Il PD e l'impegno per la legalità
Intervento ad un incontro in un circolo PD.
La questione dell’impegno del Partito Democratico sulla lotta alla criminalità organizzata ha due versanti: uno riguarda le cose fatte e che stiamo facendo in Parlamento per migliorare la normativa e consentire la miglior prevenzione e il contrasto alla criminalità organizzata e poi c’è un lavoro specifico che sta facendo la Commissione Parlamentare Antimafia sul tema delle infiltrazioni della criminalità organizzata in particolare al Nord.
Credo che le iniziative in cui si discute di queste tematiche debbano anche servire a dare una percezione chiara dei pericoli che stiamo correndo in questa parte del Paese. Al di là delle inchieste e delle paginate dei giornali, infatti, al Nord c’è una percezione troppo bassa della pericolosità che ha la criminalità organizzata.
A proposito della propaganda dei grillini, secondo cui il PD e il Governo fanno solo chiacchiere, in realtà, in quest’ultimo anno in Parlamento sono stati votati una serie di provvedimenti molto importanti, che da molto tempo erano richiesti da tutti gli operatori che si battevano contro la criminalità organizzata.
Il primo è la modifica dell’articolo 416ter del codice penale con cui si punisce il voto di scambio e che per la prima volta è inteso come favore in cambio di voti, perché prima il reato che veniva perseguito riguardava solo il denaro in cambio di voti.
In Parlamento c’è stata poi una polemica, a mio avviso incomprensibile, sul livello delle pene: i grillini avevano innescato una polemica dicendo che le pene erano troppo basse, ma in realtà si tratta comunque di un reato accessorio perché viene perseguito sempre insieme ad altri reati, che possono essere corruzione, concussione, associazione mafiosa. Personalmente, comunque, credo che la modifica dell’articolo 416ter sia una norma importante perché introduce la possibilità di perseguire il voto di scambio ed è una norma che abbiamo definitivamente migliorato l’altro giorno stabilendo, con un voto alla Camera dei Deputati, che chi viene accusato e condannato con il 416ter ha lo stesso trattamento processuale e detentivo rispetto alla possibilità di avere attenuanti e permessi che hanno i condannati al 416bis cioè ai mafiosi e, quindi, in questo modo abbiamo fortemente aggravato la pena e posto notevoli restrizioni.
In Parlamento c’è stata poi una polemica, a mio avviso incomprensibile, sul livello delle pene: i grillini avevano innescato una polemica dicendo che le pene erano troppo basse, ma in realtà si tratta comunque di un reato accessorio perché viene perseguito sempre insieme ad altri reati, che possono essere corruzione, concussione, associazione mafiosa. Personalmente, comunque, credo che la modifica dell’articolo 416ter sia una norma importante perché introduce la possibilità di perseguire il voto di scambio ed è una norma che abbiamo definitivamente migliorato l’altro giorno stabilendo, con un voto alla Camera dei Deputati, che chi viene accusato e condannato con il 416ter ha lo stesso trattamento processuale e detentivo rispetto alla possibilità di avere attenuanti e permessi che hanno i condannati al 416bis cioè ai mafiosi e, quindi, in questo modo abbiamo fortemente aggravato la pena e posto notevoli restrizioni.
Inoltre, in Parlamento, abbiamo istituito il reato di autoriciclaggio (è contenuto nel Decreto riguardante il rientro dei capitali dall’estero), cioè la possibilità di perseguire chi utilizza i proventi di attività illecite per sé. Prima, secondo la nostra normativa, chi si comprava una casa e la metteva in affitto o metteva i soldi in banca godendo degli interessi, non era certo che fosse passibile oltre che per il reato originario anche per il reato di autoriciclaggio in quanto i soldi derivanti da questi investimenti erano solo godimento personale e, quindi, il soggetto non veniva perseguito mentre oggi lo è e questa è un’altra cosa che la magistratura e il mondo dell’antimafia avevano chiesto.
