Sanità lombarda: la riforma arranca
Articolo pubblicato su Arcipelago Milano.
A Milano c’è una seria difficoltà a prenotare la vaccinazione contro il meningococco B, che la giunta ha deciso, prendendo già di per sé una misura poco efficace, può essere richiesto, sia pure in copagamento da tutti. Questo perché, contrariamente a quanto accade nelle altre aree della regione, non è stato attivato un numero dedicato ma è stato indicato come riferimento il numero verde usato per tutte le altre prenotazioni con il risultato di rendere difficilissimo il contatto.
È questo solo l’ultimo, in ordine di tempo, dei problemi generati dalla riorganizzazione della riforma della sanità, approvata un anno e mezzo fa.
Nel caso specifico la difficoltà nell’accesso alla vaccinazione contro il meningocco B nell’area metropolitana è dovuta al fatto che i servizi territoriali sono passati dalla gestione dell’Ats (Agenzia Tutela Salute) alle Asst (Aziende Socio Sanitarie Territoriali) solo da questo gennaio e quindi non sono ancora a regime.
Una riforma sanitaria incompiuta, dunque, incapace di assecondare l’ambizione da cui era partita, ossia affrontare i mutamenti della società e porre rimedio alle diseconomie del sistema. La legge affronta solo la governance e non porta a termine l’integrazione fra servizi sanitari e sociosanitari, mantenendo la duplicazione fra Ats e Asst. I veri contenuti sono stati trattati in momenti successivi; lo scorso giugno è stata affrontato il tema della salute mentale, che grazie al lavoro emendativo del Pd, ha portato a significative novità nel sostegno ai minori autistici (16 mila in Lombardia). Anche in questo caso però non sono stati valorizzati i servizi territoriali, essenziali soprattutto per le nuove e diverse fragilità.
In Commissione è ancora in fase di valutazione la parte della legge relativa a temi strategici, come la prevenzione e si attende ancora per quest’anno la quarta parte inerente, fra l’altro, i rapporti con l’università. Il dicembre scorso è stata approvata la delibera delle regole ma anche in questo caso la scelta è stata minimalista. Ci si è limitati a prendere atto della riorganizzazione ma non si sono date indicazioni ai direttori generali sull’integrazione fra sistema sanitario e sociale.
Lo stesso minimalismo caratterizza il bilancio approvato a fine dicembre, che non ha ancora recepito i due milioni di risorse aggiuntive che derivano dalla ripartizione del fondo sanitario nazionale e i nuovi Livelli essenziali di assistenza. Con queste risorse la Regione avrebbe potuto estendere l’esenzione dei ticket ai redditi sotto i 30 mila euro e introdurre la progressività a partire da quella soglia, così come votato da tutti, su richiesta del Pd, in Consiglio nell’agosto 2015, in occasione dell’approvazione della riforma sanitaria, anziché limitarsi ad abbassarli dai 30 ai 15 euro solo per alcuni esami clinici. L’ennesimo proposito disatteso. La Lombardia resta, tra le Regioni con i conti in pareggio, quella con i ticket meno equi.
La legge arranca dunque. Tanto che non sono ancora stati approvati i Poas, i piani organizzativi aziendali, che avrebbero dovuto essere licenziati dalla giunta entro la fine del 2016. Allo stesso modo il Progetto Milano, valutato dal tavolo costituito da tutti i direttori generali delle aziende sanitarie, che, come indicato nella legge, prevede una particolare organizzazione dei servizi della città, non è ancora stato discusso e condiviso né con il Comune, né con la Commissione regionale sanità, come invece stabilisce la legge.
