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Crolla il lavoro femminile al Sud

Written by Il Sole 24 Ore.

DonneArticolo del Sole 24 Ore.

Ogni mese di lockdown è «costato» quasi 48 miliardi di euro, il 3,1% del Pil italiano, oltre 37 dei quali «persi» al Centro-Nord (3,2% del Pil) e quasi 10 nel Mezzogiorno (2,8% del Pil). La stima della Svimez, l’associazione per lo sviluppo industriale del Mezzogiorno, è un buon punto di partenza per riassumere numeri, proiezioni e considerazioni contenute nel Rapporto annuale presentato martedì 24 novembre. Gli effetti della pandemia si tramutano in previsioni per il 2020 peggiori di quelle formulate dalla stessa Svimez a luglio: per il Pil si tratta di -9% nel Mezzogiorno, -9,8% nelle regioni del Centro-Nord, -9,6% a livello italiano. Significa per il Pil meridionale risultare a fine 2020 al di sotto del suo picco minimo del 2014 e inferiore di 15 punti percentuali rispetto al 2007 (il Centro-Nord di circa 7).
Le perdite nel mercato del lavoro - Il Sud paga il conto innanzitutto in termini occupazionali con una riduzione nei primi tre trimestri del 2020 pari al 4,5%, il triplo rispetto al Centro-Nord: circa 280 mila posti di lavoro in meno. Rispetto al 2007, la riduzione è di quasi mezzo milione di posti. L’analisi si sofferma in particolare su un'area potenziale di quasi 2 milioni di soggetti esclusi dalle tutele: lavoratori irregolari o precari e giovani che si stanno affacciando sul mercato del lavoro senza speranza di potervi entrare. E solo una parte potrebbe essere coperta dal reddito di cittadinanza.
L’occupazione dei giovani - Risulta sempre più evidente il problema generazionale nel mercato del lavoro. Rispetto al 2008 l'occupazione giovanile si è ridotta di 573 mila unità nel Sud, a fronte di una crescita di 689 mila unità degli over 50. Nel Centro-Nord gli occupati under 35 si sono invece ridotti di 1,2 milioni di unità mentre gli over 50 sono cresciuti di 2,4 milioni.
L’occupazione delle donne - La Svimez mette con ancora maggior forza in risalto la questione femminile. La tesi è che, contrariamente alla precedente crisi economica (prevalentemente «industriale»), gli effetti occupazionali del lockdown si sono scaricati proprio sulla componente femminile, occupata nei servizi con contratti precari. L'emergenza sanitaria ha cancellato nel secondo trimestre 2020, a livello nazionale, quasi l'80% dell'occupazione femminile creata tra il 2008 ed il 2019 riportando il tasso d'occupazione delle donne a poco più di un punto sopra i livelli del 2008. Nelle regioni meridionali l'occupazione femminile persa nel periodo considerato è quasi il doppio di quella creata negli undici anni precedenti (–171 mila unità a fronte di +89 mila tra il 2008 ed il 2019) con il tasso di occupazione rimasto poco al di sopra dei livelli del 2008 (31,7% nel secondo trimestre 2020 a fronte del 31,3%) solo per effetto del calo demografico. Il calo in termini di unità è del 7,3% rispetto allo stesso periodo dell’anno prima, al Centro-Nord con 299mila unità è stato invece del 3,9%. E la moderata ripresa del trimestre estivo, secondo Svimez, ha migliorato solo marginalmente la situazione.
La precarietà del lavoro femminile - Anche se in calo dal culmine della doppia fase recessiva, la precarietà per le donne resta decisamente più elevata rispetto a quella del lavoro maschile soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno. «Quasi un quarto delle donne dipendenti a termine nel Mezzogiorno - osserva l’associazione - ha quel lavoro da almeno cinque anni ad evidenziare le scarse probabilità di trasformazione in posizioni permanenti a fronte del 13-14% delle dipendenti del Centro-Nord». E sono più diffuse le basse retribuzioni: a livello nazionale «l'11,5% delle dipendenti ha una retribuzione oraria inferiore ai due terzi di quella mediana a fronte del 7,9% degli uomini. Ancora più elevato è il gap nel Mezzogiorno dove circa un quinto delle donne si trova in tale condizione a fronte del 14% degli uomini».
