Cronaca di una decadenza annunciata
La Camionetta della Polizia accoglie i senatori, segno inequivoco della giornata particolare. A tarda notte il governo Letta ha ottenuto la fiducia sulla legge di stabilità, alle nove del mattino le facce sono obiettivamente tirate, e i caffè abbondano.
La seduta non è ancora cominciata e già Bondi si appiccica con Formigoni, passato con Alfano nel Nuovo centrodestra. È come la storia del fumatore pentito, intollerante oltremodo del fumo. Inizio sonnacchioso. Si votano le variazioni di bilancio senza colpo ferire. In sordina inizia il secondo punto all’ordine del giorno: la decadenza di Berlusconi, che formalmente si intitola “Elezione contestata nella Regione Molise”.
Piccole schermaglie procedurali introducono un dibattito che si preannuncia lungo.
Il relatore per conto della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari svolge la sua relazione. Poi Casini, colpo di scena annunciato, dice che, insomma, stiamo facendo una cosa un po’ forte e che sarebbe stato sufficiente aspettare la sentenza definitiva sull’interdizione dai pubblici uffici per B. Come dire che è bene consegnarsi alla Magistratura e rinunciare alle prerogative del Parlamento. Paradossi della politica: si predica l’autonomia del Parlamento da ogni potere e poi ci si sottomette a un potere, quello giudiziario, per non decidere. Non si lamenti Casini se la distanza fra i cittadini e le istituzioni diventa una voragine!
La Mussolini si lamenta che nel dibattito non c’è cuore, né sentimento. È una questione umana. Roba per stomaci forti. La discendente prosegue insultando nell’ordine: Alfano, piranha, Lupi, il nome è un programma, e parla di violazione della Costituzione. Vediamo il lato positivo: rispetto all’antenato almeno parla di Costituzione. Ed ecco il clou: non sapete cos’è la riconoscenza. Ma a chi? Al padre, al padrone, al padrino? Le donne di Forza Italia accennano un piccolo deliquio fatto di urletti. Malan, Forza Italia, fa rifermento a precedenti dei nazisti, di Stalin, di Mao e parla di assalto alla legalità, con un’abbondanza di aggettivi che non ho mai sentito pronunciare quando le stesse persone votavano le leggi ad personam, l’impunità sul falso in bilancio, la legge Bossi Fini, i tentativi di censura della libertà di informazione, gli attacchi alla Magistratura, come è noto tutta comunista.
Ma basta! Tutto il cinema è per impedire il voto palese, ritardare il più possibile, sospendere, rinviare, dimenticare. La mia vicina di banco, Anna Finocchiaro, non perde una parola e sta sul pezzo prendendo appunti con una stilografica a inchiostro rosa. Competente e femminile. L’Aula respinge a maggioranza le richieste sospensive e pregiudiziali. Ci avviamo al secondo tempo, quand’ecco che Gasparri inizia una gazzarra sul fatto che secondo lui i Senatori a vita non hanno diritto al voto. Incredibile. Non pago insulta Claudio Abbado per la sua assenza. Tocca al Presidente Grasso ricordare che il Maestro è gravemente ammalato. Che tristezza.
La prima parte finisce qui, e non è un bel momento.
Sono le 15.30, iniziano le dichiarazioni di voto finali, ogni gruppo ha diritto a un intervento sul tema e sulle intenzioni di voto. Come nelle occasioni importanti c’é la diretta televisiva della Rai. Le tribune sono piene di telecamere, giornalisti e fotografi; quelle riservate al pubblico sono al completo.
Si cita Manzoni e la Colonna infame, e “perché in futuro l’infamia sia soltanto vostra”, cioè nostra, di noi che voteremo la decadenza. Lo stile non è acqua.
Applausi volutamente prolungati provengono dalle diverse parti dell’emiciclo, unica concessione di tifoseria, in un clima apparentemente distratto, teste basse a consultare il computer, occhi per aria telefonando, sguardi fissi sull’oratore di turno, occhi a fessura a indicare disapprovazione. I Cinquestelle seri e silenziosi, parla la capogruppo, peperino ma inefficace data la vis polemica. I PD, manco a dirlo, attentissimi, sobri, compatti; Scelta Civica, non sappiamo ancora se al singolare o plurale perché non si capisce bene in cosa consista la recente scissione, al loro posto, come sempre ordinati. I rappresentanti delle autonomie parlano con intonazione tedesca anche a nome di quelli con la erre arrotata francese dei valdostani, ma va bene così. Sel fa filologia berlusconiana, e, in effetti, mettere in fila venti anni fa la sua impressione. Applausi un po’ più debolini.
Per la Lega una donna, non della vecchia guardia. Piano piano anche loro… Accanto a Calderoli riappare Tremonti, forse un déjà vu. La senatrice spiega e spiega perché voteranno contro la decadenza, ed é insolito sentire dalla Lega toni pacati. Stanchezza o resa incondizionata?
Alla Severino fischieranno le orecchie, è citatissima poiché la linea del Piave é lì, nella non retroattività nell’applicazione della legge che porta il suo nome, e dunque non applicabile a B. Chiarito il mistero Civico: intervengono in due, anzi, in tre. E la scelta dove sta? Schifani, ex presidente del Senato, ex capogruppo dell’ex PDL, ora membro autorevole del neonato gruppo alfaniano ci chiede un momento di risipiscenza, linguaggio dotto per dire ma non potevate aspettare un po’, e dice che votano contro la decadenza, per motivi di trasparenza e di legalità. Sic!. Lezioncina che termina con l’articolo 3 della Costituzione, quello sull’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge. Non capisco dove starebbe la disuguaglianza, dati i tre gradi di giudizio e la condanna definitiva. Più uguale di così…si avvicina il voto e ai PD arriva il solito, mitico sms: Aula: venire tutti in Aula.
Nessuno risponde alla provocazioni verbali dei Cinquestelle? Ma Bondi, ovviamente! Che si alza e invita i suoi alla rivolta. Cominciano a volare insulti, poi urla: non aspettavano altro. Si ricompongono, siamo in tivù perbacco, e interviene la neo Forza Italia, con una agitatissima senatrice Bernini. La tesi è che si è toccato il fondo nel rapporto fra Parlamento e Magistratura, che, ovvio, ha la lama più tagliente, contro l’unico che ha presieduto ben 3 G8, un fatto che di per sé nulla aggiunge alle note vicende giudiziarie, e soprattutto nulla toglie.
Una difesa commovente, priva di argomenti, con sprazzi di Costituzione, e persino con un apprezzamento ai comunisti di un secolo fa, che loro sì erano garantisti. La ciliegina è la citazione di Brecht. Giù le mani dal Bertoldo. Silvio Silvio, inneggiano i forzitalioti. Ma Silvio non c’è. Li aspetta a Palazzo Grazioli.
Uno Zanda in grandissima forma chiude il dibattito a nome del PD: non si è mai visto che si parli di colpo di stato se si osserva la legge. La crisi dell’Italia è anche crisi civile. La strada maestra è quella dell’osservanza delle leggi e degli alti valori della Repubblica. Perché la verità è questa: chi è condannato in via definitiva non può sedere in Parlamento.
L’ultimo, disperato tentativo di dilazionare, eliminare, non votare é sugli ordini del giorno prima del voto finale: forzaitalia chiede il voto segreto. Non si può.
Dopo uno sfinimento di canti e controcanti l’Aula respinge a maggioranza tutti gli ordini del giorno.
Dunque la Giunta per le elezioni può procedere per la decadenza di Silvio Berlusconi. Sono le sei meno un quarto. Usciamo silenziosi dall’Aula.