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I testimoni di giustizia

Written by Franco Mirabelli.

Franco Mirabelli Intervento di Franco Mirabelli alla presentazione del libro "Testimone di ingiustizia" di Eugenio Arcidiacono a Vimodrone (video).

Penso che sia importante parlare di questi temi e farli uscire dalle cose di cui si occupano solo gli addetti ai lavori perché altrimenti, se se ne occupano solo gli addetti ai lavori, credo che faremmo poca strada nella lotta contro le mafie.
Voglio fare alcuni ragionamenti sul libro “Testimone di ingiustizia” di Eugenio Arcidiacono.
Personalmente, ho conosciuto diversi testimoni di giustizia in questi anni.
Ho fatto per tre anni il Commissario del PD a Caserta e ho conosciuto diversi testimoni nel casertano, a Mondragone e altri testimoni che sono raccontati nel libro di Arcidiacono.
È vero che è una vicenda drammatica, che diventa ancora più drammatica e incomprensibile nel momento in cui lo Stato ha bisogno di persone che trovino il coraggio di denunciare: c’è bisogno di pentiti ma anche di testimoni di giustizia, però, se c’è bisogno occorre poi essere in grado di dare rassicurazioni, non soltanto rispetto alla sicurezza personale ma anche rispetto alla vita di queste persone, che fanno una scelta pesantissima, soprattutto in Calabria e rispetto alla 'ndrangheta.
La 'ndrangheta è un’organizzazione tra le più potenti al mondo, presente in 70 Paesi, investe moltissimi soldi in Australia e in Canada: è un mostro criminale.
Chiedere ad una persona di ribellarsi, di mettere la 'ndrangheta in difficoltà vuol dire chiedere molto e, quindi, ci vuole uno Stato che dia garanzie.
Il motivo per cui abbiamo cambiato la legge riguarda il fatto che per una lunga fase sono stati confusi i pentiti (collaboratori di giustizia) con i testimoni di giustizia. Questo aveva fatto perdere di vista il punto che il pentito aveva convenienza a collaborare perché così avrebbe potuto beneficiare di alcuni vantaggi (dagli sconti di pena ad altro) e, dunque, passava in secondo piano l’aspetto della collocazione, della vita successiva.
Il testimone di giustizia, invece, come racconta il libro, non ha avuto alcun vantaggio nel testimoniare. La protagonista del libro, da un giorno all’altro, è stata sradicata dal suo territorio, dalla sua casa, dai suoi affetti e dalle sue conoscenze e non è più tornata: ha vissuto una vita non sua, in luoghi diversi da quelli in cui era cresciuta, subendone anche tutte le conseguenze psicologiche. Tutta la famiglia della protagonista ha subito problemi pratici e anche psicologici derivati dalla scelta di testimoniare e del venire poi sradicati.
Credo che la vicenda raccontata nel libro sia emblematica.
La protagonista racconta tre cose che abbiamo provato a correggere con la nuova legge per i testimoni di giustizia.
La prima questione riguarda lo sradicamento territoriale: la nuova legge mira a dire che il testimone di giustizia deve essere messo nelle condizioni di vivere dove viveva prima della denuncia perché è una cosa giusta ed è la dimostrazione di uno Stato che non ha paura, che sa confrontarsi e garantire queste persone dove hanno vissuto e dove vogliono continuare a vivere e lavorare.
Un’altra questione riguarda il lavoro, su cui credo che ci sia ancora da fare, perché la legge anche in precedenza prevedeva l’assunzione dei testimoni di giustizia nella Pubblica Amministrazione ma dalle esperienze di cui sono a conoscenza risulta che il posto di lavoro o non si trova oppure arriva ma per ragioni burocratiche che non tengono conto della necessità di una persona di affrancarsi dal peso delle vicende anche grazie al lavoro.
Il fatto che la protagonista del libro abbia poi deciso di abbandonare il lavoro che le era stato assegnato ma che di fatto non poteva svolgere non assolve lo Stato per averle comunque dato un posto: il punto, infatti, è che lo Stato si deve fare carico della vita di queste persone.
Su questo stiamo provando a lavorare ma non è semplice.
