Print

La sfida di costruire un mondo di relazioni

Written by Mauro Magatti.

Mauro Magatti
Articolo pubblicato dal Corriere della Sera.

Ogni epoca ha il proprio mito. E cioè una cornice di fondo che, nel tracciare un certo rapporto rispetto al mondo e alla sua evoluzione, dà coerenza a quello che succede nelle mille attività concrete della vita quotidiana. Come ha sostenuto Raimon Pannikkar, non vi è logos senza mythos e d’altra parte non vi è mythos che non generi un logos senza il quale il mito stesso rimane evanescente.
Se ci spostiamo su questo piano forse quello che sta accadendo in questi anni potrà apparire più chiaro.
Fu grazie alla convergenza di una pluralità di fattori di diversa natura che nel corso degli anni ’80 si è andato delineando un nuovo mythos che ha poi preso corpo con quell’enorme fatto storico che fu la caduta del muro di Berlino: in quel momento, la miscela tra individualizzazione (centralità dell’io, della sua libertà di scelta e della sua autonomia) e globalizzazione (aumento delle opportunità economiche su scala planetaria generato dal processo di liberalizzazione e finanziarizzazione) ha dato origine a una cornice di senso nella quale l’individuo ha preso il posto della collettività e il mercato quello dello Stato.
l vuoto lasciato dalla fine delle ideologie del 900 è stato così occupato da un nuovo immaginario collettivo in grado di imprimere la direzione di senso a quella straordinaria trasformazione che ha avuto luogo alla fine del XX secolo. Negli ultimi 10 anni quel mito si è, a poco a poco, sgretolato. E, salvo qualche nostalgico, nessuno oggi ci crede più. Soprattutto, non ci crede più l’uomo della strada che vede in quel vecchio discorso solo una promessa mancata. Non a caso sono solo alcuni ceti (ricchi, istruiti e over 50) in alcune particolari aree (i quartieri residenziali delle grandi città) a continuare a difendere quell’idea.
Nella transizione in cui siamo, lo stesso logos tecno-scientifico diventa perciò insufficiente. Come si vede dal clamoroso calo di fiducia nella stessa scienza. Con tutte le conseguenze problematiche che ne conseguono. Ciò di cui siamo tutti alla ricerca è dunque un nuovo mythos che permetta di restituire una logica di fondo alla nostra vita insieme. Ed è su questo piano che si sta giocando la partita in questo esordio di XXI secolo. Se non è più la globalizzazione tecno-scientifica in grado di garantire possibilità per tutti, quale nuova stella polare (mito) possiamo seguire?
Non è un caso che al centro del dibattito ci sia la proposta di intrecciare di nuovo politica e religione per cementare identità e stabilizzare il legame sociale. Dappertutto, anche se con tonalità e intensità diverse, è in atto un tale riavvicinamento. Nei paesi islamici in forma per lo più reattiva; in Cina con la forte ripresa del confucianesimo, considerato base necessaria per compattare politica economia e società; in Russia con i rinnovati legami tra Putin e la Chiesa ortodossa. In Occidente, con le forti spinte teo-con, particolarmente intense nelle Americhe dove soprattutto i gruppi evangelici – strettamente legati a grandi interessi economici – sono molto attivi nel sostenere Trump e Bolsonaro. Un disegno le cui propaggini arrivano anche in Europa dove gruppi cattolici conservatori sostengono Salvini, Orbán e Marine Le Pen.
Persino nell’ormai quasi completamente secolarizzata Inghilterra, al fondo della Brexit si intravede il richiamo all’orgoglio di una identità nazionale culturale e religiosa di cui la regina Elisabetta costituisce il punto di riferimento. La metamorfosi in corso però non si è ancora conclusa. Il nuovo mito che si va delineando mantiene ancora troppe inconsistenze. Mentre il logos che da esso deriva stenta a dettare un discorso in grado di reggere le sfide della realtà. C’è dunque ancora spazio per contribuire a far nascere un mito diverso da quello che si intravvede. Anche se tale operazione non può prescindere dalla lezione di fondo che la crisi della globalizzazione lascia sul terreno.
L’epoca alle nostre spalle si è caratterizzata per il suo tratto di assolutezza. L’io finalmente sciolto da tutto e una crescita illimitata. Può essere che la caduta di quel mito produca un’oscillazione verso il polo opposto: mondi chiusi e separati, identità contrapposte. Nella sostanza qualcosa di simile alla vecchia teoria di Huntington sullo scontro di civiltà. Ma può darsi che si riesca a virare verso una soluzione più mite e sensata. A condizione di riconoscere la discontinuità che ci è richiesta. È cioè che nulla è assoluto e che tutto è, invece, in relazione. In un mondo piccolo, sovraffollato, con risorse limitate e pieno di diversità è questa la vera sfida che abbiamo davanti.
Ciò significa riconoscere che ogni individuo esiste solo in rapporto alla comunità e la società nella quale vive; che ogni territorio e ogni paese si colloca nel quadro di ineliminabili relazioni e vincoli internazionali e planetari; che nessuno si può salvare da solo e che l’unica via di salvezza passa dalla capacità di custodire confini porosi che si sforzano di lavorare per obiettivi comuni; che l’economia può sussistere solo se tiene conto della giustizia sociale e degli equilibri ecologici; e che nessuna generazione può pensarsi a prescindere da quelle che l’hanno preceduto e da quelle che seguono. I prossimi anni saranno dunque decisivi per il consolidamento di un nuovo mythos e la definizione del suo nuovo logos. Al di là delle apparenze, c’è ancora spazio per sperare.
Pin It