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Sulle norme contro la violenza negli stadi

Written by Emilia De Biasi.

Emilia De Biasi Intervento in Senato durante la discussione sulla Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 22 agosto 2014, n. 119, recante disposizioni urgenti in materia di contrasto a fenomeni di illegalità e violenza in occasione di manifestazioni sportive, di riconoscimento della protezione internazionale, nonché per assicurare la funzionalità del Ministero dell'interno.
Premetto che voterò la fiducia su questo provvedimento per gli elementi importanti che vi sono riguardo all'immigrazione, alla capacità umanitaria del nostro Paese, al rispetto dei diritti umani e per la presenza di norme riguardanti la violenza negli stadi, ritenendo che il tema della sicurezza dei cittadini in questo campo sia molto importante.
Proprio per questo vorrei però fare qualche sottolineatura, ringraziando ancora una volta il relatore Cociancich per la puntualità delle sue osservazioni, anche perché noi avevamo anche predisposto un ordine del giorno in materia.

Sulla violenza negli stadi non vi è dubbio che occorrano interventi molto fermi; continuo però a pensare che, accanto a questi, avrei preferito che anche in questo provvedimento ci fosse un investimento sulla prevenzione e sulla cultura della prevenzione e della violenza per quanto riguarda lo sport. Trovo molto importante la responsabilizzazione delle società sportive, non vi è alcun dubbio; penso però che noi possiamo e dobbiamo fare di più sul piano educativo e culturale in generale. Ciò non significa, come è stato detto questa mattina da qualcuno, parlare di cultura, ma fare in modo che si crei un senso comune per cui lo sport, e il calcio per quello che è possibile, torni a essere un evento sportivo e non quella sentina di violenze e di corruzione cui abbiamo assistito negli ultimi anni. Ciò è molto grave perché parliamo dello sport più popolare, di uno sport che è accessibile a tutti e a maggior ragione credo che dovremmo dare un indirizzo di moralità e di etica più forte.
Vorrei però concentrare i pochi minuti che mi restano sull'altro tema, che riguarda la sperimentazione e l'uso della pistola elettrica. Abbiamo discusso molto in Commissione e dato un parere articolato con osservazioni. Spero che il Governo tenga conto dei nostri suggerimenti anche per il futuro, con tutta l'umiltà del caso. Non vi è dubbio che una pistola elettrica sia un'alternativa alla pallottola, ma questo non è sufficiente per giustificare una decisione che credo sia stata un po' frettolosa per molti motivi. In primo luogo perché la pistola elettrica viene definita con il nome della ditta produttrice e io eviterei di scrivere in una legge una metodologia di questa natura, che porta con sé altri possibili incidenti (sì, perché c'è una sola ditta al mondo che produce queste pistole); in secondo luogo perché sappiamo che sulla pistola elettrica ci sono pareri molto contrastanti: c'è una dichiarazione dell'ONU che la definisce uno strumento di tortura; c'è una perplessità molto forte di Amnesty International. Ritengo pertanto giusto dire che si sperimenta, non vi è dubbio, quindi che non vi sia una decisione definitiva.
Avrei preferito e, parlando anche a nome dei componenti della Commissione sanità, avremmo preferito che il richiamo al rapporto tra i Ministeri competenti, tra cui anche quello della salute, si declinasse in modo più chiaro anche con il coinvolgimento del Parlamento. Ritengo infatti che una volta attuata la sperimentazione, nel giro di un anno, se non anche meno, ci debba essere una relazione al Parlamento per sapere come è stata utilizzata questa pistola, quante volte, in quali tipologie di avvenimento, su quali persone e quali sono state le conseguenze. Tutto questo è centrale per poter immettere un'altra arma nel sistema della sicurezza pubblica. Mi permetto di sollevare questa critica perché ritengo che la sicurezza delle persone abbia due facce: da una parte la sicurezza nel non essere aggrediti e sottoposti a violenza - e quindi è giusto l'intervento delle Forze dell'ordine - ma poi c'è anche il versante della libertà individuale contro le sopraffazioni, di cui la storia italiana ci insegna ad avere memoria.

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