Un’altra questione riguarda il risarcimento.
Questa è una questione molto complicata: c’è un risarcimento da parte dello Stato ma c’è anche una questione che riguarda il patrimonio dei testimoni di giustizia che hanno dovuto lasciare e che è difficile vendere in condizioni accettabili e, quindi, si crea loro anche un danno economico.
È evidente che questo meccanismo va cambiato e abbiamo fatto una nuova legge sui testimoni di giustizia anche per intervenire su questo e dare più valore ai testimoni di giustizia.
Sicuramente i pentiti vedono da dentro le organizzazioni criminali ma con i testimoni lo Stato ha un debito che credo debba saper ripagare fino in fondo.
Un altro ragionamento che voglio fare riguarda il fatto che credo che bisogna parlare di ‘ndrangheta.
In questo libro viene raccontata una storia calabrese autoctona ma la ‘ndrangheta è anche un’altra cosa.
La ‘ndrangheta, a partire dalla Calabria, ha costruito un’organizzazione piramidale spaventosa, i cui fili sono sempre in quei territori ma poi si diramano in tutto il mondo, con una struttura familista molto stretta, molto forte, da cui non si può uscire perché chi denuncia si trova a denunciare un proprio familiare.
La storia di Lea Garofalo è drammaticamente la rappresentazione di questo.
La scelta che ha fatto la 'ndrangheta di non sparare è vera ma relativamente come mostrano le vicende di Lea Garofalo o della protagonista del libro di Arcidiacono. La 'ndrangheta, in realtà, ha scelto di tenere bassa l’attenzione nell’opinione pubblica, ha scelto di non suscitare allarme sociale ma quando c’è bisogno di rimettere a posto qualcosa o di ristabilire le gerarchie lo fa e chi tradisce la famiglia viene ucciso.
Questo va detto, purtroppo, anche a tanti imprenditori che anche in questi mesi e in questi anni stanno cominciando a guardare le organizzazioni criminali e in particolare alla 'ndrangheta, al di là della consapevolezza iniziale o meno, come a delle società di servizi che riescono a garantire finanziamenti, recupero crediti e altre cose con più facilità rispetto alle banche.
Il prezzo che si paga poi però è pesante: spesso i criminali portano via l’azienda e le attività all’imprenditore che li ha cercati.
Chi fa compromessi con la 'ndrangheta, fa compromessi con un’organizzazione che è radicata in tutto il Paese, anche al Nord.
La 'ndrangheta è qui per investire ingenti risorse economiche nell’economia legale, mirando quindi a condizionare l’economia legale e, di conseguenza, la nostra democrazia. Quando entrano miliardi di provenienza illecita nell’economia legale, infatti, è evidente che c’è un problema democratico.
La 'ndrangheta, però, non è qui per arricchirsi.
La 'ndrangheta ha deciso di tenere bassa la conflittualità per suscitare meno allarme sociale e non è fatta per arricchire i propri componenti.
Nella scorsa Legislatura, Nando Dalla Chiesa ha fatto una ricerca per la Commissione Parlamentare Antimafia e i capi delle locali di 'ndrangheta lombarde che sono stati arrestati erano tutte persone che svolgevano lavori umili e le mogli andavano a lavorare nelle imprese di pulizia negli uffici.
L’organizzazione, quindi, è più pericolosa anche perché il tema non è l’arricchimento ma è ingrossare e rendere forti le ramificazioni di un’organizzazione che deve essere in grado di garantire tutti i suoi affiliati e deve essere in grado di conquistare progressivamente i territori.
O noi capiamo questo, anche partendo da vicende come quelle raccontate nel libro, o faremo fatica a contrastare davvero la 'ndrangheta.
Abbiamo la migliore legislazione antimafia del mondo; abbiamo i migliori investigatori ma se a questo non si aggiunge la consapevolezza della politica, della società, delle associazioni di imprenditori, commercianti e altre categorie e organizzazioni sindacali sul fatto che c’è un pericolo che bisogna saper vedere e che ha queste dimensioni, rischiamo di non battere le mafie e di lasciare un grande spazio a quella che resta un’organizzazione criminale terrificante quale è la 'ndrangheta.