Poi sono state avviate ed è in via di definizione una serie di norme contro la corruzione perché è evidente che c’è un rapporto stretto tra criminalità organizzata e corruzione. Non tutta la corruzione è criminalità organizzata ma sicuramente la criminalità organizzata, là dove è possibile, trova un terreno più fertile come dimostrano anche molte delle inchieste di questi mesi.
È già in Senato un testo di legge del Governo, concordato con tutta la maggioranza, con cui si inaspriscono le pene per i reati di corruzione. Per cui, chi corrompe e chi è corrotto avrà condanne penali serie, che fino ad oggi sono state pochissime, come denunciano i magistrati.
Si prevede il carcere, la possibilità di un intervento d’ufficio da parte delle Procure e ci sono anche norme volte a ripristinare la punibilità del falso in bilancio.
È evidente, infatti, che se ci sono bilanci non trasparenti e non rispondenti alla realtà, si può infiltrare meglio la criminalità organizzata, si possono usare quei bilanci più facilmente per riciclare il denaro, per movimentare denaro.
Sulla corruzione, però, una cosa importante e riconosciuta da tutti è stata già fatta ed è l’istituzione dell’Autorità presieduta da Cantone e i poteri che gli sono stati attribuiti per verificare prima e in corso d’opera lo stato delle aziende e le modalità con cui vengono fatti gli appalti e guardare poi quegli appalti cercando di capire quali sono i punti su cui ci può essere la possibilità di aggiustarli. Questa è una cosa che sta dando risultati positivi.
Infine la Commissione Antimafia ha prodotto una serie di proposte, una di queste verrà messa in discussione nei prossimi giorni riguarda la revisione del Codice Antimafia, su alcuni punti che riguardano il trattamento delle vittime della criminalità organizzata, le modalità processuali introdotte per evitare gli spostamenti delle persone accusate e dei boss, alcune riforme che riguardano anche la confisca dei beni e dell’Agenzia dei Beni Confiscati che non funziona come vorremmo. In particolare ci sono dei problemi per quanto riguarda la confisca delle aziende perché occorrono degli strumenti per garantire che quelle aziende non muoiano ma anzi funzionino e mantengano l’occupazione perché è evidente che in Sicilia o in Calabria se nel momento in cui vengono confiscate le aziende, le banche chiudono i mutui e una parte dei clienti collusi non si rivolge più ad esse e vengono a mancare soldi che la criminalità organizzata garantiva, il rischio è che chiudano e che poi passi il messaggio che la mafia riesce a garantire il lavoro mentre lo Stato no.
Nei mesi scorsi c’è stata una grandissima attenzione sulla mancanza del reato di autoriciclaggio e alla mancanza di un’azione del Governo sul falso in bilancio o altro e ora che le cose si stanno facendo sembrano quasi scontate e nemmeno vengono citate troppo sui giornali.
Faccio un ultimo passaggio sul lavoro della Commissione Antimafia. Nel corso di questi mesi abbiamo avuto modo di approfondire alcuni temi, capire come cambia la criminalità organizzata, guardare quali sono i limiti che ha la legislazione vigente e quali ulteriori strumenti di contrasto vanno introdotti.
Noi abbiamo la criminalità organizzata più forte in Italia ma abbiamo anche la legislazione antimafia migliore del mondo a cui guardano tutti come ad un riferimento, ad esempio per la confisca come misura di prevenzione. È chiaro che è sempre una sorta di rincorsa perché la criminalità organizzata cambia e noi dobbiamo adeguare la normativa.
Dentro a questo ragionamento abbiamo costruito una serie di proposte che si inseriscono nel testo di revisione del Codice Antimafia ma abbiamo in particolare aperto un focus sul Nord perché ci sembrava che la questione delle mafie al Nord fosse una questione ancora troppo poco compresa e sviscerata che oggi è un po’ più chiara dopo le ultime inchieste della Procura di Milano ma che però va chiarita meglio.
Va chiarita anche perché c’è bisogno di dare elementi per dire la verità e cioè che la criminalità organizzata al Nord non viene percepita o meglio, rispetto alla dimensione che ha assunto la criminalità organizzata al Nord c’è un allarme sociale bassissimo. La percezione che c’è nell’opinione pubblica della pericolosità della ‘ndrangheta è molto inferiore rispetto alla realtà.
