Più forti contro le mafie. Nuovo Codice Antimafia e beni confiscati
Ad Affori si è svolto l'incontro “Più forti contro le mafie. Il nuovo Codice Antimafia e i beni confiscati”, organizzato nell’ambito della Festa del PD del Municipio 9 di Milano con: Franco Mirabelli (Capogruppo PD in Commissione Parlamentare Antimafia - video), Beatrice Uguccioni (Commissione Antimafia del Comune di Milano e Vicepresidente del Consiglio Comunale a Milano - video), Fabio Roia (Magistrato, Presidente della Sezione Autonoma Misure di Prevenzione del Tribunale di Milano - video), Luciano Silvestri (Responsabile Legalità della Cgil nazionale e promotore della legge d’iniziativa popolare “Io riattivo il lavoro” riguardante le aziende confiscate - video), Rosy Bindi (Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia - video prima parte - video seconda parte). Video di tutto l'incontro»
Materiali dell'incontro:
Testo dell'intervento di Franco Mirabelli:
Nelle scorse settimane siamo stati invitati ad una conferenza stampa a Roma, convocata da tutte le organizzazioni che in questi anni hanno cercato di intervenire per migliorare la legislazione italiana antimafia. Si tratta dei sindacati CGIL, CILS e UIL, Libera e molte altre organizzazioni che hanno svolto un ruolo importante nei confronti del Parlamento, spingendo affinché si facessero le norme utili e aggiornate per combattere le mafie e che, per chiedere il miglioramento delle normative vigenti, hanno anche raccolto migliaia di firme.
In quella conferenza stampa, queste organizzazioni hanno affermato che in questa legislatura, con questo Parlamento e questi Governi, sono state prodotte 24 norme importantissime che hanno migliorato in maniera significativa la battaglia per combattere le mafie e per la legalità in questo Paese.
Vorrei, quindi, partire da questo perché troppo spesso siamo fermi sulle nostre polemiche e, invece, c’è una parte importante del mondo che si occupa della lotta alla mafia che riconosce il valore del nostro lavoro in Parlamento e al Governo su questo fronte, anche più di quanto facciamo noi stessi.
Abbiamo introdotto la modifica dell’articolo 416 ter del Codice Penale per istituire il reato di voto di scambio inteso come voto in cambio di favori, mentre prima veniva punito solo in voto in cambio di denaro.
Abbiamo fatto una legge anticorruzione e abbiamo dato maggiori poteri ad ANAC (Autorità Nazionale AntiCorruzione).
Abbiamo introdotto il reato di autoriciclaggio.
Abbiamo reintrodotto il reato di falso in bilancio.
Infine, abbiamo fatto la riforma del Codice Antimafia che, in sostanza, è la legge che interviene sulla gestione dei beni confiscati.
Tutto ciò lo abbiamo fatto grazie alla capacità che abbiamo avuto di parlare fuori, con chi operava sul campo della lotta alle mafie, e anche grazie alla capacità che ha avuto la Commissione Parlamentare Antimafia di interpretare in questa legislatura un ruolo decisivo, cercando di capire cosa non andava e cosa doveva essere migliorato. Si è, infatti, ascoltato ciò che veniva detto da magistrati, associazioni, forze dell’ordine e le loro esperienze concrete al fine di capire come si poteva migliorare la lotta alla mafia e sulla base di questo abbiamo proposto delle riforme.
Queste riforme si sono portate alla conclusione quasi tutte. È ancora in discussione la legge per la protezione dei testimoni di giustizia e auspichiamo di riuscire ad approvarla entro la fine della legislatura.
Ciò che è stato fatto, quindi, è un lavoro importante.
Quando andiamo a spiegare cosa abbiamo fatto in questi anni di Governi a guida del PD, dobbiamo ricordarci che sulla legalità abbiamo fatto molto e migliorato molto le leggi di questo Paese.
A mio avviso, il Codice Antimafia è una delle riforme più importanti per quanto riguarda questo fronte.
Venendo allo specifico del Codice Antimafia, all’inizio della legislatura, ci siamo trovati a dover prendere atto che la normativa riguardante i beni confiscati non funzionava come avrebbe dovuto.
Pio La Torre capì che per combattere le mafie bisognava colpirle dove faceva loro più male e cioè portando via il loro patrimonio. Per questo è stato introdotto il principio secondo cui i beni avrebbero potuto essere confiscati subito ai mafiosi per essere restituiti alla collettività, in quanto frutto di attività illecite.
