Print

Il Codice Antimafia e le mafie al Nord

Written by Franco Mirabelli.

Franco Mirabelli
Intervento all'incontro organizzato dalla Carovana Antimafia dell'Ovest Milano a Bareggio (video).

La Carovana Antimafia ha il merito di svolgere un ruolo costante di sensibilizzazione e di promozione di una discussione su un tema, come quello della mafia, che al Nord, spesso, si farebbe volentieri a meno di discutere. In molti, infatti, pensano che è meglio che non si parli delle mafie e della ‘ndrangheta, che è l’organizzazione criminale più radicata al Nord, perché dà fastidio pensare che le nostre città siano condizionate dalla criminalità. C’è un pezzo di politica che ancora si offende quando si fa notare che nel territorio ci sono le mafie: la vivono come se fosse polvere da nascondere sotto il tappeto e, invece, sarebbe meglio guardare con più attenzione questi fenomeni per avere gli strumenti per comprenderli.
L’Italia è il Paese che ha la migliore legislazione antimafia del mondo, la migliore magistratura, i migliori investigatori, capaci di dare colpi efficaci alle mafie. Non è un caso se abbiamo affidato alla Direzione Nazionale Antimafia anche le competenze per la lotta al terrorismo: lì c’è un patrimonio di capacità e di modi di lavorare che si sono formati proprio sul campo della lotta alla mafia. Anche la nostra legislazione è più efficace per contrastare le mafie rispetto a quella degli altri Paesi.
In questa legislatura, come Commissione Antimafia, siamo stati chiamati spesso in Paesi come l’Olanda, il Canada e la Germania, dove la ‘ndrangheta è entrata portando le “locali”, le famiglie e facendo affari ma le misure di prevenzione patrimoniale e la possibilità di confiscare i beni, le leggi per favorire i pentiti o per istituire un reato per associazione mafiosa come da noi è l’articolo 416 bis, sono cose straordinarie che non hanno e, quindi, sono Stati assolutamente indifesi rispetto alla criminalità organizzata e stanno cercando di attrezzarsi.
Abbiamo, dunque, un’ottima legislazione antimafia e l’abbiamo migliorata in questa legislatura.
Uno dei miglioramenti riguarda l’introduzione del reato di voto di scambio inteso come voti in cambio di favori, con la modifica dell’articolo 416 ter del Codice Penale, mentre prima si puniva solamente il voto in cambio di denaro.
Sono state fatte leggi contro la corruzione, per riformare il Codice degli Appalti; è stato introdotto il reato di autoriciclaggio e, recentemente, abbiamo approvato la riforma del Codice Antimafia, dopo un lunghissimo lavoro in Commissione Antimafia con audizioni per ascoltare le segnalazioni degli operatori del settore per capire cosa c’era da modificare rispetto alle norme precedenti.
Il Codice Antimafia è composto in prevalenza da una serie di articoli che riguardano il trattamento dei beni confiscati. Dopo 35 anni dalla Legge Rognoni-La Torre, infatti, era necessario un tagliando. L’Agenzia che ha in gestione i beni confiscati non funzionava come avrebbe dovuto e le stesse aziende confiscate spesso rischiavano di fallire, per cui si era reso necessario un intervento per cambiare queste situazioni.
La Legge Rognoni-La Torre stabilisce che il sequestro dei beni ai mafiosi possa avvenire prima della condanna definitiva per metterli a disposizione della collettività ma se ciò non si riesce a fare, è evidente che si crea un problema. Per intervenire su questo, nel Codice Antimafia, sono stati raccolti tutti i suggerimenti e sono state introdotte una serie di innovazioni che tutti giudicano positivamente.
Personalmente, però, considero importante anche l’articolo 1 del nuovo Codice Antimafia, che attualmente è oggetto di molte polemiche.
L’articolo 1 dice che anche per i reati contro la Pubblica Amministrazione, cioè la corruzione, è possibile fare la confisca preventiva dei patrimoni che si presume siano derivati da soldi della corruzione. Tutto ciò, a mio avviso, è corretto in quanto il reato di corruzione nella Pubblica Amministrazione riguarda sempre denaro pubblico ed è giusto preoccuparsi che questi soldi o i beni comprati con essi non spariscano.
Su questo articolo è stata fatta una polemica dicendo che il nuovo Codice Antimafia è una legge liberticida, lasciando intendere che si possa confiscare qualunque cosa in possesso della persona accusata senza alcuna garanzia.
In realtà, la nuova legge introduce maggiori garanzie rispetto alle norme precedenti. Il sequestro dei beni, ad esempio, viene deciso da un collegio e non più solo da un giudice monocratico; è obbligatorio che ci sia un indizio di colpevolezza e non soltanto un sospetto. Abbiamo introdotto anche il dibattimento, in cui è possibile dimostrare che il bene è stato ottenuto con soldi non di provenienza illecita. Inoltre, si deve essere in presenza di un reato associativo (associazione mafiosa).
Non si tratta, quindi, di una norma liberticida.
Personalmente mi sono domandato a lungo il perché di questa polemica.
Il percorso di questa riforma è stato molto lungo – un anno alla Camera dei Deputati e un anno e mezzo al Senato – e inizialmente nell’articolo 1 era previsto addirittura il sequestro anche per il reato di peculato che, oggettivamente, è un eccesso. Alcune cose sono poi state corrette e la legge è arrivata in Aula al Senato senza che ci fosse un solo emendamento all’articolo 1. Dal giorno successivo, però, dai quotidiani è partita una campagna contro l’articolo 1 e contro l’estensione delle misure di prevenzione per i reati contro la Pubblica Amministrazione. Oltretutto, come dimostrano anche le inchieste recenti, sono reati molto legati alle attività mafiose.
Mi domando anche perché Confindustria stia facendo una campagna contro questa norma.
Le imprese, a mio avviso, non hanno nulla da temere ma, anzi, hanno tutto da guadagnare dal fatto che si migliorino le norme per colpire le mafie e le corruzioni, che sono fenomeni che mettono in crisi le aziende sane.
Le imprese sane se c’è la concorrenza sleale, infatti, non riescono a lavorare.
Abbiamo così chiesto un confronto a Confindustria per capire che lettura hanno dato della nuova legge.
In questi giorni, inoltre, è uscito un appello al Presidente della Repubblica affinché non firmi il nuovo Codice Antimafia ma l’obiettivo di quell’appello è mettere in discussione il principio su cui si basa tutta la legislatura antimafia che è contenuto già dalla Legge Rognoni-La Torre e cioè il fatto che per reati come quello mafioso si possa fare la confisca dei beni preventivamente, senza attendere tutti i gradi di giudizio. Quel principio ci ha consentito di dare colpi durissimi alle mafie.
L’intuizione di Pio La Torre era stata quella di capire che le mafie sono maggiormente preoccupate quando si vanno a colpire i loro patrimoni. Mettere in discussione oggi quel principio non ha senso, oltretutto ci sono altri ordinamenti che stanno cercando di acquisirlo.

