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Biotestamento è finalmente legge

Written by Emilia De Biasi.

Emilia De Biasi
Articolo pubblicato da Municipalità Metropolitane.

La Legge sulle Disposizioni anticipate di trattamento (DAT) è legge.
Dopo anni di interminabili discussioni, veti, conflitti di attribuzione finalmente il Senato ha votato a larga maggioranza il testo già approvato in prima lettura dalla Camera.
Non è stato semplice. L’istruttoria in Commissione Sanità al Senato ha mostrato subito intenzioni ostruzionistiche: un numero ampio di audizioni, a un certo punto interrotte, un numero elevato di interventi in discussione generale, a un certo punto interrotti, e infine più di 3000 emendamenti presentati, con l’intenzione di presentarli in maniera analitica, ovvero ostruzionistica.
Di fronte alla impossibilità di adottare il cosiddetto “canguro”, e cioè di saltare gli emendamenti che iniziano allo stesso modo dopo aver bocciato il primo, poiché non vi era l’unanimità della Commissione per procedere in tal senso, la sottoscritta, Presidente della Commissione e relatrice del provvedimento, dopo aver richiesto diverse volte di ritirare il grosso degli emendamenti e così poter continuare l’esame, dopo l’ennesimo diniego, ha valutato l’impossibilità di andare avanti coi lavori e ha rassegnato le dimissioni da relatrice. Un mio passo indietro per far fare un passo in avanti alla legge.
E’ stato un atto forte, dettato anche dalla considerazione di essere a fine legislatura, e i tempi in politica sono fondamentali: sarebbe stato impossibile esaminare in poco tempo 3000 emendamenti, e la legge sarebbe morta in Commissione.
A quel punto la palla è passata alla Conferenza dei capigruppo, che per regolamento ha il compito di definire il calendario dei lavori dell’Assemblea, e così le DAT sono approdate all’esame dell’Aula.
Il resto è cronaca. L’Aula ha respinto tutti i 3000 emendamenti, anche quelli a voto segreto. E lo ha fatto con una maggioranza che non ricalca la maggioranza politica, segno che sui temi delle libertà personali e dei diritti non può esistere un bipolarismo etico che derivi dalle maggioranze di governo: un esercizio di libertà individuale e di responsabilità che ha consentito all’Italia, fanalino di coda in Europa su questi temi, di avere una legge sulle volontà anticipate di trattamento.
Si sta parlando di una scelta della persona, non di un obbligo, e di consenso informato, cioè della possibilità da parte della persona interessata di rifiutare determinati trattamenti sanitari, quali ad esempio le forme di accanimento terapeutico o la nutrizione e l’idratazione artificiali. Il consenso informato è la base della relazione di cura e di fiducia fra paziente e medico, e quest’ultimo è tenuto a rispettare le volontà del paziente., e il tempo della relazione fra loro è tempo di cura.
Ed è quella stessa relazione che porterà il medico a stabilire in accordo con la persona interessata la pianificazione delle cure nella fase terminale, attraverso la terapia del dolore e le cure palliative, fino ad arrivare alla sedazione palliativa profonda, perché la persona ha il diritto di morire con dignità.
Una legge che coniuga umanità, professionalità e autodeterminazione ,dunque, e che trova nelle DAT lo strumento di realizzazione.
Le DAT possono essere sottoscritte, modificate e revocate in qualsiasi momento da ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere, dopo aver acquisito adeguate informazioni mediche sulle conseguenze delle proprie scelte. Le DAT possono indicare un fiduciario che, nel caso in cui sopravvenga incapacità faccia le veci della persona interessata e la rappresenti nella relazione col medico e con le strutture sanitarie.
Le DAT devono essere redatte con atto pubblico o con scrittura privata autenticata e depositate presso il Comune di residenza o presso le strutture sanitarie e dovranno essere immesse nell’apposito registro regionale e nel fascicolo sanitario elettronico della persona, così da essere immediatamente riscontrabili in caso di necessità.
C’è dunque un insieme di procedure tecniche che vanno comunicate ed espletate con rigore.
Innanzitutto credo che la prima cosa da fare sia una grande campagna di informazione della cittadinanza a cui dovrebbero contribuire i Comuni, i Servizi sanitari regionali, i medici di medicina generale, i notai, che peraltro si sono già ampiamente dichiarati disponibili. Per tutto questo però occorre anche una formazione di base per gli operatori sulla legge.
La seconda azione riguarda il monitoraggio e la verifica dei registri regionali; la terza è la verifica dell’immissione delle DAT nel fascicolo sanitario elettronico: per una regione tecnologica come la Lombardia non dovrebbe essere complicato!
In Lombardia, inoltre, dove si sta avviando la sperimentazione di un nuovo approccio nella gestione delle patologie croniche, le cure palliative non sono state prese in considerazione. Una mancanza che limita le DAT e che è auspicabile che diventi oggetto di riflessione non secondaria nella imminente campagna per le elezioni regionali.
L’ultima azione non è applicativa, ma culturale.
I detrattori hanno detto che la legge parla di cultura della morte, che è una legge eutanasica.
Con tutto il rispetto per le opinioni di tutti devo ribadire che in questa legge non si parla di eutanasia, nè tantomeno si afferma una cultura della morte.
Anzi, credo che stiamo finalmente ragionando sulla morte, antico tabù dell’Occidente: la morte è una parte della vita, l’ultima, probabilmente la più drammatica e la persona ha il diritto di viverla nella piena dignità, perché esiste una dignità del nascere una dignità del vivere, e una dignità del morire.
La sofferenza non è un destino inevitabile, scienza e medicina moderne lo sanno e combattono contro pregiudizi e oscurantismi.
Nessun medico, nessun professionista della sanità può sentirsi sminuito nel suo ruolo se dialoga col paziente, che è persona, e ne rispetta la volontà: è un segno di grande umanizzazione e di consapevolezza della inscindibilità di cura e terapia, di ascolto e di azione, di professionalità e senso del limite.
Sono temi delicati, su cui il dialogo deve proseguire, al di là delle diverse opinioni e dei diversi orientamenti culturali, perchè questo è il pluralismo alla base della democrazia. Ma se si intende affermare una sola etica dei principi siamo destinati ad elevare muri. Viceversa oggi è il tempo dell’etica della responsabilità che accompagna un diritto mite e lo mette al servizio della persona, perché la fine della sua vita non sia segnata da solitudine, dolore, abbandono, ma dalla coscienza di sé e delle proprie scelte.
Non so se questa battaglia culturale potrà avere l’attenzione delle istituzioni, spero di sì.
In ogni caso la buona politica non potrà sottrarsi, poiché con la legge sul fine vita ha scritto la Storia.

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