I primi 100 giorni del Governo Gentiloni
È la sua indole. Nei primi tre mesi di leadership di governo, Paolo Gentiloni ha puntualmente spento ogni focolaio di enfasi e ogni tentazione all’auto-elogio. Ma alla vigilia di un evento spartiacque come i primi cento giorni del suo esecutivo, il presidente del Consiglio è disposto a a riconoscere la sua soddisfazione: «Era doveroso in questa fase impegnarsi a rassicurare e a dare stabilità. Ma lo abbiamo fatto senza rallentamenti, abbiamo proseguito l’impegno riformatore, prendendo decisioni cruciali in campi importanti: la tutela del risparmio, l’immigrazione, la sicurezza urbana, la povertà, gli interventi per il terremoto».
E davanti alla prospettiva dei prossimi cento giorni, sulla carta assai più complicati dei primi, Paolo «il calmo» (definizione di Romano Prodi), dimostra di crederci: «Avanti tutta con le riforme», dice il presidente del Consiglio, con una prima concessione all’ottimismo della volontà.
E davanti alla prospettiva dei prossimi cento giorni, sulla carta assai più complicati dei primi, Paolo «il calmo» (definizione di Romano Prodi), dimostra di crederci: «Avanti tutta con le riforme», dice il presidente del Consiglio, con una prima concessione all’ottimismo della volontà.
Decisionismo soft
Dopodomani scadono i primi cento giorni di un governo che quando nacque, il 12 dicembre scorso, oltre ad un palese deficit di legittimazione popolare, sembrava dovesse restare sotto tutela. Matteo Renzi ammise di aver «straperso» il referendum, ma - dimettendosi da capo del governo ottenne un esecutivo-fotocopia rispetto al proprio. Eppure, nei suoi primi cento giorni il nuovo governo - senza venir meno alla lealtà verso Renzi - ha assunto una propria fisionomia: disegnata dalle decisioni assunte e dallo stile del suo leader.
Gentiloni non oserebbe mai usare una parola tabù in Italia come decisionismo, che oltretutto evoca una caratteristica attribuita al suo predecessore. Ma è pur vero che nei primi cento giorni il governo ha preso due decisioni che il precedente esecutivo, iper-sensibile al consenso, aveva rimosso: il 23 dicembre il governo - mettendo nel conto le critiche per il «soccorso ai banchieri», vara il decreto salva-risparmio per salvaguardare i correntisti più esposti e le banche a rischio bancarotta. Erano trascorsi appena 9 giorni dalla fiducia in Parlamento e quella decisione fulminea era stata imposta da un imperativo finanziario: non si poteva attendere oltre, dopo i ripetuti rinvii da parte del governo precedente. Il 10 febbraio il Consiglio dei ministri, in questo caso sfidando i detrattori dei Cie, approva le linee guide dei provvedimenti sui migranti voluti dal ministro dell’Interno Marco Minniti.
Il potere di Renzi
E alla stessa categoria - il decisionismo soft e senza proclami - appartiene la più recente decisione “contropelo” di Gentiloni: abolire per decreto voucher e codice appalti in modo da evitare i referendum della Cgil. Una linea fortemente consigliata da Renzi («in vista dei ballottaggi alle amministrative non possiamo rompere con le forze alla nostra sinistra»), ma poi è toccato a Gentiloni fare un decreto legge che - come aveva immaginato - gli ha procurato critiche corali da tutte le associazioni imprenditoriali e artigianali. E proprio il rapporto con Matteo Renzi, per il governo è un punto dolente, che chiama in causa altre due parole-chiave dei cento giorni: lealtà con Renzi, ma anche dipendenza dal segretario del Pd. Il quale, coerente con la sua «dottrina», nei contatti riservati con Gentiloni e con Padoan nelle settimane scorse li ha invitati a vendere cara la pelle con Bruxelles, un atteggiamento che ha finito per irritare il ministro dell’Economia, che ha tenuto per sé il proprio malumore. Ma proprio questo fronte - Gentiloni lo sa bene - è quello destinato a creare in futuro le maggior turbolenze, se è vero che si sta ragionando attorno ad una manovra che in autunno potrebbe toccare quota 25 miliardi.
Un premier rassicurante
Uno scenario pieno di incognite che potrebbe mettere in crisi il sentimento più forte suscitato dal presidente del Consiglio: apparire rassicurante e al tempo stesso rassicurare l’opinione pubblica. Un messaggio evocato in un passaggio chiave nella storia del governo: domenica 5 marzo, il presidente del Consiglio si fa intervistare da Pippo Baudo a Domenica In, il talk show nazionalpopolare. Archiviato lo spettro di elezioni anticipate a giugno, in 47 minuti di intervista, Gentilioni vara la sua «operazione-simpatia», esce dalla dimensione «protetta» dei primi mesi e dimostra di voler affrontare la nuova stagione con un profilo più personale, che lo porta a «sdoganare» la parola chiave: «Se dovessi scegliere un aggettivo per il governo, direi: rassicurante». Evocando quella virtù, indirettamente contrapposta all’ansia trasmessa dal suo predecessore - significa che Paolo Gentiloni non teme più reazioni temperamentali da parte di Matteo Renzi.
I prossimi 200 giorni
Eppure i prossimi duecento giorni potrebbero rivelarsi più complicati dei primi cento. Il perché lo spiega Giorgio Tonini, presidente della Commissione Bilancio del Senato, una delle «teste pensanti» del mondo renziano: «Questo governo ricorda quello di fine legislatura di Amato nel 2000: guida autorevole, manovra un po’ cedevole, rinvio dei nodi più importanti. In assenza di un chiaro mandato popolare ad inizio legislatura, la vittoria di Renzi alle Europee aveva consentito una simulazione di quel mandato. Ma ora siamo tornati al dualismo partito-governo, il potere si sposta sul partito e, come nella Prima Repubblica, i governi mediano... Gentiloni fa un lavoro egregio, equilibrato, saggio, ma persistendo l’assenza di un chiaro mandato popolare, non sarà semplice gestire la fine della legislatura».