Dopo 35 anni di applicazione di questa legge, ci si è accorti che l’Agenzia che aveva il compito di gestire tutti questi passaggi non funzionava come avrebbe dovuto e molti degli immobili che venivano confiscati, per troppo tempo, restavano inutilizzati e finivano per degradarsi.
Tanti sono gli esempi di questa situazione. Con Rosy Bindi, siamo andati ad inaugurare un bene confiscato a Trezzano sul Naviglio e la Prefettura, intervenendo, ha spiegato che per molti immobili oggetti di confisca ci voleva troppo tempo per impiegarli e, nel frattempo, degradavano o venivano devastati dalla stessa criminalità organizzata. C’era, dunque, bisogno di fare più in fretta.
Inoltre, c’era il tema delle aziende confiscate. Troppo spesso, infatti, ci siamo trovati nelle condizioni per cui si confiscava un’azienda ai mafiosi e quella poi falliva perché non era più nelle condizioni di funzionare. Il risultato, però, era che i lavoratori rimanevano disoccupati e all’esterno arrivava un messaggio molto negativo secondo cui lo Stato non riusciva a fare ciò che, invece, la mafia riusciva a fare.
C’era, quindi, la necessità di sistemare anche questo aspetto e lo abbiamo fatto con una legge che accelera le procedure, dà ai magistrati che si occupano delle misure di prevenzione il compito di decidere subito che cosa fare di un bene o di un’azienda, mette in campo una serie di condizioni per salvaguardare i posti di lavoro e per attivare meccanismi di vantaggio per le aziende che tornano in mano allo Stato.
Con il nuovo Codice Antimafia, dunque, si dà un altro ruolo all’Agenzia per i Beni Sequestrati e Confiscati alle mafie, innanzitutto prevedendo che si abbia chiaro quali siano i beni confiscati in Italia; cosa che sembra ma ovvia ma che invece non era perché il Direttore precedente dell’Agenzia, ad esempio, non sapeva quanti e quali beni confiscati avessimo perché non esisteva un database, nonostante fossero anche stati stanziati dei soldi per farlo.
Con la riforma del Codice Antimafia si accelerano i tempi, si semplificano le procedure e si garantiscono meglio i lavoratori delle aziende dei beni confiscati.
La riforma del Codice Antimafia, inoltre, non solo nasce grazie alle proposte che hanno presentato le associazioni, in particolare con la proposta di legge di iniziativa popolare “Io riattivo il lavoro”, ma nasce anche dall’esperienza concreta dei magistrati.
Abbiamo spesso incontrato magistrati che, sfidando in parte le norme, hanno provato a migliorare le cose.
Il magistrato delle misure di prevenzione del Tribunale di Roma, ad esempio, ha raccontato che un giorno hanno confiscato una serie di pizzerie ma le hanno tenute aperte, con gli amministratori giudiziari che erano stati istruiti per assumere in modo regolare le persone che lavoravano lì in nero e per far funzionare quei locali.
Con il nuovo Codice Antimafia questo modello dovrebbe diventare la regola e non un’eccezione.
Per tornare alla realtà milanese, in Expo, ad esempio, quando si è scoperto che già c’erano aziende colluse con la mafia che stavano lavorando lì, si è scelto di togliere il management di quelle aziende e di farlo arrivare dalla Prefettura per non bloccare l’azienda e i lavori, pur colpendo i responsabili.
Questa è un’altra modalità che abbiamo codificato nel nuovo Codice Antimafia.
Il nuovo Codice Antimafia, quindi, è una legge complessa, trae spunto e ha valore proprio perché si fonda sulle esperienze più positive che si sono fatte e su un lavoro lunghissimo, che è durato 4 anni, di verifica di queste esperienze e anche di valutazione rispetto alle necessità.
Purtroppo, come per molte altre leggi importanti e positive che abbiamo fatto nel corso della legislatura, anziché valorizzarle, se ne è parlato solo per polemizzare.
Ad un certo punto, infatti, dopo tre anni e mezzo che la legge era in Parlamento, con già l’approvazione della Camera dei Deputati e altri due anni di discussione in Commissione al Senato, si è arrivati in Aula al Senato senza presentare emendamenti e, quando sono scaduti i termini per farlo, si è cominciato a dire che questa era una legge liberticida.
