Un nuovo Presidente, una nuova fase
Articolo pubblicato dal Giornale dei Lavoratori
L’elezione di Sergio Mattarella alla Presidenza della Repubblica alla quarta votazione è un’ottima notizia: in primo luogo perché colma immediatamente il vuoto istituzionale creato dalle annunciate dimissioni di Giorgio Napolitano, secondariamente per la qualità ed i meriti dell’eletto, che in questa fase storica è forse il miglior Presidente che l’Italia potesse avere. La storia personale di Mattarella è nota, ed affonda le sue radici nelle vicende politiche siciliane e nazionali degli ultimi settant’anni, a partire da quelle del padre Bernardo, uno dei fondatori della Democrazia Cristiana in Sicilia, antifascista dichiarato e nemico delle idee separatiste che serpeggiavano nell’isola alla fine dell’ultima guerra mondiale. Più volte ministro, Bernardo Mattarella venne accusato di collusioni con la mafia, accuse mai provate e che peraltro provocarono un processo per diffamazione contro il noto sociologo e pedagogista Danilo Dolci, che venne condannato.
Il fratello maggiore del nuovo Presidente, Piersanti, assunse la guida della Regione Sicilia nel 1978 come esponente della corrente morotea della DC nei giorni del rapimento e dell’assassinio del suo maestro, e volle inaugurare una stagione di rinnovamento morale e politico che la mafia stroncò con un attentato il 6 gennaio 1980. Circola in questi giorni una foto d’epoca in cui si vede, pochi minuti dopo l’agguato, il nuovo Presidente della Repubblica che sorregge la testa del fratello ferito, che morirà fra le sue braccia.
Sergio Mattarella, a differenza di altri, non trasformò mai la sua tragedia familiare in una professione o in un lucroso commercio, ma la assunse piuttosto come un impegno civile, lasciando la carriera universitaria brillantemente intrapresa per seguire la vita politica entrando in Parlamento nel 1983 e favorendo, insieme all’amico Leoluca Orlando e ad altri, l’apertura di quella stagione definita della “Primavera palermitana”, che per prima incominciò ad espellere i rappresentanti della criminalità organizzata dal potere cittadino. Fu anche Ministro, e tuttavia così poco attaccato al potere da dimettersi nell’estate del 1990 dal sesto Governo Andreotti per non avallare la cosiddetta Legge Mammì, che consegnava a Berlusconi un indebito oligopolio nel mercato televisivo.
Mattarella ha seguito con coerenza l’arco politico della sinistra democristiana dalla fondazione del PPI fino alla nascita del Partito Democratico, il cui documento programmatico contribuì a scrivere insieme all’indimenticabile Pietro Scoppola. L’approdo alla Corte costituzionale nel 2011 è stato il giusto riconoscimento della dottrina giuridica e dell’attitudine di un uomo che è sempre stato apprezzato da amici ed avversari per onestà, sobrietà ed equilibrio.
Questa elezione rappresenta anche un oggettivo successo strategico per Matteo Renzi, che sul nome di Mattarella ha ricompattato il PD ed è riuscito a dimostrare che il cosiddetto “Patto del Nazareno” non comprendeva affatto l’elezione del Capo dello Stato, se è vero che il nome del candidato è stato proposto unilateralmente dal Segretario/Premier, condiviso in primo luogo con il suo Partito e accettato (più o meno favorevolmente) sia dalle forze di maggioranza che da soggetti come SEL che attualmente sono all’opposizione per finire con frange di quei parlamentari che sempre più numerosi si stanno distaccando dal Movimento 5 stelle.
Proprio il M5S esce malissimo da questa elezione, dimostrando una volta di più la totale incapacità della ditta privata di Grillo e Casaleggio di uscire dalla logica contrappositiva e di imparare a fare politica, che era poi quello che gli chiedeva quel 25% di Italiani che li votò due anni fa. Il M5S ha dimostrato sia di essere incapace di proporre un nome minimamente attraente per altri partiti - come lo fu Rodotà nel 2013 - sia di poter convergere utilmente su altri nomi, magari sparigliando il gioco del PD con un'eventuale candidatura di Romano Prodi.
Fra gli sconfitti figura sicuramente anche Silvio Berlusconi, che è stato ampiamente giocato da Renzi, il quale prima gli ha imposto di far passare la legge elettorale nella pericolosa aula di Palazzo Madama, poi ha rifiutato ogni accordo su di un nome diverso da quello di Mattarella, costringendo Forza Italia a spaccarsi fra coloro che volevano convergere, perso per perso, sul nome del giurista siciliano, quelli che volevano votare scheda bianca e quelli che giungevano a proporre l'atto oggettivamente eversivo di uscire dall'aula al momento del voto. Alla fine ha prevalso l'opzione scheda bianca, ma dal conteggio finale è risultato come molti forzisti nel segreto dell'urna abbiano ugualmente scelto di votare Mattarella, sancendo di fatto la crescente precarietà della leadership berlusconiana.
E' dunque venuto meno il Patto del Nazareno? E' presto per dirlo, perché in effetti l'accordo sulla riforma elettorale ed istituzionale è l'unica carta che rimane in mano a Berlusconi per evitare un declino rovinoso che non solo metterebbe a rischio un partito di cui al Cavaliere importa sempre di meno, ma soprattutto la saldezza della posizione delle sue aziende, che sono da sempre il suo vero ed unico interesse.
Probabilmente quindi il cammino delle riforme continuerà, sotto l'occhio attento del nuovo Presidente, che arriva direttamente dalla Corte costituzionale, e che ne faceva già parte quando essa dichiarò incostituzionale nelle sue parti essenziali la legge elettorale del 2005, il cosiddetto “Porcellum”, lui che invece nel 1993 aveva dato il suo nome ad un'altra legge elettorale di impianto maggioritario, ben più organica e coerente.
Un cattolico democratico succede dunque ad un comunista riformista, a riprova del fatto che le uniche due culture politiche vitali di questo Paese rimangono quelle, le stesse alla base del patto costituente e che per li rami sono arrivate fino ad oggi - cambiate, certo - come filo rosso di una storia politica sicuramente non priva di errori ma che ha saputo garantire libertà e benessere ad un Paese uscito straziato da una guerra dichiarata con criminale leggerezza e rovinosamente perduta. Non è un caso del resto che la prima uscita di Mattarella da Presidente eletto sia stata alle Fosse Ardeatine, simbolo ad un tempo dell'oppressione nazifascista e dell'anelito di libertà espresso dalla lotta resistenziale.
Si apre una fase nuova della nostra storia, ricca di incognite, che tuttavia vede la massima magistratura repubblicana presidiata da una personalità autorevole e rigorosa, mentre al centro del gioco politico è saldamente installato il Partito Democratico con il suo Segretario/Premier.