Non pensare all'elefante
Davvero una strana campagna elettorale. Impossibile non farsi tornare alla mente il celebre saggio di George Lakoff, in cui il professore di Scienze cognitive e linguistica all’Università di Berkeley spiega come, proponendo ai suoi studenti il semplice esercizio di “non pensare all’elefante”, riusciva a metterli in crisi perché da quel momento proprio quel pensiero – oggettivamente del tutto inusuale – diventava per ciascuno di loro quasi un’ossessione. L’esempio veniva usato dal professore per sottolineare la difficoltà, spesso tipica dei “progressisti”, di usare un linguaggio in grado di offrire agli elettori una propria visione, una propria idea del futuro, finendo per assumere involontariamente – magari per negarlo – il cuore del ragionamento degli avversari. Mai come questa volta credo dobbiamo provare a rompere questo schema.
Possiamo fare una campagna elettorale sugli episodi di cronaca, sull’orribile morte di Pamela, sull’attacco razzista e fascista di Traini, sull’uccisione di un ladro da parte di un commerciante durante una rapina al suo negozio? No, mi dispiace ma credo che questo sia sbagliato per il Paese. La sicurezza – o come siamo abituati ora a dire la percezione dell’insicurezza – è indubbiamente uno dei temi che i cittadini avvertono di più ed è evidente che singoli eventi possano influenzare gli orientamenti di una parte dell’elettorato.
Ma da qui a centrare il dibattito e il confronto tra le diverse proposte in campo solo su questo ce ne corre e noi abbiamo il dovere, la responsabilità, di fare tutto il possibile per spostare l’accento su un altro terreno, quello del lavoro e dell’impresa. Per almeno due ragioni, forse tre. La prima è che in cima alle preoccupazioni di ogni singola famiglia italiana c’è sempre il lavoro, quello che manca, quello di scarsa qualità, quello che cambia sempre più velocemente. Le trasformazioni in atto nell’economia mondiale – che Salvini propone di contrastare uscendo dall’euro e con improbabili dazi, le cui conseguenze sarebbero funeste per il nostro apparato produttivo – sono una grande sfida per le nostre aziende e richiedono politiche specifiche, incentivi e processi di modernizzazione sostenuti dall’azione di governo. E qui viene la seconda ragione. Noi abbiamo dimostrato in questi cinque anni di aver colto il cuore di questa sfida e di aver dimostrato con scelte concrete la volontà e la capacità di affrontarla: più efficienza nel sistema pubblico – dalla giustizia alla PA dove pure c’è ancora molto da fare; più attenzione e risorse alla scuola, all’università, alla formazione, alla ricerca; meno tasse e incentivi mirati a sostenere le imprese nell’innovazione tecnologica, nella creazione di lavoro di qualità, nell’internazionalizzazione; regole nuove nel mercato del lavoro che spingano nella direzione di una maggiore stabilità e qualità dell’occupazione, che favoriscano le assunzioni dei giovani e delle donne, che rendano più facile conciliare la carriera con i figli e gli affetti. Insomma noi ci possiamo presentare agli elettori non con un elenco di buoni propositi, più o meno realistici, ma con un bilancio di cose fatte o avviate.
Non abbiamo risolto tutti i problemi di competitività e di produttività del nostro sistema economico ma abbiamo fatto la diagnosi corretta dei “mali” da combattere e abbiamo iniziato le “cure” giuste.
Infine la terza ragione: nel nostro programma ci sono nuove proposte per rendere le scelte di questi anni irreversibili, per irrobustire la ripresa, per creare ricchezza e lavoro di buona qualità, per rendere più equa – tra le generazioni, tra i generi e tra i territori – la distribuzione delle opportunità e dei benefici della crescita.
Oggi Dario Di Vico nell’editoriale sul Corriere della Sera critica i programmi dei partiti per aver “rimosso i temi dell’impresa”. Sono quasi sempre d’accordo con le sue riflessioni ma questa volta non posso condividere quel giudizio eccessivamente generico. Nel programma del centrosinistra, del Pd ma anche degli alleati, quei temi sono centrali, come dimostra peraltro l’azione quotidiana del governo Gentiloni , in particolare del Ministro Calenda e della Viceministro Bellanova. Magari si può non essere d’accordo su tutte le nostre proposte, e si possono suggerirne delle altre, ma trovo che la differenza di fondo tra il nostro schieramento e gli altri – M5S e Centrodestra – sia proprio qui, sulla solidità e credibilità della proposta per l’economia e per il lavoro. Dialogare su questo con i cittadini, i lavoratori, gli imprenditori forse renderà la campagna elettorale meno noiosa e certamente più utile.