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Scenari mediorientali

Written by Emanuele Fiano.

Emanuele Fiano Voglio parlare con il cuore in mano. E la mente ben salda.
Gerusalemme è la capitale dello Stato di Israele. Lo era già nel 1000 a.c. circa come capitale del Regno di Israele, lo è storicamente, per l’ininterrotta presenza ebraica, lo è, nella tradizione del popolo ebraico, da prima della fondazione dello Stato di Israele. Lo è per la scelta di un paese, Israele, che rimane l’unica democrazia in medio oriente. Non mi vengono in mente altri paesi a cui venga chiesto di non compiere la scelta della propria capitale.
Questo non contraddice il fatto che una futura pace non possa avere la stessa Gerusalemme anche come capitale dello stato di Palestina.
Come è stato già offerto perlomeno due volte in trattative di pace dagli israeliani. E non esclude neanche il fatto che io non condivida quasi mai le politiche del governo Nethaniau o del Presidente Trump. Ma la verità va raccontata tutta. Sempre.
Da quando ho l’età per capire ho sostenuto che in quella terra si scontrano due diritti e non un diritto ed un torto. Il diritto all’esistenza dello Stato di Israele e il suo diritto alla sicurezza e altrettanto il diritto ad uno Stato di Palestina e alla sua sicurezza. Solo un compromesso su questa base per la mia modesta opinione è quello giusto. Ci sono responsabilità di una parte e dell’altra se siamo arrivati qui con un conflitto infinito? A me pare di si. Sono simmetriche? Secondo me no.
Per fare un esempio semplice nel 2000 a Camp David, alla presenza di Bill Clinton, il leader laburista Ehud Barak propose ad Arafat la restituzione del 98 percento dell’estensione dei territori occupati nel 1967, con un compromesso sullo status di Gerusalemme e sui profughi. Mai una proposta tanto vicina alla richiesta palestinese era stata fatta. Ma Arafat disse no.
Ma non su questo rinvangare le offerte di pace e le risposte assurdamente negative, contribuiremo alla pace. Perché la pace comunque la si pensi non può che essere migliore del conflitto.
Un giorno il segretario del Partito di sinistra in Israele Mapam, mi disse che proprio perché colpito da un attentato palestinese, direttamente, e dunque vittima innocente, più forte sentiva l’esigenza di militare nel campo della pace, per impedire che questo accadesse di nuovo ad altri, una risposta che era il contrario della vendetta. Mi ricordarono le parole di un grande pacifista palestinese, Issam Sartawi, ucciso in Spagna da sicari palestinesi per le sue posizioni di apertura, oppure le parole di Anwar Sadat o di Yzhak Rabin. Eroi coraggiosi di pace. Uccisi per quello dai loro concittadini.
Ma vanno dette molte altre verità.
Il sistema di comunicazione mondiale sui fatti che li avvengono è quasi sempre squilibrato. Anche la comunicazione italiana, anche quella pubblica. Anche in questi giorni. Non si racconta che raramente dei missili che l’organizzazione di Hamas spara da Gaza su Israele indirizzandola sui centri abitati residenziali, su asili e scuole, si parla delle reazioni israeliane. Si usano spesso due pesi e due misure sui morti civili israeliani feriti o ammazzati a pugnalate e sui civili palestinesi ammazzati dall’esercito israeliano. Non si racconta delle decine di palestinesi di Gaza curati negli ospedali israeliani, così come per i civili siriani. Nella pubblicistica Israele appare quasi sempre come l’unico responsabile di questo risultato storico, e questa è una falsità. Non si racconta che rarissimamente delle condizioni delle istituzioni negli Stati confinanti con Israele. Solo ieri esecuzioni a morte in Egitto. Lo dico, come sopra, da oppositore da lontano, non essendo cittadino israeliano, della politica del premier Nethaniau.
Immagino, sono certo, di quanto terribile sia la vita a Gaza. E ovviamente lo so anche per molte condizioni nei territori occupati. Veramente. Comprendo la mancanza di prospettiva, di lavoro, di soldi, la sensazione che il futuro non ci sia. La paura che la propria vita sia nulla.
Ma questo non può esimerci dal raccontare che a Gaza gli israeliani non ci sono ormai da anni. Civili e militari. Neanche può esimerci dal raccontare che i civili israeliani residenti a Sderot, territorio mai oggetto di contesa, sottoposti a giornate nei rifugi per ripararsi dai missili, sono civili come i civili palestinesi, uguali. Non si può non raccontare che Gaza ha avuto a disposizione dall’Europa miliardi di euro per ricostruire strutture, che spesso quei soldi sono stati utilizzati da chi li governa, e cioè Hamas, per realizzare infrastrutture militari, tunnel per portare attentatori in Israele, basi di lancio per missili. Che Israele risponde quando è attaccato dai missili, cercando di colpire le basi militari di Hamas, cosa che purtroppo fa parte della logica del conflitto militare.
Interrompere questo conflitto è un must, ma i torti e le ragioni vanno raccontati tutti. I bambini che muoiono sotto bombe o missili per me sono tutti uguali, a prescindere dalle colpe dei padri.