Tutte le polemiche ruotano attorno all’articolo 1 del nuovo Codice in cui si sostiene che le misure di prevenzione patrimoniale (sequestro e confisca) possono essere estese anche a chi compie reati contro la Pubblica Amministrazione (sostanzialmente si tratta di corruzione). Oltretutto, al Senato, quell’articolo è stato migliorato al Senato rispetto al testo uscito dalla Camera dei Deputati e nonostante nessuno avesse sollevato il problema. Ad esempio, abbiamo aggiunto il fatto che per far scattare le misure di prevenzione ci dovesse essere un reato associativo (416 bis, associazione mafiosa).
Abbiamo stabilito, inoltre, che a decidere la confisca non sia un giudice monocratico ma un collegio giudicante e con la possibilità di avere un dibattimento in cui l’accusato possa andare a dimostrare che il patrimonio che gli si intende sottrarre è frutto di attività lecita. Questa è un novità che introduce garanzie per l’accusato e che prima non c’era.
Abbiamo anche stabilito che per far scattare la confisca serve un indizio di colpevolezza e del fatto che il bene che si intende sequestrare sia frutto di un episodio corruttivo e non sia sufficiente un semplice sospetto.
Mi dispiace di queste polemiche perché nascondono il valore della riforma del Codice Antimafia.
Il Presidente della Repubblica, oltretutto, firmando la legge ha detto che non ci sono elementi di incostituzionalità ma anche che mancano alcuni reati previsti dalle Direttive Europee su cui sarebbe opportuno intervenire con le misure di prevenzione.
Le polemiche, quindi, avrebbero dovuto chiudersi con questo passaggio.
La realtà, però, è che le polemiche innescatesi hanno rischiato di mettere in discussione il principio della confisca dei beni preventiva alle mafie che noi andiamo a spiegare in giro per l’Europa. Le mafie, e in particolare la ‘ndrangheta, infatti, non sono un fenomeno solamente italiano e l’idea della confisca preventiva dei patrimoni dei mafiosi è una cosa a cui il resto d’Europa sta cominciando a guardare. Anche perché, siccome in Italia la confisca c’è mentre in altri Paesi no e i criminali lo sanno, tendono ad investire i loro patrimoni altrove, in modo da non subire danni. Per questo, oggi, alcuni Paesi cominciano a chiedersi se non sia il caso di introdurre anche da loro la confisca preventiva per chi commette reati di stampo mafioso. Con questo principio abbiamo dato colpi fortissimi alle mafie e metterlo in discussione è molto pericoloso.
È utile, quindi, spiegare quante cose positive abbiamo fatto per combattere le mafie in questo Paese e la migliore che abbiamo fatto, anche se è la più difficile, è proprio la riforma del Codice Antimafia.
Nelle scorse settimane siamo stati invitati ad una conferenza stampa a Roma, convocata da tutte le organizzazioni che in questi anni hanno cercato di intervenire per migliorare la legislazione italiana antimafia. Si tratta dei sindacati CGIL, CILS e UIL, Libera e molte altre organizzazioni che hanno svolto un ruolo importante nei confronti del Parlamento, spingendo affinché si facessero le norme utili e aggiornate per combattere le mafie e che, per chiedere il miglioramento delle normative vigenti, hanno anche raccolto migliaia di firme.
In quella conferenza stampa, queste organizzazioni hanno affermato che in questa legislatura, con questo Parlamento e questi Governi, sono state prodotte 24 norme importantissime che hanno migliorato in maniera significativa la battaglia per combattere le mafie e per la legalità in questo Paese.
Vorrei, quindi, partire da questo perché troppo spesso siamo fermi sulle nostre polemiche e, invece, c’è una parte importante del mondo che si occupa della lotta alla mafia che riconosce il valore del nostro lavoro in Parlamento e al Governo su questo fronte, anche più di quanto facciamo noi stessi.
Abbiamo introdotto la modifica dell’articolo 416 ter del Codice Penale per istituire il reato di voto di scambio inteso come voto in cambio di favori, mentre prima veniva punito solo in voto in cambio di denaro.
Abbiamo fatto una legge anticorruzione e abbiamo dato maggiori poteri ad ANAC (Autorità Nazionale AntiCorruzione).
Abbiamo introdotto il reato di autoriciclaggio.
Abbiamo reintrodotto il reato di falso in bilancio.
Infine, abbiamo fatto la riforma del Codice Antimafia che, in sostanza, è la legge che interviene sulla gestione dei beni confiscati.