La ‘ndrangheta ha fatto una scelta che è quella di rinunciare in gran parte alla violenza e ai fatti eclatanti e quindi non c’è un allarme sociale legato anche alla sicurezza personale. Questo, però, ci porta a non vedere ciò che le inchieste ci stanno raccontando e cioè che soprattutto la ‘ndrangheta che ha una struttura fortemente centralizzata, nasce in Calabria e poi crea delle locali gemmate in ogni Regione italiana ma anche in Germania e Canada. E poi è una struttura familiare e questo spiega perché ci sono pochi pentiti di ‘ndrangheta. I pentiti sono uno degli strumenti che ha consentito di combattere la mafia e dare colpi molto forti alla mafia in Sicilia. Con la ‘ndrangheta, spesso, quando si deve denunciare, la denuncia riguarda un parente e diventa molto più difficile. Inoltre, la ‘ndrangheta ha a disposizione un’enorme quantità di denaro: è l’unica organizzazione criminale per cui è sufficiente alzare il telefono per far arrivare tonnellate di droga da tutto il mondo senza bisogno di dare garanzie.
La quantità enorme di denaro della ‘ndrangheta viene poi riportata sui nostri territori, entra nell’economia e questo è il problema perché rischiamo di avere un inquinamento dell’economia legale spaventoso.
Quando l’ISTAT dice che il 2% del PIL italiano è dato dalle attività della criminalità organizzata vuol dire che c’è il controllo di una parte dell’economia e questo è un problema democratico molto serio e grave. Qui sta la pericolosità della ‘ndrangheta che, in periodi di crisi, come quello che stiamo attraversando, si traduce nella capacità di alimentare una zona grigia in cui sono gli imprenditori a cercare la ‘ndrangheta per avere i soldi pensando poi di poterli restituire e uscirne indenni, invece l’ultima inchiesta su Como ci racconta che tutto inizia così, oppure inizia con l’imprenditore che si rivolge all’ndranghetista per riuscire a riscuotere i suoi crediti e poi si ritrova taglieggiato e a dover cedere l’azienda. C’è una capacità di condizionamento del mercato molto preoccupante.
Questa è quindi una prima zona grigia in cui ci sono le imprese e molti professionisti.
A questo si aggiunge il tentativo di autorappresentarsi nella politica e nelle pubbliche amministrazioni, non solo attraverso gli eletti: la storia di queste inchieste è anche la storia di una capacità di mettere dipendenti pubblici o capi dipartimenti in settori come quello dei servizi sociali all’interno di un’amministrazione che distribuiscono solo ad alcuni i bonus e assumono una forza enorme sul territorio.
Poi c’è la questione della politica, il tentativo di entrare, di mettere i propri uomini e non più solo il voto di scambio. Ci raccontano questo scenario l’inchiesta di Lecco e di Viadana con la ‘ndrangheta che riesce a mettere i propri uomini anche dentro al PD.
Su questo ci sono da mettere in campo delle norme.
Però l’impressione è sempre quella che sia una sorta di stupore di fronte a questi episodi, anche in Emilia in cui ci sono stati 160 arresti di ‘ndranghetisti: è evidente che è mancata l’attenzione, che al di là di tutto siamo impreparati dentro il PD ma anche dentro le amministrazioni a cogliere quelle che sono le spie che possono far capire che c’è qualcosa che non funziona.
A Viadana raccontano che l’assessore ai servizi sociali avesse la fila davanti al suo ufficio per ritirare i contributi sociali composta solo da calabresi ma è successo anche altrove e magari non era responsabilità diretta del politico ma di qualche capo dipartimento.
Anche in provincia di Milano ci sono Comuni in cui sono avvenuti episodi analoghi e ce ne siamo accorti sempre dopo che i fatti erano accaduti. Occorre, quindi, imparare a dare il giusto valore a questi segnali prima.
Ci sono associazioni dei sindaci e degli amministratori che occorre che spieghino a quali cose guardare per capire se c’è un problema e poter intervenire prima e se c’è un sospetto, forse è meglio guardarci dentro, perché non si può sempre aspettare l’intervento della magistratura.