Se, e siccome per me, questo è inoppugnabile, una soluzione statuale ai palestinesi è obbligatorio riconoscerla, ma non per questo qualsiasi sia la loro forma organizzativa, qualsiasi sia la natura dei movimenti che li rappresentano può essere accettata; per adesso Hamas, così come Hezbollah e ovviamente le organizzazioni della Jihad, rimangono dalla parte della scelta del terrore, della distruzione di Israele e dei suoi abitanti, insieme all’Iran, e per adesso l’accordo tra Hamas e Abu Mazen che prevedeva uno smantellamento della loro struttura militare non c’è.
D’altra parte per me è incomprensibile e colpevole la continuazione della politica degli insediamenti nei territori occupati da parte di Israele, dato che tutti sappiamo che se un giorno un compromesso arriverà esso dovrà basarsi su una mediazione territoriale.
Insomma una storia complicata e drammatica deve tenere ben saldi i principi fondamentali. Ogni nuovo insediamento israeliano è un impedimento in più alla pace, ogni tentativo di indebolire o affliggere Israele con il terrorismo, con i missili o con attentati, è ovviamente e drammaticamente un allontanamento da una soluzione.
Due popoli, due Stati, due diritti. Chiunque rompa l’equilibrio tra la difesa dei due diritti secondo me fa danni. La pace si fa con il nemico, sulla base di un compromesso. Tutti gli israeliani vogliono la pace con uno Stato palestinese? Non credo. Tutti i palestinesi sono decisi ad abbandonare le azioni terroristiche e a riconoscere lo Stato di Israele, altrettanto non credo. E non sarà mai così, perlomeno non improvvisamente. La pace va costruita e le nuove generazioni che, speriamo, dovessero crescere nella pace, costruirebbero cultura del dialogo.
Non sono un tifoso di Trump, anzi l’esatto contrario, non apprezzo le sue scelte politiche, così penso che in quella terra complicata e insanguinata, della quale ho cercato di descrivere qualche contraddizione, prendere decisioni unilaterali sia un errore politico. Che porta ad effetti opposti all’eventuale scopo.
Altrettanto però detesto l’ipocrisia. L’Europa che assiste da anni alla situazione di stallo e di sangue nel conflitto Israelo/palestinese senza riuscire mai ad avere un ruolo (5 anni di incarico a Blair senza che nessuno si accorgesse del suo essere delegato al Medio Oriente), i media occidentali che in genere raccontano una parte della verità non aiutano certo la pace.
Dunque visto che mi si chiede spesso un’opinione sulla vicenda Trump/Gerusalemme:
Non credo che la scelta di Trump aiuti Israele in qualche modo.
Non credo che la scelta aiuti la pace in qualche modo.
Non credo sia dovuta solo a ragioni oggettive di strategia in quel quadrante territoriale.
Trump ha tenuto fede ad una promessa elettorale.
Trump in qualche modo risponde al nuovo asse Russia/Iran vincente e dominante nel quadrante siro/irakeno.
Peraltro è in parte strano che chi come USA e Israele avevano proprio recentemente rafforzato una relazione più o meno esplicita con l’Arabia Saudita, di Israele si dice, in probabile opposizione all’asse Russia /Iran, con la mossa di Trump hanno suscitato l’ira saudita presso la Lega Araba.
Non ho condiviso il comportamento dell’Europa occidentale e dell’Italia all’Onu. Isolare gli Stati Uniti anche se guidati da un Presidente del quale non si condividono le idee, e contemporaneamente isolare Israele, va in una direzione sbagliata. Anche se si voleva criticare la decisione, peraltro storica degli USA. Anche qui non ricordo un’analoga presa di posizione su scelte di localizzazione di ambasciate in altre parti del mondo.
Dov’è l’Europa, perché non c’è una grande iniziativa politica, incessante, che tenti di coordinare il nuovo quadro regionale?
Come si fa ad ignorare la novità di un Iran rafforzato dalla guerra in Siria, rafforzato dall’alleanza con la Russia, nemico giurato di Israele e della sua esistenza, peraltro senza nulla poter rivendicare nei suoi confronti, finanziatore di Heizbollah altro nemico giurato di Israele?
Io avrei opposto alle scelte degli USA una grande iniziativa diplomatica. Perlomeno avrei cercato di prendere tempo, magari per convincere Trump a temporeggiare sulla sua scelta.
Il mondo sta forse venendo fuori ora dall’ascesa criminale del sedicente califfato islamico Jihadista, che ha insanguinato il quadrante della Siria e dell’Irak e I territori mondiali colpiti dai suoi terroristi assassini.
Il quadro che ne risulta ha tratti di parossismo, con il leader turco Erdogan, da noi considerato poco meno di un dittatore, che tuona contro Israele alla Lega araba, protetto da Mosca e da Teheran. Solo un racconto veritiero della storia può accompagnare il coraggio del compromesso; le scelte univoche, l’isolamento dei protagonisti, il calpestamento dei diritti vanno in direzione contraria.
La speranza non basta, la pace va costruita.

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