Un “partito di cattolici”?

Il confronto a tre voci ospitato dal n. 2/2020 di «Appunti» fra tre intellettuali di alto livello (Stefano Zamagni, Franco Monaco e Filippo Pizzolato) non può non suscitare l’interesse e provocare in qualche modo una “risposta” in chi, come chi scrive, con queste tematiche si è misurato da molti anni e che, con Alberto Monticone e Lino Prenna, ha dato vita all’Associazione «Agire Politicamente», che (eravamo nel 1990, dunque ben trent’anni fa) gli stessi problemi si era proposta di avviare a soluzione grazie ad un serrato confronto intellettuale prima che partitico.
È possibile che l’iniziativa di cui Zamagni si è fatto autorevolmente promotore abbia successo e che possa indicare una “nuova strada” ai tanti cattolici sconcertati dalla politica di questi anni e desiderosi di realizzare nella società civile una presenza (non un’egemonia!) importante e significativa.
Sennonché ‒ ed è questo il problema ‒ sarà realizzabile la fondazione di un nuovo partito di esplicita ispirazione cristiana seppur diverso dall’antica Democrazia Cristiana, anche a partire dall’acquisita consapevolezza che i cattolici in quanto tali, uniti dalla fede, saranno presumibilmente divisi su quel che fare? unanimemente ritenuto il banco di prova di ogni autentica politica?
Non si può escludere a priori che un pur piccolo partito, fortemente coeso, capace di attirare qualificati specialisti dei vari ambiti della politica, possa alla fine risultare significativamen¬te incisivo (né gli esempi della storia del passato escludono questa possibilità). Ma, perché ciò avvenga, occorrerebbe tenere presente che, allo stato attuale delle cose, la fondazione di un piccolo ma autorevole “partito di cattolici” presenterebbe una serie di problemi di non facile soluzione.
Due sarebbero infatti le vie percorribili in vista della costituzione di una tale formazione politica: la prima è quella di ottenere il consenso dei non pochi né scarsamente qualificati cattolici che attualmente militano in altri partiti; la seconda quella di attirare alla politica, facendoli ‒ finalmente ‒ “discendere in campo” coloro che ad essa sono interessati ma non hanno trovato sino ad ora una “casa” nella quale abitare.
La prima “base” potenziale del nuovo partito implicherebbe, da una parte, l’impoverimento dei partiti esistenti, che resterebbero orfani di autorevoli competenze, ponendo loro un serio problema di coscienza: restare al loro posto (con il rischio di “mancare all’appello” o essere accusati di essere attaccati più alle poltrone che non ai valori?). Dall’altra parte, l’appello al quale fa riferimento Zamagni si dovrebbe confrontare con un’opinione assai diffusa crediamo ‒ fra i cattolici più attenti alle problematiche sociali ‒ secondo la quale tale iniziativa andrebbe maggiormente approfondita nei suoi vari aspetti, anche tenendo conto (come è inevitabile che avvenga) degli orientamenti della Conferenza Episcopale Italiana: dal¬la quale, fra l’altro, qualcuno si attenderebbe un esplicito inco-raggiamento a questa “discesa in campo”. Con il duplice rischio, tut¬tavia: da un lato, di sentire ripetuta la logora “litania” circa le “intromissioni” della Chiesa nella politica, qualora la CEI si schierasse, direttamente o indirettamente, a favore del nuovo progetto politico (finalmente “cristiano”); dall’altro lato, di co¬stringere l’episcopato ad una sorta di asettica distanza.
