contromisure da mettere in campo. Lo sforzo per fare questo viene fatto continuamente anche se può non essere sufficiente e le istituzioni possono e devono fare di più.
Da questo punto di vista, Avviso Pubblico è una grande risorsa: si tratta di un’associazione di sindaci e Comuni che si sta dedicando a dare una mano ai sindaci per capire cosa fare per impedire che le mafie entrino nei Comuni, quali protocolli costruire, come gestire le cose, quali sono le spie che possono segnalare la presenza delle mafie.
Sono tanti i Comuni che hanno aderito ad Avviso Pubblico. Questa associazione può dare una mano anche a proteggere gli amministratori che, in terre difficili come queste del Nord, vogliono fare la lotta alle mafie.
Insisto, quindi, a dire che con la mafia non si convive e non ci può essere indifferenza.
Sono contento che ora a Cantù si stia muovendo qualcosa ma sono rimasto molto colpito dal fatto che lì ci fossero violenze e aggressioni per condizionare i commercianti e a lungo non c’è stata alcuna reazione né da parte dell’amministrazione comunale né da parte dei cittadini.
Ci si vergogna ancora se qualcuno dice che nel nostro Comune c’è la mafia. Non bisogna vergognarsi, invece, perché il negazionismo è la cosa più spaventosa.
A Sedriano, il primo Comune sciolto per mafia in Lombardia e abbiamo fatto le manifestazioni ma di quel territorio non c’era nessuno.
Non bisogna vergognarsi: non è colpa di una comunità se lì si sono insediate le mafie.
Bisogna avere l’orgoglio di respingere le mafie, di mettersi tutti in campo, denunciare, guardare le cose che non funzionano. Ne va della nostra convivenza e della nostra democrazia.
Serve la cultura, serve l’attenzione, la capacità di capire che magari se lo stesso negozio cambia proprietà quattro volte in un anno, forse bisogna andarci a guardare. Se ci sono negozi che sono perennemente vuoti, qualcuno deve andarci a guardare. Ci sono poi anche altri segnali e non bisogna trascurarli.
Abbiamo bisogno davvero di alzare la guardia nel quotidiano.
Non dobbiamo aspettare la prossima inchiesta o la prossima ondata di arresti per accorgerci che si sono le mafie, soprattutto in realtà come queste dove emerge una difficoltà.
La lotta alle mafie deve diventare un tema quotidiano, non aspettiamo la prossima inchiesta. Bisogna prevenire; bisogna lavorare per evitare che succeda, che la mafia ritorni o si rafforzi e bisogna farlo con grande rigore.
O si sta da una parte o dall’altra: non si sta nel mezzo. Soprattutto chi è nelle istituzioni o sta da una parte o dall’altra. Non ci sta un garantismo peloso, in nome del quale si dice che nel dubbio si lascia che le cose vadano avanti. Questo non funziona perché siamo di fronte ad un mostro che fa male a tante persone.
In quell’inchiesta ci sono moltissime persone e i loro familiari che sono stati massacrati dalle mafie, anche sul futuro economico. A quelle persone non si può dire che aspettiamo di capire e vedremo ma dobbiamo dire che per noi la lotta alle mafie è una priorità.
O si sta di qui o di là.
Garantisti su tutto ma quando si sta nelle istituzioni bisogna essere chiari.
Chi è fuori dalle istituzioni deve essere sicuro che chi è dentro starà dalla parte giusta della barricata.
Video dell'incontro

Per seguire l'attività del senatore Franco Mirabelli: sito web - pagina facebook

Pin It