In questi anni, in Commissione Antimafia, con l’aiuto dell’Università degli Studi di Milano e di Nando Dalla Chiesa abbiamo anche fatto un focus sulle mafie al Nord e, tra le cose, è emerso che spesso i Comuni interessati da questi fenomeni sono di piccole dimensioni, dove si sta lontano dai riflettori, con capi delle “locali” di ‘ndrangheta che fanno sempre lavori modesti e, quindi, non danno nell’occhio.
Non possiamo più accontentarci, però, di dire che non c’è reazione perché la ‘ndrangheta non spara.
La mafia siciliana si è cominciata a combatterla seriamente dopo le due stragi, quando c’è stata una rivolta popolare. La ‘ndrangheta, invece, sceglie di mimetizzarsi il più possibile ma ha comunque degli arsenali e se volesse potrebbe sparare.
La ‘ndrangheta, inoltre, si mimetizza il più possibile per creare meno allarme sociale ma noi abbiamo sufficienti elementi per dire che l’allarme sociale ci deve essere.
Quando ci accorgiamo che in un clima omertoso - in cui c’è sicuramente anche una parte che ha delle convenienze - si crea un meccanismo per cui imprenditori si mettono al centro di un rapporto tra la ‘ndrangheta, la politica, funzionari pubblici e tecnici, come è avvenuto a Seregno?
La politica può anche non sapere che dall’altra parte, dietro alle richieste di imprenditori, ci sia la ‘ndrangheta ma deve cominciare a riflettere seriamente sul fatto che queste cose possono succedere.
La politica quando capisce che cercare delle scorciatoie e violare le regole per cambiare una variante urbanistica è una cosa sbagliata, non solo perché si può favorire un imprenditore ma perché dietro all’imprenditore ci può essere la criminalità organizzata? Questo è il rapporto tra la corruzione e le mafie.
Vicende come quella di Seregno le abbiamo già viste in molti altri luoghi.
Non si può arrivare sempre il giorno successivo all’uscita delle inchieste sui giornali a dire che non ce lo aspettavamo.
Se la Lega a Cantù si fosse occupata un po’ meno di demonizzare gli immigrati, forse si sarebbe anche accorta che la ‘ndrangheta stava taglieggiando e intimidendo una gran parte dei locali del centro e non andando di nascosto ma organizzando risse settimana dopo settimana e andando a intimidire non solo i proprietari ma anche i clienti. Di tutto questo nessuno si è accorto.
Dobbiamo, però, spiegare che le mafie sono molto pericolose anche quando non sparano o non ci danno fastidio bivaccando o scippando.
Un’organizzazione com’è la ‘ndrangheta, che investe miliardi di euro nell’attività legale, inquina l’economia legale e questo è un pericolo per la nostra democrazia e per la nostra convivenza.
Dobbiamo avere chiaro questo punto perché altrimenti non riusciamo a spiegare perché la mafia è più pericolosa degli immigrati, dello scippatore o del criminale comune: la mafia rischia di inquinare la nostra democrazia.
Al Nord le mafie ci sono perché vogliono entrare e condizionare l’economia legale.
L’inchiesta Aemilia ha mostrato che la ‘ndrangheta è qui perché qui ci sono i soldi. Dove ci sono i soldi, dove ci sono le imprese, dove ci sono gli appalti la ‘ndrangheta è interessata e lì interviene per appropriarsi di questi pezzi di economia.
Un’economia legale inquinata dai soldi che arrivano dalle droghe e da altri traffici illeciti può mettere in discussione la nostra democrazia.
Non basta la politica, che pure deve comportarsi in un altro modo rispetto a ciò che è emerso dalle ultime inchieste.
La politica deve avere chiaro che non ci deve essere nessuno nelle amministrazioni che possa lasciare intravedere un rapporto con le mafie.
Bisogna saper cogliere i segnali che fanno capire se ci può essere qualcosa che non va.
Bisogna fare un lavoro attento.
E soprattutto bisogna conoscere le persone.
Occorre imparare a fare le liste sapendo chi viene candidato.
Mantovani ha dichiarato che non può conoscere tutti quelli a cui stringe le mani ed è vero ma prima di raccomandare persone e imprenditori ad amministratori è meglio conoscerle bene perché bisogna sapere che c’è il rischio che dietro di esse ci siano cose poco pulite.

Per seguire l'attività del senatore Franco Mirabelli: sito web - pagina facebook

Pin It