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Economia etica

Written by Francesco Bizzotto.

Francesco Bizzotto
Articolo pubblicato da La Voce Metropolitana.

Un articolo di Gianmario Verona sul World Economic Forum di Davos (Corriere della sera, 25 cm) titola e parla de “L’etica dei comportamenti – una priorità per l’economia”. Vediamo. A Davos 2019 si guarda alle “priorità di lungo periodo”. Tra una globalizzazione disordinata e una disruption tecnologica con “lati oscuri”, la medicina per il capitalismo eterno malato non viene cercata a livello macro (delle policy) ma micro, dei comportamenti. Per riacchiappare la fiducia, che si crea nell’agire, nel governare.
Vogliamo “ridurre la povertà in Africa” (e le fughe di massa)? Creiamo le condizioni per un “call to action” del privato a investirvi.
Pensiamo di “limitare l’abuso dell’impiego dei dati internet”? Favoriamo “attraverso blockchain e reti neurali le innovazioni che impieghino i dati senza impiegare i profili”. E la sostenibilità delle produzioni? Passiamo a prodotti (e marchi) guidati da scopi e obiettivi dichiarati (purpose-driven brand). Aziende e istituzioni sono chiamate a concorrere a un livello sottile: “dare risposte concrete e allo stesso tempo etiche”, relazionali, cioè buone e giuste. Cerchiamo leader morali per soddisfare una domanda nuova, molto esigente. Poi, certo, servono politiche economiche macro di sostegno. La bella notizia è che “la generazione Z, i nati dopo il 2000, è portatrice di molti di questi valori” ed è disponibile a impegnarsi. C’è molto da costruire in termini di sensibilità e consenso: formare all’etica nella scuola e far conoscere le buone prassi, attenti alla ricerca interdisciplinare. Conta la qualità delle decisioni e dei fatti. Dara Khosrowshahi di Uber, dopo la morte del giornalista Jamal Khashoggi, ha deciso “di non partecipare alla conferenza Saudi Future Investment Initiative a Riad, nonostante i molti investitori arabi tra i loro azionisti.” Non sono cose da buonisti. Il premio Nobel 2014 Jean Tirole sostiene che l’Economia è una gemma della filosofia morale: mira al bene comune.
Se è la fiducia il propellente di base, ci vuole un visibile equilibrio tra conoscenze (possibilità e capacità) da un lato e rischi (finalità e conseguenze: dove vai a parare) dall’altro. E questo è il sapere. Basta a produrre fiducia? No, dice Vito Mancuso. Serve anche il sapore: l’etica (onestà nelle relazioni, sempre), da cui la fiducia. Oggi cresce il sapere. E il sapore? Gli appelli lasciano il tempo che trovano. I controlli costano e alimentano separatezze e chiusure. Cerco un’etica giusta, bella, interna al libero mercato.
È evidente che, per governare la potenza latente (la massa di conoscenze che abbiamo) serve esplorare doti nuove: di sapienza (dice Mancuso); contemplative, aggiungo io: rallentare, vedere bene, apprezzare, soppesare, anticipare. E, forse, servono condizioni di vantaggio economico ad agire bene come norma. Un po’ come ha fatto l’Europa con le Assicurazioni: per garantirne la solvibilità le impegna a investire (5.000 miliardi) in infrastrutture materiali e sociali che riducano i rischi. Se non lo fanno, aumenta il capitale di garanzia. Sono così interessate a investimenti etici. E l’economia in generale?
Un esempio (già fatto). Il D.lgs. 231/01 obbliga i responsabili di attività a preoccuparsi dei rischi che corrono (pena risponderne con il patrimonio personale). Funziona? Poco, perché siamo un po’ incoscienti e mancano stimoli e interessi economici reciproci. C’è l’obbligo di gestire i rischi ma non viene specificato che deve concludersi, come logica vuole, con l’Assicurazione. Questa ha interesse a valutare bene i rischi. Potrebbe fare di più per la prevenzione. E potrebbe dire dei rischi smisurati, degli azzardi. Mandare segnali.
Siamo oltre il comportamentismo. Il rischio, inteso come probabilità soggettiva (Bruno de Finetti), relazionale, processuale, è una buona cartina al tornasole dell’etica delle attività. Ed è una probabilità quantistica: chi vi mette mano contribuisce a dargli forma, con i suoi scopi, le sue capacità, il suo comportamento. Qui l’economia mostra gravi limiti di responsabilità. Snobba un po’ il rischio. È ferma alla probabilità frequentista, passatista.
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