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Stop alle mafie: come combatterle in Europa

Written by Franco Mirabelli.

Franco Mirabelli
Intervento svolto alla Festa dell'Unità a Milano (video).

Stiamo vivendo un impasse nel lavoro della Commissione Parlamentare Antimafia che speriamo di superare adesso con l’impulso del nuovo Governo.
Nel Governo precedente, da una parte della maggioranza, mi pare che non ci fosse tanto la volontà di far funzionare la Commissione.
Ci è voluto quasi un anno per fare la prima missione, mentre nella precedente Legislatura eravamo abituati a fare tre o quattro missioni al mese per essere ovunque succedevano cose (dall’Emilia alla Calabria, alla Lombardia) per capire meglio le vicende. Fino ad ora i risultati ma anche complessivamente ciò che ha fatto la Commissione Antimafia in questa Legislatura è assolutamente insufficiente.
La scorsa Legislatura mi ha insegnato che la politica deve fare alcune cose se vuole combattere la mafia: innanzitutto deve mettere in campo una volontà vera di sconfiggere la mafia; secondariamente deve avere la capacità di ascoltare persone competenti in materia, come Nando Dalla Chiesa, che nella scorsa Legislatura è stato importante e prezioso perché abbiamo fatto un’analisi approfondita di cosa sono le mafie al Nord grazie al lavoro dell’Università di Milano e al Dipartimento che lui coordina, che ci ha consentito di capire molte cose.
Così come Franco Roberti, allora Procuratore Nazionale Antimafia, ci ha detto che cosa secondo lui andava fatto.
La politica deve poi essere capace di ascoltare e trasformare questi contributi in misure, atti politici e nella scorsa Legislatura lo abbiamo fatto.
La riforma del Codice Antimafia è stata fatta così, ascoltando i magistrati di sorveglianza che gestivano i beni confiscati e facendo tesoro del quadro che veniva descritto rispetto a cosa sono le mafie al Nord.
Guardare dentro all’inchiesta Aemilia fa capire che siamo molto lontani dal mafioso con la coppola e la valigetta di soldi da investire nella Borsa di Milano. Come è descritto nella Relazione Conclusiva dei lavori della Commissione Parlamentare Antimafia della scorsa Legislatura, stiamo parlando di mafie che sono insediate al Nord.
Tutte le norme che abbiamo fatto, le abbiamo potute fare perché la politica ha saputo ascoltare e ha messo in campo una volontà forte.
Credo che questo sia un tema che va sottolineato e che è mancato fino ad ora in questa Legislatura, non soltanto in Commissione Antimafia.
Rimane il fatto che il Governo giallo-verde su questo tema non ha messo in campo neanche la volontà di mettere la lotta alla mafia al primo posto.
Solo una decina di anni fa, dire che la mafia era un problema nazionale e insediata in tutto il Paese sembrava una cosa strana. Fino a pochissimi anni fa abbiamo parlato di “infiltrazioni mafiose” e ci siamo rifiutati di accettare che le mafie fossero insediate.
Dalla Chiesa spiegava che in Germania si rifiutano di ammettere che le mafie ci sono anche lì ma da noi non è tanto diverso. A Cisliano, a Sedriano o a Cantù dove addirittura la ‘ndrangheta si è manifestata anche fisicamente, taglieggiando, usando la violenza, c’è una difficoltà ad ammettere e, quindi, poi anche a combattere questo fenomeno.
Oggi la mafia non è più solo una grande questione nazionale ma è diventata internazionale e, quindi, va combattuta a quel livello oppure i risultati che potremmo ottenere saranno insufficienti.
L’Italia sul tema della lotta alle mafie può insegnare molto perché abbiamo la legislazione migliore e gli apparati migliori. Non è un caso che siamo un Paese che ha affidato la lotta al terrorismo alla Direzione Nazionale Antimafia: sappiamo che lì c’è un know how e una capacità investigativa e di fare prevenzione (cosa di cui non si parla mai perché si discute solo delle pene da comminare dopo che si sono scoperti i reati) che non c’è da nessun altra parte del mondo e gli altri Stati stanno iniziando a comprendere questo.
Noi dobbiamo avere alcuni versanti su cui investire nei prossimi mesi, utilizzando anche il fatto che adesso governiamo e che questo Governo nasce per stare in Europa e, dunque, ricostruisce una credibilità in Europa. Se l’Italia vuole, quindi, può insistere di più e ottenere di più.
Il nuovo Governo nasce per chiudere una fase in cui si è cercato scientemente di uscire dall’Europa, destrutturare l’Europa e con questo si è persa credibilità all’interno dell’Unione.
L’Europa può fare moltissimo anche sul fronte della lotta alle mafie.