Tutto ciò lo abbiamo fatto grazie alla capacità che abbiamo avuto di parlare fuori, con chi operava sul campo della lotta alle mafie, e anche grazie alla capacità che ha avuto la Commissione Parlamentare Antimafia di interpretare in questa legislatura un ruolo decisivo, cercando di capire cosa non andava e cosa doveva essere migliorato. Si è, infatti, ascoltato ciò che veniva detto da magistrati, associazioni, forze dell’ordine e le loro esperienze concrete al fine di capire come si poteva migliorare la lotta alla mafia e sulla base di questo abbiamo proposto delle riforme.
Queste riforme si sono portate alla conclusione quasi tutte. È ancora in discussione la legge per la protezione dei testimoni di giustizia e auspichiamo di riuscire ad approvarla entro la fine della legislatura.
Ciò che è stato fatto, quindi, è un lavoro importante.
Quando andiamo a spiegare cosa abbiamo fatto in questi anni di Governi a guida del PD, dobbiamo ricordarci che sulla legalità abbiamo fatto molto e migliorato molto le leggi di questo Paese.
A mio avviso, il Codice Antimafia è una delle riforme più importanti per quanto riguarda questo fronte.
Venendo allo specifico del Codice Antimafia, all’inizio della legislatura, ci siamo trovati a dover prendere atto che la normativa riguardante i beni confiscati non funzionava come avrebbe dovuto.
Pio La Torre capì che per combattere le mafie bisognava colpirle dove faceva loro più male e cioè portando via il loro patrimonio. Per questo è stato introdotto il principio secondo cui i beni avrebbero potuto essere confiscati subito ai mafiosi per essere restituiti alla collettività, in quanto frutto di attività illecite.
Dopo 35 anni di applicazione di questa legge, ci si è accorti che l’Agenzia che aveva il compito di gestire tutti questi passaggi non funzionava come avrebbe dovuto e molti degli immobili che venivano confiscati, per troppo tempo, restavano inutilizzati e finivano per degradarsi.
Tanti sono gli esempi di questa situazione. Con Rosy Bindi, siamo andati ad inaugurare un bene confiscato a Trezzano sul Naviglio e la Prefettura, intervenendo, ha spiegato che per molti immobili oggetti di confisca ci voleva troppo tempo per impiegarli e, nel frattempo, degradavano o venivano devastati dalla stessa criminalità organizzata. C’era, dunque, bisogno di fare più in fretta.
Inoltre, c’era il tema delle aziende confiscate. Troppo spesso, infatti, ci siamo trovati nelle condizioni per cui si confiscava un’azienda ai mafiosi e quella poi falliva perché non era più nelle condizioni di funzionare. Il risultato, però, era che i lavoratori rimanevano disoccupati e all’esterno arrivava un messaggio molto negativo secondo cui lo Stato non riusciva a fare ciò che, invece, la mafia riusciva a fare.
C’era, quindi, la necessità di sistemare anche questo aspetto e lo abbiamo fatto con una legge che accelera le procedure, dà ai magistrati che si occupano delle misure di prevenzione il compito di decidere subito che cosa fare di un bene o di un’azienda, mette in campo una serie di condizioni per salvaguardare i posti di lavoro e per attivare meccanismi di vantaggio per le aziende che tornano in mano allo Stato.
Con il nuovo Codice Antimafia, dunque, si dà un altro ruolo all’Agenzia per i Beni Sequestrati e Confiscati alle mafie, innanzitutto prevedendo che si abbia chiaro quali siano i beni confiscati in Italia; cosa che sembra ma ovvia ma che invece non era perché il Direttore precedente dell’Agenzia, ad esempio, non sapeva quanti e quali beni confiscati avessimo perché non esisteva un database, nonostante fossero anche stati stanziati dei soldi per farlo.
Con la riforma del Codice Antimafia si accelerano i tempi, si semplificano le procedure e si garantiscono meglio i lavoratori delle aziende dei beni confiscati.
La riforma del Codice Antimafia, inoltre, non solo nasce grazie alle proposte che hanno presentato le associazioni, in particolare con la proposta di legge di iniziativa popolare “Io riattivo il lavoro”, ma nasce anche dall’esperienza concreta dei magistrati.
Abbiamo spesso incontrato magistrati che, sfidando in parte le norme, hanno provato a migliorare le cose.
