Libertà e responsabilità
La strage del 7 gennaio a Parigi ha colpito l'opinione pubblica non solo per il fatto che ad essere colpita era una grande capitale europea (era già successo a Londra e Madrid) ma anche e soprattutto per l'obiettivo, che non aveva nulla di politico o di militare: un giornale, anzi un settimanale satirico.
Si discuterà all'infinito sulle vignette di “Charlie Hebdo” dedicate all'Islam ed in particolare alla figura del Profeta Muhammad (Maometto), che i fedeli islamici considerano irrappresentabile in forma grafica o fisica al pari di Dio, e che spesso sulle pagine del settimanale parigino veniva presentato in contesti dissacranti se non volgari e blasfemi. Il fatto è che secondo le stesse modalità venivano spesso e volentieri rappresentati Gesù e Mosè, e così pure i rappresentanti di tutte le principali religioni, con pesanti riferimenti di carattere sessuale.
Giustamente si è notato come “Charlie Hebdo” derivi le sue origini da un filone ben preciso della cultura d'Oltralpe, quella dello spirito laico, radicale e libertino che si ricollegava, magari con un tratto meno elegante e più greve, alla lezione di Voltaire, di Chamfort , di Zola e di Alain. Ma, per l'appunto, si tratta di una satira che procede a trecentosessanta gradi e che non riconosce alcunchè di sacro perché fa della critica radicale la sua ragion d'essere, al punto tale che il giornale dalle cui ceneri “Charlie” nacque, “Hara Kiri”, sospese le sue pubblicazioni per un pesante intervento censorio a seguito di un articolo giudicato offensivo in morte del generale De Gaulle.
Risultano quindi ridicole le dichiarazioni rilasciate in questi giorni da certi esponenti di quella cosa miserabile che è la destra italiana, gli stessi che quando Berlusconi era al governo invocavano censure e prigione contro coloro che mettevano alla berlina il Sire di Arcore. Gli stessi che sono pronti a pubblicare le vignette di Cabu o di Charb in cui si irride all'Islam ma mai accetterebbero di riprodurre quelle contro il Papa o i rabbini, non perché siano uomini di fede (ma quando mai) o perché abbiano maggior rispetto per cristiani ed ebrei, ma semplicemente perché non vogliono, per un miserabile calcolo politico, correre il rischio di inimicarsi entità assai più terrene come il Vaticano ed Israele.
Personalmente non comprerei mai “Charlie Hebdo” come a suo tempo non avrei comprato “Il Male”, perché quel tipo di satira mi infastidisce dal punto di vista del buon gusto prima ancora che da quello , per così dire, ideologico. Credo però che pubblicazioni del genere abbiano il pieno diritto di esistere e di potersi esprimere liberamente; credo anche che chi ritiene che questo tipo di pubblicazioni passi la soglia della diffamazione o dell'ingiuria abbia davanti a sé la possibilità di chiederne conto in tribunale, come la legge permette. Mai però l'inchiostro della penna dovrà essere pagato con il sangue di chi scrive o disegna, e questa è la soglia che delimita la civiltà dalla barbarie.
Credo anche che se i giornalisti, ivi compresi gli autori satirici, hanno il pieno diritto a scrivere o disegnare quello che vogliono (il sottotitolo di “Charlie Hebdo” è non a caso “journal irresponsable”), altre categorie abbiano invece bisogno di un di più di responsabilità. Le vignette che ironizzano sul Profeta o su qualunque altro argomento sono espressione di libertà di parola, un Ministro che va in televisione ad esibire una maglietta che riproduce quelle vignette per un calcolo elettoralistico da quattro soldi è un opportunista irresponsabile indegno della posizione che ricopre, perché non capisce la differenza che c'è fra un uomo di Stato ed un tifoso ad una partita di calcio.
Allo stesso modo, l'istigazione a non aprire nuovi luoghi di culto islamici è un suicidio politico, perché serve a creare quel tipo di ghettizzazione che è la migliore anticamera psicologia allo jihadismo come riscatto sociale ed identitario (probabilmente la vera motivazione dei criminali assassini di Parigi). Dire “non costruiremo moschee da noi finché nei Paesi arabi non costruiranno chiese cristiane” è un'assurdità perché segna l'abdicazione unilaterale ad un principio costituzionale irrinunciabile come la libertà di religione. Semmai la richiesta di allentare i vincoli confessionali e teocratici potrebbe essere un buon elemento di pressione a livello internazionale rispetto a certi Stati mediorientali in sede di contrattazione di accordi commerciali e strategici, ma lì l'unico criterio che vale è quello del “business is business”, mentre la difesa delle radici cristiane è solo un discorso della domenica a beneficio dei gonzi disposti a crederci.