A mio avviso, occorre costruire gli anticorpi dentro alle amministrazioni e nei partiti e, complessivamente, nella società perché o c’è un’opinione pubblica che capisce che, anche se non si tratta di soggetti che minano direttamente alla sicurezza del proprio portafoglio o della propria casa, c’è un problema che riguarda le libertà individuali di ognuno nei rischi che si corrono con la criminalità organizzata, altrimenti faremo fatica a batterla.
Quando si è battuta la mafia in Sicilia, ci si è riusciti perché l’opinione pubblica ha capito che c’era bisogno di indignarsi perché c’era un problema molto grave, la reazione si è avuta dopo episodi eclatanti, con gli attentati in cui morirono Falcone e Borsellino; qui al Nord è meno evidente ma lo sforzo che dobbiamo fare è quello di spiegare alle persone che la criminalità organizzata è un rischio vero.
Sulla questione che riguarda gli appalti, attualmente, in Senato è in discussione la modifica della legge che li disciplina e, a mio avviso, si tratta di un passaggio importante.
Un altro passo importante sul tema degli appalti, è già stato fatto dall’Autorità Anticorruzione, con il lavoro che sta svolgendo Raffaele Cantone, cioè valutare le gare d’appalto o il capitolato delle gare d’appalto per analizzare lo spazio in cui nasce la corruzione.
Tutta la vicenda di Infrastrutture Lombarde, ad esempio, non è legata a funzionari ma a un avvocato consulente pagato per sistemare l’appalto esattamente in modo funzionale a questo o quell’acquirente. È emerso più volte dalle inchieste su Regione Lombardia in questi mesi.
Non c’è poi solo un problema di corruzione ma c’è anche un problema di infiltrazione della ‘ndrangheta.
Gratteri racconta che c’è una seconda o terza generazione che ha studiato e che di professione fanno il dirigente pubblico nelle amministrazioni e diventano poi un appoggio per la rete della criminalità. Nelle inchieste giudiziarie recenti si trova anche qualche vicenda di questo tipo e si tratta di una situazione a cui occorre prestare molta attenzione.
Venendo al tema delle interdittive, invece, c’è una legge nazionale chiara, ma poi c’è un problema di come viene applicata e che strumenti si mettono in campo a livello delle Prefetture locali.
Sulle white list, invece, l’elenco delle aziende che chiedono di essere accreditate si basa su richieste che arrivano direttamente dalle imprese e per ottenere ciò si assumono una serie di oneri e di impegni con cui garantiscono la loro “pulizia”.
In Emilia Romagna (balzata alle cronache di questi giorni per le pesanti infiltrazioni ‘ndranghetiste), la white list è semplicemente la certificazione antimafia, per cui è evidente che c’è un problema che riguarda gli strumenti in campo.
Su Expo, a Milano, invece, si sono fatte 42 interdittive perché si sono anche messi in campo degli strumenti più efficaci di contrasto al crimine: non c’è stata solo la verifica sulle problematiche di parentela o amicizia o altro con la criminalità. C’è poi un problema che riguarda i capitali e, quindi, il controllo sulla provenienza dei capitali che finanziano le imprese e c’è stata poi la scelta di mettere in campo anche un’altra procedura straordinaria - che andrà istituzionalizzata - e che è l’accesso ai cantieri che consente di verificare se quell’azienda, nonostante abbia un nome diverso e un proprietario dal nome “pulito” però magari utilizza lavoratori o macchinari che sono di proprietà di aziende che sono considerate vicino alla ‘ndrangheta e questo è un fatto importante.
Personalmente, sto seguendo la vicenda di Viadana (in provincia di Mantova) dove c’è un vicesindaco che si è scoperto essere legato alla ‘ndrangheta in seguito ad un’intercettazione in cui il boss locale al telefono con la casa madre affermava “Viadana è nostra”. Chi ha dato la certificazione antimafia, o meglio chi ha inserito nella white list la società della persona citata nell’intercettazione consentendole di accedere agli appalti e ai cantieri lo ha fatto nonostante avesse in mano l’intercettazione. Nel verbale è citata l’intercettazione che, però, nella logica burocratica è stata valutata come non sufficiente per impedire la white list e, quindi, c’è un problema anche di strumenti e soprattutto di criteri, perché invece la legge su questo tema funziona. Il punto, dunque, è quali mezzi si mettono in campo.
