Il PD nasce per unire
Il Partito Democratico nasce con un'ambizione politica. Non come operazione tecnica. Non è un assemblaggio, è una nascita.
Nasce per superare le storie diverse del pensiero riformista italiano e i suoi diversi limiti e ritardi. Nasce per superarle non per cancellarle. Nasce perché le ricette storiche non bastavano più. Nasce per combattere la paura del futuro, costruendolo dal basso. Perché il riferimento sociale al quale guardavano le singole componenti originali andava allargato, perché la stagione dell'individualismo e della deregulation andava fermata mettendo di nuovo al centro il cittadino e regole uguali per tutti, per ridare forza all'idea di comunità; nasce per dire che di una sinistra nuova, basata sul miglior risultato del '900, la Democrazia, e di una capacità di tenere insieme libertà d'impresa, crescita economica e giusta ripartizione della ricchezza, c'è un disperato bisogno. Nasce per combattere i conservatorismi, in ogni campo, e per investire su talenti e meriti, analizzando i nuovi bisogni.
Il Pd nasce per aprire le porte, non per chiuderle, senza differenze di censo, a milioni di persone il cui talento, o merito, professionalità, passione non sono bastati per progredire nella scala sociale.
Nasceva anche allora per fermare la destra. La sua idea di mondo e le sue soluzioni. Che ieri Salvini ha sintetizzato così bene in quel “andremo casa per casa”.
Il PD nasce per unire.
Ci siamo riusciti? Non fino in fondo ovviamente.
Nel frattempo il paese e l'Occidente sono cambiati. La crisi ci ha cambiato. Molto più velocemente della nostra capacità di risposta.
La fragilità sociale, la marginalizzazione, l'impoverimento, sono diventate per milioni di persone rabbia assoluta contro chi governa, voglia radicale di cambiamento di tutto, persone, partiti, assetti istituzionali, nazionali e internazionali.
Il paese è cambiato, il mondo è cambiato, nuove e vecchie destre e movimenti politici senza radici nel passato si presentano come la soluzione mentre noi continuiamo a considerarle un pericolo. E noi?
E noi di fronte a tutto questo vogliamo offrire la nostra divisione? C'è una qualche logica che possa validare l'idea che più divisi noi saremo una risposta migliore di fronte al quadro di frammentazione sociale del mondo?
E qualcuno può spiegarmi esattamente quali siano le diversità di fondo sulla risposta ai problemi che abbiamo di fronte? E forse qualcuno può spiegare come sia razionalmente spiegabile che una divergenza sul calendario del congresso possa costituire la fonte di tale volontà di scissione?
Il congresso è il luogo dove esplicitare le idee, confrontarsi, scontrarsi, provare a fare sintesi e infine scegliere il segretario.
E il paese? Dicono Pierluigi Bersani, Emiliano, Rossi e Speranza e gli altri che preannunciano la scissione che prima di tutto c'è il paese, i suoi problemi e le nostre responsabilità.
Non possiamo offrire niente di peggio al paese della nostra divisione, niente di più lontano dall'idea di responsabilità. Niente di più lontano dalle persone. Non da qualche centinaia di dirigenti politici riuniti qui oggi e ieri a Testaccio. Ma dai milioni di persone che ci hanno votato e da quelli che non ci votano più.
La strada della scissione, è la più sbagliata, non perché fa male a molti di noi, nel cuore, non perché è ingiusta nel pensare che qui Matteo Renzi sia l’unico responsabile della crisi complessiva della sinistra, e ci si dimentica delle elezioni del 2013, e ci dimentichiamo della guerra che fu fatta a Walter Veltroni, e ci dimentichiamo delle crisi dei Governi Prodi, e ci si dimentica della crisi dei socialisti spagnoli o di quelli francesi. La via della scissione è la più sbagliata, come risposta alla frammentazione della società e dello scenario politico. Di fronte alla perdita di credibilità dei partiti e delle istituzioni. Di fronte alla distanza che si è creata tra i cittadini e la politica. Una risposta peggiore di questa nostra discussione, mentre l’Europa e il mondo discutono di impoverimento, disoccupazione, ambiente e guerra, non c’è.
Ciascuno faccia la sua parte per impedire questo divorzio, come nelle famiglie, se la si vuole salvare a volte basta un gesto. Matteo Renzi ne ha fatti.
È stato chiesto un congresso, sono state raccolte le firme per un congresso subito. Ed è davanti a noi, se si vuole discutere democraticamente quello è il luogo, abbiamo quasi 100 giorni davanti, se si vuole contendere la segreteria del Partito quello è il metodo. A partire dai nostri circoli fino al vertice.
Mettendo in mezzo una vera convenzione programmatica.
Se invece lo scopo è danneggiare il segretario, impedirgli di essere vincente, azzopparlo, fermarlo, eliminarlo politicamente, ma non da dentro la casa comune, da fuori, allora non c'è soluzione.
Nessuno però qui si arroghi il diritto di essere il custode del tempio, abbiamo anche noi sopravvissuti al nazismo e partigiani nelle nostre famiglie, conosciamo anche noi bene bandiera rossa, l'idea di sinistra non ha proprietari, ma la sinistra non è nostalgia, la sinistra è futuro, progetto, speranza, la nascita del PD fu questo, senza rendite di posizione o diritti di prelazione, una testa un voto e sulla contendibilità diretta della leadership.
Di mezzo qui ci sono anche i sentimenti, il dolore e la speranza, i colori del cuore e la passione. Ma non sarà questo a dividerci; se non si capisce il prezzo che pagherà tutto il popolo democratico quando un pezzo di questa storia deciderà di andarsene, allora metteremo da parte i sentimenti, e ce ne faremo una ragione politica, perché sarà stata presa una decisione politica, da parte di chi se ne andrà, non sono sicuro se consapevoli del prezzo che pagheranno tutto il Paese e la nostra storia.
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