C’è la volontà di costruire la Commissione Antimafia anche al Parlamento Europeo; è d’accordo anche il Presidente Sassoli e penso, quindi, che si farà. Non penso, però, che sia sufficiente dare l’idea che basti questo. Quello della costruzione della Commissione Antimafia europea è un obiettivo importante, perché comprende un lavoro di sensibilizzazione, di ricerca, di assunzione di un tema da parte di tutta l’Europa.
Inoltre, c’è il tema di mettere in campo delle direttive e delle norme europee.
Oggi, gran parte dei Paesi europei non hanno reati associativi e, dunque, non riconoscono il reato di associazione mafiosa o a delinquere. Questo è un problema. Nella lotta alla mafia, i reati associativi sono stati una chiave che ha consentito di perseguire e condannare molti mafiosi.
Allo stesso modo la confisca preventiva dei beni, come è prevista dalla Legge Rognoni-La Torre, per chi commette reati di associazione mafiosa non è prevista in gran parte degli Stati europei e su questo credo che si debba lavorare altrimenti, i mafiosi che in Italia rischiano la confisca di aziende o immobili, finiscono per preferire fare investimenti in altri Paesi dove non rischiano nulla.
Giuseppe Antoci, ex Presidente del Parco dei Nebrodi, aveva subito un attentato perché lì c’è una mafia agricola che specula sui fondi europei destinati all’agricoltura. Il fatto che ci possa essere una mafia di questo tipo non è previsto in Europa e, quindi, non è contemplato questo problema nelle regole con cui vengono erogati i fondi.
Mettere mano su questi temi in Europa sarebbe importante e oggi abbiamo un Governo che può farlo.
C’è poi una questione che non riguarda specificatamente l’Europa e le questioni internazionali ma se vogliamo dare un impulso alla lotta alla mafia in Europa e a livello internazionale dobbiamo ricominciare a dare il segnale che anche in Italia si ricomincia a fare la lotta alla mafia perché in quest’ultimo anno e mezzo il Governo si è dimenticato di questo argomento.
Penso che sulla lotta alla mafia dobbiamo ripartire da dove l’avevamo lasciata.
Nella scorsa Legislatura, non solo la Commissione Antimafia ma tutto il Parlamento ha fatto tantissime norme utili per combattere le mafie: modifica del reato di voto di scambio per punire i voti in cambio di favori, introduzione del reato di autoriciclaggio, nuova legge anticorruzione, modifiche al Codice degli Appalti, fino alla riforma del Codice Antimafia.
Abbiamo fatto molte leggi che hanno fornito strumenti per combattere sempre meglio le mafie.
Quel percorso è stato interrotto. Questo è evidente sul terreno delle norme: avevamo fatto la legge per regolare gli appalti e il Governo giallo-verde l’ha smontata e ha rimesso in campo una parte di quelle norme su cui le mafie e i corruttori agiscono per corrompere. Sono state tolte una serie di misure di prevenzione che avevamo messo in campo: è stato depotenziato il ruolo di ANAC, sono stati alzati i limiti al di sopra dei quali non si potevano dare appalti con affidamento diretto, si è data la possibilità ai consorzi che vincono l’appalto di distribuirsi i subappalti. Sono tutti strumenti che in passato sono stati utilizzati dalle mafie e oggi sono stati ripristinati e, soprattutto, è stato dato il messaggio - che va ribaltato - che la legalità non è per forza un valore ma può essere un problema. Di fronte alla possibilità di fare le opere, se i controlli le rendono più difficili si è scelto di eliminare i controlli. Se l’Autorità Nazionale Anti-Corruzione disturba perché, guardando dentro agli appalti, può dar fastidio e, quindi, rallentare le opere, si è scelto di togliere di mezzo i controlli.
Inoltre, si è detto che la legalità non è un gran problema perché quando un Governo, in un solo anno e mezzo, fa nove condoni dà il messaggio ai cittadini che le regole non è proprio necessario rispettarle. Dando questo messaggio, ad approfittarne subito è la criminalità organizzata, chi agisce nell’illegalità.
Non serve nemmeno scrivere la parola “mafia” nel primo “Decreto Sicurezza” se la si scrive soltanto per dire che i ben confiscati ai mafiosi possono essere venduti più facilmente anziché essere rimessi a disposizione della collettività, come giustamente prevede la Legge Rognoni-La Torre.
Dobbiamo, quindi, ripartire da qui e ribaltare questi ragionamenti.
Certamente c’è anche un problema di sicurezza che coinvolge gli immigrati o i parcheggiatori abusivi o l’accattonaggio, di cui si sono occupati i due “decreti sicurezza” ma la priorità del Paese deve essere quella di contrastare la corruzione e la criminalità organizzata.
Il nuovo Governo, quindi, deve ripartire da qui, da dove ci siamo interrotti nella scorsa Legislatura.