Poi è evidente che c’è un altro tema che si collega a questo: su Expo, ad esempio, abbiamo fatto una forzatura perché le aziende interdette non possono neanche fare ricorso o meglio, anche se fanno ricorso, non ha effetto, nel senso che i lavori procedono ugualmente con altre aziende. Ad oggi non sappiamo cosa produrrà questa procedura nel momento in cui qualche azienda dovesse vincere un ricorso. Eppure questo è un tema importante perché, spesso, negli appalti pubblici interdire un’azienda può voler dire bloccare i lavori.
Sulla questione europea abbiamo lavorato molto anche durante questo semestre europeo di Presidenza italiana e ci sono stati dei passi avanti sia rispetto ai reati di mafia che ai reati di terrorismo internazionale, come la decisione di mettere insieme le banche dati; inoltre si sta lavorando per avere da qui a pochi anni una procura europea e ci sono una serie di necessità per cui occorre armonizzare le norme.
È evidente, infatti, che se la confisca preventiva dei beni all’accusato di mafia in Italia avviene senza aspettare che vi sia una sentenza di condanna ma in altri Paesi questo non è possibile, si rischia che i mafiosi scelgano di investire in altri Paesi dove i loro patrimoni sono al sicuro.
Sulla questione del falso in bilancio, le norme messe in campo dal governo riguarderanno anche le aziende non quotate in borsa (per queste la pena va dai 2 ai 6 anni di reclusione) e c’è l’ipotesi di dire che solo per le aziende non quotate in borsa, se il dato non supera il 5% del risultato economico di esercizio e non supera l’1% del patrimonio, non è un reato penale. Di questo discuteremo comunque in Parlamento.
Per le aziende quotate in borsa, invece, il reato è punibile dai 3 agli 8 anni di reclusione e viene aumentata la prescrizione in modo da consentire un tempo più ampio per le indagini.
L’ultima cosa la voglio dire sulla zona 9 di Milano.
La vicenda del centro sportivo di via Iseo è inquietante e su di essa c’è stata un’attenzione positiva sia del Comune di Milano che del Consiglio di Zona. Penso che dare un segno che presto si possa rimettere in funzione quel centro sia un segnale che dobbiamo dare al quartiere.
Come Commissione Parlamentare Antimafia siamo stati a Milano e abbiamo audito il Prefetto e le Forze dell’Ordine e ci hanno detto che questa zona rispetto ad alcuni quartieri popolari è una zona dove ci sono famiglie che, a partire dalle gestione delle occupazioni abusive, cercano di condizionare la vita del quartiere con minacce, intimidazioni. Oggi questa situazione è in un dossier all’attenzione della Prefettura e si lavora per garantire che non ci siano zone franche.
Non ci sono segnali che queste famiglie siano legate direttamente alla criminalità organizzata, però, sicuramente in alcun quartieri c’è il tentativo di condizionare il territorio anche in modo molto aggressivo (ricordiamo ad esempio la vicenda di Largo Rapallo) e, quindi, c’è un tema che non va trascurato e che comunque sta dentro alla necessità di evitare che si creino zone franche.
Il tema del controllo delle occupazioni abusive è uno dei temi su cui si è costruito una sorta di attività da parte di queste famiglie nei quartieri popolari e su questo dobbiamo sapere che quando parliamo di criminalità organizzata non è che parliamo solo di ‘ndrangheta ma anche di cose con cui viviamo fianco a fianco quotidianamente. C’è la grande mafia che investe e ricicla il denaro nell’economia sana e c’è poi un altro tipo di criminalità organizzata che su alcun territori rende la vita di tanti cittadini complicata perché li costringe a fare i conti con intimidazioni, minacce e regole che non decide la società civile ma queste famiglie.
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