Spicca un ulteriore dato, con evidenze anche nazionali. L’occupazione femminile in professioni cognitive altamente qualificate è calata tra il 2008 ed il 2019 di oltre 290 mila unità a livello nazionale (-7,1%), mentre negli altri Paesi europei è aumentata (+21,9% nell'Eu-15). Il calo nel Mezzogiorno è stato decisamente più accentuato (-16,2%) rispetto al Centro-Nord (-4%).
Il divario dei diritti di cittadinanza - Un ulteriore capitolo del rapporto ripercorre considerazioni e numeri approfonditi dal direttore della Svimez, Luca Bianchi, nel libro «Divario di cittadinanza» scritto con Antonio Fraschilla (edizioni Rubettino). Ci sono dati sulla spesa sanitaria corrente pro capite, che fanno definire dalla Svimez il Sud «una zona rossa già prima della pandemia», e statistiche molto chiare sui divari scolastici. La percentuale di tempo pieno nella scuola primaria è al Sud del 16%, al Centro-Nord del 46,1% per una media italiana del 35,4%. Ed è evidente l’importanza dell’ambito familiare: al Sud i ragazzi tra 6 e 17 anni che vivono in famiglie in cui non sono disponibili dispostivi informatici sono il 19% contro il 12,2% medio italiano e la percentuale sale al 34% se in famiglia nessuno dei genitori è andato oltre la scuola dell’obbligo.
Legge di bilancio: gli effetti sull’economia - La Svimez prevede una ripresa del 2021 segnata dal riaprirsi di un forte differenziale Nord/Sud: 4,7% contro 1,6%. Il dato incorpora anche gli effetti della legge di bilancio per il 2021 il cui impatto è stimato in +0,4% al Sud e +0,2% nel Centro-Nord. Nel 2022 l’impatto passerebbe a + 1,1% al Sud contro il +0,3% nel Centro-Nord. Per il Mezzogiorno la spinta deriverebbe essenzialmente dalla decontribuzione al 30% per il lavoro dipendente (16 miliardi nel triennio), dal credito imposta per gli investimenti rifinanziato con 1 miliardo annio per il 2021 e il 2022 e dall’incremento degli investimenti della politica di coesione nazionale nel 2022 (circa 5 miliardi di euro).
La spesa dei fondi e le priorità - Emerge, e non è una sorpresa, il ritardo italiano nella spesa dei fondi europei. Ad agosto i pagamenti rispetto a oltre 50 miliardi di finanziamenti 2014-2020 erano al 39,2%. Per la Svimez l’accelerazione nell’uso delle risorse della programmazione passata e di quella che riguarda il 2021-2027 dovrà essere coerente con gli indirizza di spesa dei 209 miliardi dell’iniziativa Next Generation Eu. Per quest’ultima, l’associazione presieduta da Adriano Giannola, propone due indirizzi prioritari per il Mezzogiorno: «Un percorso sostenibile di perequazione che consenta di superare la pratica della “spesa storica”» e un progetto di politica industriale - il Quadrilatero Napoli-Bari- Taranto-Gioia Tauro da estendersi alla Sicilia - per l'interconnessione tra le zone economiche speciali, a partire dal completamento della Napoli-Bari.
L’impatto dei fondi «Next Generation Eu» - L’associazione ha infine provato a stimare l’impatto della spesa dei fondi del programma Next Generation Eu, limitandosi alla quota dei contributi a fondo perduto, sulla base di tre diversi scenari di allocazione al Sud. Si calcola un impatto nazionale sul Pil reale attorno al 4% (valore cumulato in un quadriennio) se si conferma l'attuale trend, cioè circa il 22,5% di spesa in conto capitale ordinaria della pubblica amministrazione al Sud. In virtù della forte interdipendenza economica tra le due macroaree del Paese, si salirebbe al 4,38% di crescita, invece, applicando la clausola del 34% minimo di spesa, che oggi la legge in realtà prevede solo per gli investimenti ordinari in conto capitale (mentre il piano europeo rientrerebbe in spesa “straordinaria”). In quest’ultimo caso, il Mezzogiorno aumenterebbe la sua crescita dal 2,75% al 5,5% e il Centro-Nord passerebbe da 1,3 a 1,2%.
L’ipotesi di spendere al Sud fino al 50% -Svimez analizza anche un teorico riparto al 50%: in questo caso la crescita nazionale del Pil sarebbe del 4,32% mentre l'aumento annuo di produttività nel settore industriale sarebbe dell’1,33% anziché dell’1,29%. Per quanto riguarda la famosa clausola del 34%, tuttavia, la stessa Svimez sembra considerare il rischio che resti sulla carta segnalando «i ritardi nella predisposizione dei decreti attuativi di tale norma».
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