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La nuova legge riguardante i beni confiscati alle mafie, approvata nella scorsa Legislatura con la riforma del Codice Antimafia, ha cominciato a funzionare. Continuo a pensare che la cosa più importante di quella legge, per quanto riguarda le aziende, sia stato l’aver affidato ai magistrati di sorveglianza la supervisione e aver affidato all’Agenzia Nazionale per i Beni Sequestrati e Confiscati il compito di supportare il lavoro dei magistrati.
Nel primo “Decreto Sicurezza” del Governo giallo-verde è stata annunciata l’assunzione di 150 nuove persone per le Agenzie dei Beni Confiscati ma non mi risulta che poi la norma sia stata messa in pratica. Allo stesso modo le migliaia di poliziotti che sono stati promessi in tutti i territori non sono ancora arrivati.
In quel decreto ho presentato un emendamento – e questa è la cosa su cui dobbiamo continuare a lavorare – per istituire un fondo, con il 10% dei ricavi della vendita dei beni confiscati da mettere a disposizione dei Comuni per consentire loro di effettuare le ristrutturazioni e gli adeguamenti necessari sugli immobili (che oggi gli Enti Locali non riescono a fare per mancanza di risorse) in modo da restituire alla cittadinanza quei beni. Di questo, però, non c’è ancora il decreto attuativo e dovremo chiedere a Luciana Lamorgese, che è tornata titolare dell’Agenzia dei Beni Sequestrati e Confiscati alle mafie in quanto fa capo a tutti gli effetti al Ministero degli Interni, di fare al più presto queste cose.
In merito alle vicende inerenti la sanità, invece, la questione è molto complicata.
Ho fatto il Presidente della Commissione di Inchiesta sul San Raffaele quando ero in Consiglio Regionale ed è emerso che il tema da affrontare sulla sanità è quello della trasparenza.
Non è vero che la programmazione regionale è negativa ma il punto è se è trasparente e quali obiettivi si pone.
In quegli anni, i finanziamenti che andavano alla sanità oltre a finanziare le prestazioni hanno finanziato anche una serie di servizi che non erano finanziabili con i servizi a prestazione e i criteri erano misurati sulle esigenze della Maugeri o del San Raffaele e non sull’ospedale pubblico. È evidente che, a prescindere dalla presenza o meno della ‘ndrangheta, lì c’era della corruzione, come poi i processi hanno rivelato, ma lo strumento era la mancanza di trasparenza nella definizione degli obiettivi dei finanziamenti regionali per la sanità. Questo va tolto di mezzo.
Quando c’è la corruzione, poi, la ‘ndrangheta si infila e così è successo: la sanità interessa agli ‘ndranghetisti sia perché ci sono i soldi sia perché dà prestigio sociale e dà la possibilità di presentarsi ai cittadini come un’autorità a cui si può chiedere e che può dare.

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