Se mi chiamano, ci sto
 "E' andata meglio del previsto, ma io ero certo della vittoria. Lo sentivo, non avevo mai visto una partecipazione così. Detto questo è un errore dire che aver vinto in Emilia Romagna sia una vittoria del centrosinistra nel Paese. In Calabria perdiamo di venti punti e il centrodestra ha un radicamento straordinario nel Paese. Siamo ai nastri di partenza, non al traguardo". A sottolinearlo, in una intervista a Repubblica, è Stefano Bonaccini, appena rieletto governatore dell'Emilia Romagna. "Non vorrei - osserva Bonaccini rivolto al suo partito - che gli stessi che prevedevano sottovoce la sconfitta trasformassero lo scampato pericolo regionale in un trionfo nazionale collettivo". "Abbiamo recuperato 15 punti sulle Europee e il Pd è tornato ad essere il primo partito. Salvini diceva: stravinciamo - ricorda - Lo abbiamo battuto, invece, dimostrando che si vince se non si gioca sul suo terreno, se si cambia lingua, se non ci si lascia contagiare dal virus della paura. E se si ha un progetto, naturalmente. Una direzione da indicare". "Il Pd - spiega - deve avere un'identità più marcata. Oggi non trovo tre parole chiave che lo definiscano. Non può essere una roccaforte in difesa dei valori ma progetto espansivo della società. A Nicola, al segretario, ho detto: servono sindaci e amministratori nelle segreterie, in tutti gli organi dirigenti. E serve il meglio delle competenze che arrivano dalla società". "Non c'è altra strada", rimarca. Aprire il partito significa demolire le correnti: che potevano avere senso quando selezionavano le classi dirigenti. Oggi sono diventate solo una scorciatoia per fare carriera". Alla domanda se si candida alla guida del Pd, risponde: "Ora sto qui. Certo: se mi chiameranno a dare una mano non mancherò. Ho dimostrato che Salvini si può battere. Se vogliono studiare il modello dico: vediamolo insieme".
Intervista di Repubblica (PDF)»



