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Il PD e la necessità di un "pensiero nuovo"

Written by Matteo Bianchi.

Matteo BianchiRiflettere su se stessi è il primo passo per il cambiamento. Da questa ovvia constatazione il PD dovrebbe ripartire, dopo una sconfitta elettorale che ha certificato la distanza con gli umori e le pulsioni di una parte sempre più consistente del paese. Quelle stesse avvisaglie, riconoscibili già nel risultato del referendum e colpevolmente trascurate da buona parte del popolo dem, si sono oggi palesate con la crudezza di una sentenza senza appello: la proposta di governo del Partito Democratico, per quanto generosa nello sforzo creativo e coraggiosa sul piano della prospettiva riformista, è apparsa irrimediabilmente ‘altrove’.
Di fronte a questo occorre un salto di qualità, poiché non si tratta di analizzare gli errori di una campagna elettorale ma il fondamento stesso della propria ragione politica. Mancata clamorosamente l’occasione dell’ultimo Congresso Nazionale, liquidato come un passaggio burocratico e svuotato di qualsiasi vero approfondimento, oggi sarà necessario aprire una fase che, lontana da qualsiasi intento autoflagellatorio (e fondamentalmente autoindulgente), aiuti il PD a ripensare modi e scopi del suo agire nell’Italia impietosa e disillusa dell’oggi. Il richiamo ‘dal basso’, con l’ormai tradizionale corollario del ‘ritorno al territorio’, rischia di suonare niente più che come un mantra scaramantico in assenza di una riflessione seria e paziente, in cui tutto il partito torni a sentirsi soggetto attivo nel confronto delle idee, e non semplice veicolo di gestione del consenso come nel recente passato è stato troppo spesso concepito.
Oggi, per qualsiasi forza democratica e progressista, in Europa e non solo, ripartire dalle criticità dell’oggi significa soprattutto misurarsi con due sfide. Nella prima si è chiamati a riformare la politica non più soltanto sul piano ‘esteriore’, pensando che basti qualche pennellata a ravvivare la percezione che di essa hanno gli italiani, ma avendo il coraggio di ‘dare un nome’ ad alcune pulsioni che oggi orientano in maniera decisiva le scelte, e che sono sempre state tradizionalmente considerate prepolitiche. Il punto non è stabilire quanta legittimità si possa assegnare a categorie come l’insicurezza, la paura, la rabbia, l’intolleranza; la vera questione è trovare risposte che annullino lo sloganismo strumentale delle destre, senza il timore di lasciarsi coinvolgere nel loro gioco al massacro ma puntando a guardare in faccia la crisi morale oltre che materiale che sta coinvolgendo il Paese.
La seconda sfida riguarda l’ambizione di costruire una proposta che rappresenti l’intera società, contro il tentativo delle forze più reazionarie di disarticolare e mettere ogni sua parte in conflitto. Oggi il Partito Democratico rappresenta ancora un interlocutore affidabile per quell’Italia consapevole e ricca di opportunità che può permettersi di guardare al futuro, ma gli è precluso il rapporto con quella fetta (maggioritaria) di società prigioniera di un presente le cui problematiche costringono gli italiani a identificare nel cambiamento non un’opportunità da cogliere, ma un’incognita dalla quale difendersi.
E’ evidente che per rimettersi in carreggiata rispetto a queste due grandi questioni non basta un’intuizione, né il semplice orgoglio, ma occorre un processo di consapevolezza che rischia di essere meno rapido di quanto ormai si è abituati a pensare la politica. Questa è la discontinuità che dobbiamo pretendere da noi stessi, questa la nuova fase che occorre aprire. La prospettiva di non governare più il Paese, di essere alternativi agli scenari che il voto recente sembra prefigurare, non deve in questo senso rappresentare un limite: la cultura politica non si forma nelle scelte di governo ma le precede, essendo il frutto di un lavoro che matura nell’esperienza e nella fatica della quotidianità di ciascuno di noi, perfezionata nel confronto e nella discussione. La fatica principale sarà quella di riabituarsi a questo modo di concepire l’agire politico, dopo che per anni si è ragionato sul significato della nostra appartenenza al PD soltanto per evidenziare ciò che maggiormente ci divideva. Senza il timore di soffermarsi su noi stessi, e solo recuperando appieno quel senso di appartenenza ad una comunità che per troppo tempo abbiamo considerato retaggio passatista, il Partito Democratico avrà la possibilità di tornare a segnare il cambiamento: il cambiamento vero, quello che dalle apparenze arriva al cuore della gente e dei suoi bisogni, e che aiuta a dissotterrarne definitivamente le aspirazioni.
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