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Usura

Written by Stefano Pasta.

Stefano Pasta Articolo pubblicato da La Repubblica.
"Trova i soldi per domani oppure sei morto", è una frase che Antonio Anile si è sentito ripetere varie volte, prima di decidersi a denunciare gli strozzini che a Reggio Calabria gli stavano distruggendo la vita. La sua storia è stata portato su un palcoscenico a Roma, con lo spettacolo La mano sulla spalla, di Danila Bellino che ha il patrocinio di Sos Impresa, l'associazione dove ora Antonio, gratuitamente, risponde al numero verde per le vittime dell'usura, dando un sostegno psicologico e pratico per sporgere denuncia.
Lo spettacolo era direttamente ispirato alla sua vicenda personale, iniziata a Reggio Calabria nel 2000, ma rispecchia, nella sostanza, centinaia di percorsi simili di altre persone usurate: difficoltà finanziarie, rifiuto del credito dalle banche, primi contatti e colloqui con gli usurai, impossibilità a onorare le scadenze, escalation di intimidazioni da parte degli usurai, minacce, botte, soprusi.
Primo: riconoscere il "benefattore". Indagando la dimensione umana e psicologica, lo spettacolo svela l'ipocrisia di tanti luoghi comuni che affliggono gli usurati. Uno di questi è che l'usuraio sia riconoscibile fin dall'inizio. Nei primi approcci, appare invece come una persona gentile e affabile, addirittura comprensiva che, come dice il titolo, batte la mano sulla spalla del povero malcapitato e gli dice: "Non ti preoccupare, adesso ci sono qua io, ti aiuterò a risolvere i tuoi problemi".
Un cappio al collo e pensi che tutto vada bene. "Entrare nel giro dell'usura è una cosa che ti cambia letteralmente la vita, ma quando lo fai non te ne accorgi", spiega Antonio, "o meglio, mentre ti metti questo cappio al collo, credi che andrà tutto bene; pensi: "Risolvo subito il debito e poi vedrò come fare per gli interessi"". Nel suo caso, da manager ben avviato verso una carriera di successo, si ritrova coinvolto in una crisi aziendale, abilmente nascosta da un furbo direttore. Questi gli fa credere che si sta formando una nuova azienda e, volendola quotare subito in Borsa, gli ordina di trovare un gruppo di piccoli azionisti, che ci investano almeno 150 milioni di lire; in caso contrario, verrebbe licenziato. Antonio cerca tra amici e conoscenti, va anche in banca a chiedere un prestito, ma niente da fare. Alla fine qualcuno gli indica chi potrebbe dargli denaro a tassi di interesse ragionevoli...
Un crescendo di intimidazioni. Tre persone gli prestano soldi: due sono più che altro degli usurai per procura, cioè dicono che non chiedono denaro per loro, ma per gli "altri", gli amici che a loro volta l'hanno fornito e "quelli sì che sono gente che non scherza!"; il terzo invece, quando Antonio va a casa sua, è agli arresti domiciliari per un traffico internazionale di cocaina ed è un pericoloso esponente di una 'ndrina ionica. Sulla base degli atti del processo di primo grado, lo spettacolo ripercorre l'escalation di intimidazioni messe in atto dagli usurai: dalle minacce personali si passa ai pedinamenti e appostamenti sotto casa, alle percosse, alle minacce ai familiari, all'invio per posta di buste con proiettili, poi due automobili incendiate, fino ad arrivare ad un vero e proprio sequestro di persona.
La minaccia definitiva. La svolta arriva con la minaccia di sequestro del figlio, quando Antonio smette di dire a se stesso "ce la farò a uscire da tutto questo, non dirò niente a nessuno e ce la farò da solo, mi serve solo un po' di tempo". Spiega la regista: "È questo il classico alibi che un usurato si dà per giustificare il rivolgimento totale che subisce la sua vita: da cittadino onesto e stimato, in poco tempo si trasforma in una persona ossessionata dal denaro che, proprio per questa ossessione, fa il vuoto davanti a sé, sia dal punto di vista sociale che degli affetti".
Chi denuncia viene isolato. Denunciare però vuol dire mettere ancora più in pericolo la propria vita e quella dei familiari, ma certe volte la disperazione diventa un tipo particolare di coraggio. Antonio denuncia i suoi usurai alle Forze di Polizia: seguono intercettazioni telefoniche, microspie quando parla faccia a faccia con i suoi aguzzini e, finalmente, le manette ai polsi degli usurai. Al primo grado di giudizio vengono condannati, ma Antonio, pur essendo vittima, viene comunque isolato. Reggio Calabria, a tutti i livelli della scala sociale, è un microcosmo che non ama chi denuncia la gente della 'ndrangheta. Disoccupato e solo, non trova nessuno fra le sue conoscenze che gli dia un lavoro, mentre poco tempo prima era conteso e benvoluto anche dai direttori di banca.
Vittima degli strozzini e poi della burocrazia. Si appella allora alla legge e fa la domanda al Fondo per le vittime dell'usura e del racket, ma in Prefettura attese e cavilli rendono pesante l'attesa e costringono Antonio ad una lotta contro il muro di gomma della burocrazia. Eppure, riesce infine a ricostruirsi una vita e spiega: "La denuncia è stata il primo passo per riprendersi in mano la propria vita, riacquistare la dignità di uomo e rompere le sbarre di quella prigione in cui io stesso mi ero intrappolato". Secondo Sos Impresa, negli ultimi due anni le denunce stanno crescendo del 15% e ad oggi sono più di 6 mila, mentre gli estortori denunciati sono circa 25 mila; il peso della criminalità mafiosa-racket, pizzo e usura sull'impresa sfiora invece i 100 miliardi di euro, sui 138 che "fattura" annualmente la "Mafia Spa". Una realtà diffusa in tutta Italia, pari al 7 per cento del Pil nazionale, che - spiega la regista - "si ricollega al messaggio veicolato fin dal prologo dello spettacolo: "Potrebbe capitare anche a voi". Vogliamo riflettere il pubblico su come certe situazioni, che spesso si conoscono solo "per sentito dire", si possano poi trasformare concretamente nella realtà di un particolare vissuto quotidiano e prendere delle forme incredibili, inaspettate e disumane".
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