La vita non è solo quando si è felici
Poter morire con dignità. È questo il cuore profondo della Legge sulle Disposizioni anticipate di trattamento (DAT), più nota come legge sul fine vita, o biotestamento, approvata definitivamente dal Senato nel dicembre del 2017.
Si può proprio dire che il Parlamento abbia scritto una pagina nella Storia dei diritti del nostro Paese, visto che il dibattito pubblico e istituzionale su questo tema è andato avanti per molti anni senza arrivare mai ad una conclusione positiva.
Non è stato un percorso facile, anzi, direi che è stata una grande fatica, perché gli ostacoli sono stati molti e per un istante abbiamo anche temuto che non se ne sarebbe fatto nulla neanche questa volta, per motivi politici, ideologici, e di interpretazione del rapporto fra scienza, medicina e persona.
Ma alla fine c’è l’abbiamo fatta e abbiamo consegnato all’Italia un testo equilibrato, fondato sulla capacità di autodeterminazione della persona e sul suo diritto di dichiarare anticipatamente il suo rifiuto di determinati trattamenti sanitari più noti come accanimento terapeutico.
In questo modo si compie un atto di giustizia costituzionale e si mette fine alla diatriba nata da molti, troppi casi di persone che non erano in grado di rifiutare trattamenti sanitari come per esempio la nutrizione e l’idratazione artificiali, il caso Eluana Englaro per tutti, e che dunque pur In stato di coma irreversibile sono state costrette a vivere in stato vegetativo in nome di un diritto alla vita che tale non è.
Basti pensare a Papa Giovanni Paolo secondo e al suo grido” lasciatemi tornare alla casa del Padre”, o al Cardinale Martini, entrambe malati terminali risoluti nel non volere alcun accanimento terapeutico nell’ora più vicina alla loro morte per capire quanto sia stato crudele per molti morire fra atroci sofferenze, in solitudine, senza il conforto di quelle terapie del dolore ammesse dalla Legge del 1998 sulle cure palliative e la terapia del dolore, oggi riproposte dalla Legge sul fine vita.
È stato detto che questa è una legge che legalizza l’eutanasia. Non è così.
Personalmente non sono per l’eutanasia, perché credo che nessuno abbia il diritto di togliere la vita a nessuno. Rispetto le opinioni differenti, ma è bene essere chiari, come chiare sono state le parole di Papa Francesco nel suo messaggio al convegno sul fine vita promosso dalla Pontificia Accademia: è moralmente lecito rinunciare all’applicazione di mezzi terapeutici, o sospenderli, quando il loro impiego non corrisponde a quel criterio etico e umanistico della proporzionalità delle cure.
Con questo non voglio assolutamente tirare per la giacchetta il Pontefice, e nemmeno la Chiesa Cattolica. Voglio solo dire che una presa di posizione così forte nell’ambito del dibattito pubblico ci aiuta a distanziare la legge dalle pretese interpretazioni eutanasiche per portarla nell’ambito della dignità della persona nell’ultimo drammatico momento terreno, quando anche la fiducia nelle possibilità di cura della scienza e della medicina rischiano di lasciare il posto alla disperazione.
Del resto l’articolo 32 della Costituzione stabilisce che “Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
Il riconoscimento del diritto del paziente ad essere titolare delle decisioni sulla propria salute è frutto di una evoluzione giuridica e culturale che sottrae al solo medico la decisione in favore di un’alleanza terapeutica fra medico e paziente.
La legge sul fine vita dà una possibilità, quella di scegliere anticipatamente, attraverso la pianificazione delle cure con il medico il comportamento che quest’ultimo dovrà tenere nell’imminenza della morte della persona.
Gli ambiti di cui si occupa la legge sono: il consenso informato del paziente ai trattamenti sanitari e agli accertamenti diagnostici; la terapia del dolore e il divieto di ostinazione irragionevole delle cure; le disposizioni anticipate di trattamento; la pianificazione condivisa delle cure.
Gli obiettivi della legge sono: la valorizzazione del rapporto di fiducia fra medico e paziente; la tutela della dignità umana nella fase finale della vita; la garanzia del diritto all’autodeterminazione di ogni individuo.
Il consenso informato è un atto che stabilisce che nessun trattamento sanitario possa essere iniziato o proseguito senza il consenso libero e informato della persona interessata. La persona ha il diritto di conoscere le proprie condizioni di salute, alle diverse possibilità di cura, alle conseguenze dell’eventuale rifiuto del trattamento sanitario.
Il consenso informato è documentato in forma scritta o video registrata o per le persone disabili con dispositivi comunicativi appositi, è inserito nel fascicolo sanitario elettronico e nella cartella clinica e può sempre essere revocato.
Sono considerati trattamenti sanitari la nutrizione e l’idratazione artificiali. Dobbiamo pensare non solo a chi è in grado di dare o rifiutare il consenso, ma anche a chi non è nelle condizioni di fare altrettanto perché per esempio in coma. Il medico è tenuto a rispettare la volontà della persona. La legge sul fine vita specifica inoltre che, nei casi di prognosi infausta a breve termine o di imminenza di morte il medico deve astenersi da ogni ostinazione irragionevole nelle cure e dal ricorso a trattamenti inutili o sproporzionati e può ricorrere alla sedazione palliativa profonda continua in associazione con la terapia del dolore, con il consenso del paziente. Cosa assai diversa dal suicidio assistito!
Un’ultima considerazione: la legge sulle DAT e il dibattito sempre molto acceso attorno alle questioni del fine vita dimostrano la difficoltà tutta italiana di creare una cultura non della morte! come dicono gli avversari della legge!
ma una cultura sulla morte, che è una parte della vita, l’ultima, ma non meno degna di essere vissuta con umanità.
Per seguire l'attività della Senatrice Emilia De Biasi: sito web - pagina facebook