Il magistrato delle misure di prevenzione del Tribunale di Roma, ad esempio, ha raccontato che un giorno hanno confiscato una serie di pizzerie ma le hanno tenute aperte, con gli amministratori giudiziari che erano stati istruiti per assumere in modo regolare le persone che lavoravano lì in nero e per far funzionare quei locali.
Con il nuovo Codice Antimafia questo modello dovrebbe diventare la regola e non un’eccezione.
Per tornare alla realtà milanese, in Expo, ad esempio, quando si è scoperto che già c’erano aziende colluse con la mafia che stavano lavorando lì, si è scelto di togliere il management di quelle aziende e di farlo arrivare dalla Prefettura per non bloccare l’azienda e i lavori, pur colpendo i responsabili.
Questa è un’altra modalità che abbiamo codificato nel nuovo Codice Antimafia.
Il nuovo Codice Antimafia, quindi, è una legge complessa, trae spunto e ha valore proprio perché si fonda sulle esperienze più positive che si sono fatte e su un lavoro lunghissimo, che è durato 4 anni, di verifica di queste esperienze e anche di valutazione rispetto alle necessità.
Purtroppo, come per molte altre leggi importanti e positive che abbiamo fatto nel corso della legislatura, anziché valorizzarle, se ne è parlato solo per polemizzare.
Ad un certo punto, infatti, dopo tre anni e mezzo che la legge era in Parlamento, con già l’approvazione della Camera dei Deputati e altri due anni di discussione in Commissione al Senato, si è arrivati in Aula al Senato senza presentare emendamenti e, quando sono scaduti i termini per farlo, si è cominciato a dire che questa era una legge liberticida.
Tutte le polemiche ruotano attorno all’articolo 1 del nuovo Codice in cui si sostiene che le misure di prevenzione patrimoniale (sequestro e confisca) possono essere estese anche a chi compie reati contro la Pubblica Amministrazione (sostanzialmente si tratta di corruzione). Oltretutto, al Senato, quell’articolo è stato migliorato al Senato rispetto al testo uscito dalla Camera dei Deputati e nonostante nessuno avesse sollevato il problema. Ad esempio, abbiamo aggiunto il fatto che per far scattare le misure di prevenzione ci dovesse essere un reato associativo (416 bis, associazione mafiosa).
Abbiamo stabilito, inoltre, che a decidere la confisca non sia un giudice monocratico ma un collegio giudicante e con la possibilità di avere un dibattimento in cui l’accusato possa andare a dimostrare che il patrimonio che gli si intende sottrarre è frutto di attività lecita. Questa è un novità che introduce garanzie per l’accusato e che prima non c’era.
Abbiamo anche stabilito che per far scattare la confisca serve un indizio di colpevolezza e del fatto che il bene che si intende sequestrare sia frutto di un episodio corruttivo e non sia sufficiente un semplice sospetto.
Mi dispiace di queste polemiche perché nascondono il valore della riforma del Codice Antimafia.
Il Presidente della Repubblica, oltretutto, firmando la legge ha detto che non ci sono elementi di incostituzionalità ma anche che mancano alcuni reati previsti dalle Direttive Europee su cui sarebbe opportuno intervenire con le misure di prevenzione.
Le polemiche, quindi, avrebbero dovuto chiudersi con questo passaggio.
La realtà, però, è che le polemiche innescatesi hanno rischiato di mettere in discussione il principio della confisca dei beni preventiva alle mafie che noi andiamo a spiegare in giro per l’Europa. Le mafie, e in particolare la ‘ndrangheta, infatti, non sono un fenomeno solamente italiano e l’idea della confisca preventiva dei patrimoni dei mafiosi è una cosa a cui il resto d’Europa sta cominciando a guardare. Anche perché, siccome in Italia la confisca c’è mentre in altri Paesi no e i criminali lo sanno, tendono ad investire i loro patrimoni altrove, in modo da non subire danni. Per questo, oggi, alcuni Paesi cominciano a chiedersi se non sia il caso di introdurre anche da loro la confisca preventiva per chi commette reati di stampo mafioso. Con questo principio abbiamo dato colpi fortissimi alle mafie e metterlo in discussione è molto pericoloso.
È utile, quindi, spiegare quante cose positive abbiamo fatto per combattere le mafie in questo Paese e la migliore che abbiamo fatto, anche se è la più difficile, è proprio la riforma del Codice Antimafia.