Video dell’intervento» 

Voglio fare alcuni esempi molto concreti.
In una fase come questa, il rischio più grande è l’usura.
Di fronte alle difficoltà economiche di molti esercizi e anche di molte famiglie, le mafie danno prestiti con tassi che poi si rivelano di usura.
Riguardo a questo credo che un primo compito sia quello di garantire un welfare dell’emergenza in cui sia lo Stato a ristorare le persone e a garantire comunque un reddito anche nel momento in cui ci sono grandi difficoltà.
Questo anche per evitare che poi di questa forma di welfare locale si appropri la criminalità organizzata, come è successo in qualche parte della Campania.
La criminalità organizzata, infatti, costruisce il proprio consenso anche dando alle famiglie da mangiare o altri sostegni.
Su questo, hanno aiutato un po’ il reddito di cittadinanza e un po’ l’introduzione del reddito di emergenza, che è andato a coprire il sommerso.
C’è la necessità di dare garanzie a chi denuncia l’usura, perché questo è un problema serio da affrontare.
Ora stiamo proponendo un disegno di legge, che presenteremo nei prossimi giorni, in cui prevediamo il “codice rosso” per l’usura. Questo vuol dire prevedere inquirenti specializzati che siano in grado di intervenire immediatamente con misure preventive per non esporre le persone che denunciano gli usurai ai rischi tradizionali.
C’è poi anche la questione della possibilità che adesso le mafie mettano i soldi a disposizione di acquisizione degli immobili commerciali e non o turistico-ricettivi che i proprietari non sono più in grado di sostenere e di pagare.
Questo è un problema serio su cui a Milano si sta facendo un’esperienza importante insieme alla Direzione Distrettuale Antimafia: stanno lavorando per costruire banche dati che consentano di verificare non solo le compra-vendite, su cui probabilmente bisognerebbe ripristinare la norma della Legge Mancino che obbligava a segnalare la compra-vendita degli esercizi commerciali, ma una banca dati che consenta di andare a vedere chi acquista, chi sta dentro a quelle società. La Prefettura ha già prodotto alcune interdittive antimafia rispetto a questo. Bisogna, quindi, attrezzarsi.
Un’altra cosa importante che si sta facendo, non solo a Milano, su indicazione che ha dato la Ministra Lamorgese subito all’inizio della pandemia, è stata quella di istituire in tutte le Prefetture dei tavoli in cui, oltre al Comitato dell’Ordine e della sicurezza, ci sono anche tutte le associazioni di categoria, imprenditoriali, i commercianti, proprio per monitorare la situazione e verificare, segnalare le anomalie, segnalare le spie di una presenza criminale.
Questo è importante; non è risolutivo, però qui si inserisce un’altra questione che riguarda il fatto che ci sia scarsa attenzione e sensibilità verso i fenomeni mafiosi. Io, infatti, penso che quelle organizzazioni di categoria debbano fare molto di più. Assolombarda a Milano è sensibile al problema e mette in campo alcune iniziative ma c’è da fare un’opera di sensibilizzazione. Il Magistrato Dolci spiega che sono gli imprenditori che stanno cercando la ‘ndrangheta e a volte sono finiti in galera per il reato di associazione mafiosa perché non hanno avuto il coraggio e la forza di denunciare o di ammettere di aver collaborato o di essere stati vittime neanche di fronte all’evidenza. Questo indica che c’è un problema e che è necessario che le associazioni di categoria prendano provvedimenti, oltre a fare azioni di sensibilizzazione.
Lo stesso discorso vale per i professionisti.
A Milano abbiamo scoperto studi di commercialisti che avevano come vocazione il fare fatture false, che è diventato un grande business, perché la ‘ndrangheta per fare soldi fa anche questo.
Nella scorsa Legislatura, in Commissione Parlamentare Antimafia, abbiamo più volte ascoltato i rappresentanti degli avvocati, dei notai e dei commercialisti perché da lì deve venire un contributo: lì non si può dire che non si capisce il tema ma bisogna avere il coraggio di assumere anche scelte e prendere provvedimenti molto stringenti.
In generale, credo che adesso dobbiamo spendere le risorse del Recovery Fund entro il 2026 e dobbiamo tenere alte tutte le misure di prevenzione sugli appalti che sono in campo, le certificazioni antimafia, ecc. Tutto si può migliorare: si può cercare di fare più in fretta, mettere più personale che lavora, però, l’idea che ha qualcuno che, in nome della rapidità, per fare le infrastrutture, il prezzo da pagare è quello di rinunciare alle garanzie di legalità è un’idea pericolosa e sbagliata. Inoltre, non corrisponde alla verità.
In queste settimane, sento continuamente demonizzare il Codice degli Appalti, ma non c’è una ragione se non quella di voler ridurre le regole e, quindi, le garanzie di legalità.
Il Codice degli Appalti non impedisce di fare le opere: i dati mostrano che gli appalti in questo periodo non sono diminuiti. Il tema è quello di ridurre il numero delle centrali appaltanti e che siano efficienti, con professionisti capaci di farle funzionare. Nella Città Metropolitana di Milano le centrali appaltanti sono due e funzionano.
Il problema, quindi, non è certamente quello di abbassare le tutele di legalità. Questo è un ragionamento che fa una parte politica ben precisa e penso che sia molto pericoloso e vada contrastato in maniera significativa in questa fase.
Bisogna sempre tenere alta la guardia.
A breve andremo a discutere un documento della Commissione Parlamentare Antimafia che interviene proprio su questo tema delle mafie al tempo del covid e del Recovery Plan e presenta una serie di proposte. Ci lavoreremo ma su questo, anche grazie ad alcuni Ministri, l’attenzione resta alta, anche con i richiami del Procuratore Antimafia Cafiero De Raho e degli inquirenti.
Si stanno facendo molte operazioni che dimostrano che l’apparato dello Stato funziona e siamo in grado di dare colpi alle mafie e il fatto di farlo in questo momento credo che sia un segnale importante anche da diffondere perché sarebbe un bel messaggio da dare all’esterno rispetto alla capacità dello Stato di fronteggiare la criminalità organizzata.

Video dell’intervento» 

Video della presentazione»


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