Iscrizione anagrafica dei bambini nel Sud del mondo
Sala, 12 anni, vive in un piccolo villaggio sulla strada per Dori, una zona rurale nel Nord del Burkina Faso. Per aiutare la sua famiglia lavora come aiutante da una sarta. Anche se non aveva documenti, il maestro aveva lasciato che la bambina frequentasse la scuola elementare ma non aveva potuto farle sostenere l’esame finale perché non aveva il certificato di nascita.
Pur amando molto la scuola, Sala aveva dovuto abbandonare gli studi. Da quest’anno, grazie al programma “Bravo!” (Birth Registration For All Versus Oblivion), Sala non è più una bambina invisibile e ha ottenuto gratuitamente l’iscrizione allo stato civile. Quando ha saputo che ci si poteva registrare senza pagare la tassa aggiuntiva per il ritardo, Sala è corsa a chiamare suo padre, con lui ha fatto tutte le procedure e ha ricevuto il suo primo documento d’identità. Così si è potuta finalmente registrare e ora è iscritta alla classe successiva.
È per i bambini e le bambine come Sala che la Comunità di Sant’Egidio ha dato vita al programma “Bravo!” in vari Paesi dell’Africa subsahariana. Ma cosa succede a un bambino che non è iscritto all’anagrafe? Rischia di essere escluso dalla scuola, dalle cure sanitarie e dalle vaccinazioni, dall’eventuale protezione dei tribunali per i minorenni e, una volta cresciuto, non può sposarsi, ereditare o lavorare legalmente, né può godere dei diritti politici. Ma, soprattutto, è più vulnerabile e ha maggiori possibilità di subire abusi sessuali, diventare un bambino soldato, essere vittima di lavoro minorile e matrimoni precoci. La registrazione anagrafica è quindi un’efficace strumento per la protezione dei bambini.
Inoltre il “pezzo di carta”, che forse siamo abituati a dare per scontato, dice chi sei, a quale famiglia e Paese appartieni, definisce i rapporti legali e sociali dell’individuo. La registrazione alla nascita è un diritto sancito dall’articolo 7 della Convenzione sui Diritti del Fanciullo (CRC) del 1989, la più ratificata delle Nazioni Unite, ma purtroppo per molti bambini e giovani è ancora un lusso.
Secondo le stime dell’Unicef, 230 milioni di bambini sotto i 5 anni non sono mai stati registrati alla nascita: vuol dire che ufficialmente 1 bambino su 3 non esiste. A livello globale, nel 2012 solo il 60% di tutti i neonati è stato registrato alla nascita. I 10 Paesi con i tassi più bassi di registrazione sono tutti in Asia meridionale e in Africa subsahariana: Somalia (3%), Liberia (4%), Etiopia (7%), Zambia (14%), Ciad (16%), Tanzania (16%), Yemen (17%), Guinea Bissau (24%), Pakistan (27%) e Repubblica Democratica del Congo (28%). Proprio l’Africa subsahariana, dove due bambini su tre sono invisibili, è l’area in cui il programma “Bravo!” cerca di dare a tutti un nome.
Spiega la Comunità di Sant’Egidio: «Sensibilizza genitori e figli sull'importanza dei documenti, promuove lo sviluppo dei sistemi di registrazione delle nascite e, attraverso la formazione degli agenti di stato civile e la programmazione a livello centrale e periferico, contribuisce alla creazione di una struttura durevole e sostenibile dello Stato nei diversi Paesi, per eliminare alla radice la piaga dei bambini invisibili».
Per esempio, in Mozambico “Bravo!” ha siglato un accordo con il ministero della Giustizia per effettuare campagne di iscrizione tardiva all’anagrafe in modo gratuito. Spesso gli esclusi dall’anagrafe sono i più poveri, come i migliaia di abitanti di Praia Nova, nella città mozambicana di Beira. Questo quartiere si è formato intorno ad un piccolo molo da cui partono le barche dei pescatori.
Negli anni, ai piccoli insediamenti di fortuna dei pescatori, si sono aggiunte altre capanne dove vivono prevalentemente persone legate all’attività di pesca e a quella del mercato che si svolge sulla spiaggia. Quando “Bravo!” ha raggiunto quest’area, tutti quei bambini che non avevano ancora un’identità legale hanno ricevuto la cedula pessoal (certificato di nascita) con cui possono iscriversi alla scuola primaria. Insieme a loro, sono stati registrati anche i fratelli maggiori “invisibili”, che proprio per questo avevano dovuto abbandonare gli studi.
Articolo pubblicato su Famiglia Cristiana.