Che fare, dunque? Personalmente ritengo che il progetto di Zamagni debba essere attentamente considerato (data l’insoddisfa¬zione, anche di chi scrive, per l’accentuata frammentazione dei cattolici impegnati in politica), ma che, nello stesso tempo, esso debba essere preparato in modo più attento e meditato. Si potrebbe obiettare ‒ ¬e questa critica non sarebbe senza fondamento ‒ che dopo trent’anni di riflessione (a partire, appunto, dall’Agire politicamente del lontano 1990) è giunto il tempo della decisione. Per procedere in modo ordinato, ritengo, tuttavia, opportuno, anzi necessario orientarsi alla creazione di un Istituto di politica a livello nazionale (ma con “filiali” sparse in tutta Italia) con due compiti essenziali: in primo luogo, fare conoscere e valorizzare, anche con scritti e pubblicazioni, il grande patrimonio ideale e culturale dei cattolici italiani impegnati in politica; in secondo luogo, attivare regolari e qualificati corsi di formazione politica, così da preparare il terreno ad un successivo vero e proprio impegno politico diretto.
Si potrà obiettare che esistono già le Settimane sociali (esse non hanno e non possono avere un carattere politico, data la loro natura ecclesiale) ed anche autorevoli Istituti e Centri di ricerca, quali, ad esempio l’Istituto Sturzo di Roma e l’Archivio per la sto¬ria del Movimento cattolico. Ma l’una e l’altra realtà ‒ e non poche altre istituzioni, sparse un poco ovunque, che per ragioni di brevità non è qui possibile elencare ‒ non hanno dirette ed esplicite finalità politiche, bensì culturali.
Sono il primo a domandarmi se un Istituto nazionale di politica incontrerebbe il consenso degli italiani e, conseguentemente, potrebbe avvalersi ‒ data anche la presenza in ambito cattolico di non marginali risorse ‒ di qualificate competenze, così da organizzare incontri e convegni nazionali e internazionali; preparare corsi-base di forma¬zione alla politica; pubblicare una rivista di alto livello; avviare una collana di testi facenti riferimento sia alla storia del Movi¬mento cattolico sia alle attuali problematiche socio-politiche italiane ed europee; contribuire, laicamente, all’aggiornamento ed all’affinamento della Dottrina sociale della Chiesa (non si vede, al riguardo, perché di questi temi debbano avere un quasi-monopolio le Facoltà teologiche, la Compagnia di Gesù, e così via). Creare, in sintesi, un autorevole punto di riferimento per quanti, soprattutto fra i giovani cattolici (uo¬mini e donne) intendano operare, con innovativa capacità di pensiero e di azione, nel tradizionale campo della Dottrina sociale della Chiesa (ma meglio sarebbe dire del «Pensiero sociale cristiano»...).
Si potrà obiettare ‒ ed è l’ultima considerazione ‒ che in questo modo si rinvia ancora, forse per un tempo non breve, il “rientro in campo” dei cattolici. Ma le ragioni della cautela, per non dire della diffidenza di parti non marginali del “mondo cattolico”, come del resto tanto Monaco quanto Pizzolato mettono in evi¬denza, mi sembra che debbano essere prese seriamente in conside¬razione. Né si può escludere che lo stesso Zamagni, allorché verificherà con i suoi amici l’ipotesi di una autorevole “discesa in campo”, possa riconsiderare la possibilità di attendere alla realizzazione del suo progetto, magari accogliendo in alcuni aspetti la proposta di cui chi scrive si è fatto portatore: non da solo in verità, dato che le riflessioni prima condotte sono state da mol¬te parti condivise in un arco di tempo assai lungo, come è stato il ricorrente “pellegrinare” nelle varie regioni d’Italia al fine di sollecitare l’impegno dei credenti nella società da parte di chi, come chi scrive, è stato nello stesso tempo marginale rispetto alla politica attiva e fortemente impegnato, invece, nel “riscatto” di una politica che quasi sempre in Italia ‒ anche nel mondo cattolico ‒ è stata considerata una realtà dalla quale rifuggire.
Forse la rivendicazione dell’importanza e della «laica bellezza» della politica è il principale compito che il cattolicesimo italiano ha di fronte in una stagione in cui la «fuga dalla politica» ‒ nella duplice forma dell’astensionismo elettorale e del «voto di protesta» ‒ è un fatto ricorrente e documentato. L’A Diogneto, così caro a Lazzati, a Monaco ed anche all’estensore di queste note, è assai lontano, forse si tratta di una «memoria smarrita».