Una riforma mancata, insomma, anche se gli elementi di innovazione, grazie al contributo delle minoranze, non mancano a partire dall’istituzione dell’Agenzia di controllo, nominata dai gruppi di opposizione, che potrà verificare l’appropriatezza delle cure. Novità anche per le nomine, che non sono più a discrezione della Giunta ma individuate all’interno di una short list selezionata da una commissione indipendente con criteri di merito. La nuova norma prevede anche che i manager siano valutati per l’efficienza e la qualità dei servizi e non solo per il rispetto del budget di spesa. Positiva anche la drastica riduzione delle funzioni non tariffate, la cosiddetta legge Daccò, alla base di molti degli scandali degli anni scorsi. Così come la reintroduzione dell’Osservatorio epidemiologico, che però a oggi non è ancora a regime.
Qualcosa è cambiato ma la piena attuazione è lontana. I servizi territoriali, rispetto alla rete ospedaliera restano la Cenerentola. Un effetto visibile del loro mancato aumento, in questo caso per il rallentamento nella realizzazione dei Pot (Presidi Ospedalieri Territoriali) e dei Presst (Presidi Socio Sanitari Territoriali), è che i cittadini continuano a rivolgersi al Pronto soccorso come è accaduto proprio in questo periodo di picco delle sindromi influenzali. Secondo un’analisi sollecitata dal gruppo regionale del Pd i codici bianchi e verdi, non sono diminuiti: negli ospedali del Milanese, nel primo trimestre del 2016, la loro incidenza è stata ancora dell’89,65%. Confrontando i dati dei primi mesi del 2016 con quelli del 2015 si riscontra addirittura un lieve aumento (+2,76%) del ricorso al pronto soccorso.
A Milano c’è una seria difficoltà a prenotare la vaccinazione contro il meningococco B, che la giunta ha deciso, prendendo già di per sé una misura poco efficace, può essere richiesto, sia pure in copagamento da tutti. Questo perché, contrariamente a quanto accade nelle altre aree della regione, non è stato attivato un numero dedicato ma è stato indicato come riferimento il numero verde usato per tutte le altre prenotazioni con il risultato di rendere difficilissimo il contatto.
È questo solo l’ultimo, in ordine di tempo, dei problemi generati dalla riorganizzazione della riforma della sanità, approvata un anno e mezzo fa.
Nel caso specifico la difficoltà nell’accesso alla vaccinazione contro il meningocco B nell’area metropolitana è dovuta al fatto che i servizi territoriali sono passati dalla gestione dell’Ats (Agenzia Tutela Salute) alle Asst (Aziende Socio Sanitarie Territoriali) solo da questo gennaio e quindi non sono ancora a regime.
Una riforma sanitaria incompiuta, dunque, incapace di assecondare l’ambizione da cui era partita, ossia affrontare i mutamenti della società e porre rimedio alle diseconomie del sistema. La legge affronta solo la governance e non porta a termine l’integrazione fra servizi sanitari e sociosanitari, mantenendo la duplicazione fra Ats e Asst. I veri contenuti sono stati trattati in momenti successivi; lo scorso giugno è stata affrontato il tema della salute mentale, che grazie al lavoro emendativo del Pd, ha portato a significative novità nel sostegno ai minori autistici (16 mila in Lombardia). Anche in questo caso però non sono stati valorizzati i servizi territoriali, essenziali soprattutto per le nuove e diverse fragilità.
In Commissione è ancora in fase di valutazione la parte della legge relativa a temi strategici, come la prevenzione e si attende ancora per quest’anno la quarta parte inerente, fra l’altro, i rapporti con l’università. Il dicembre scorso è stata approvata la delibera delle regole ma anche in questo caso la scelta è stata minimalista. Ci si è limitati a prendere atto della riorganizzazione ma non si sono date indicazioni ai direttori generali sull’integrazione fra sistema sanitario e sociale.
Lo stesso minimalismo caratterizza il bilancio approvato a fine dicembre, che non ha ancora recepito i due milioni di risorse aggiuntive che derivano dalla ripartizione del fondo sanitario nazionale e i nuovi Livelli essenziali di assistenza. Con queste risorse la Regione avrebbe potuto estendere l’esenzione dei ticket ai redditi sotto i 30 mila euro e introdurre la progressività a partire da quella soglia, così come votato da tutti, su richiesta del Pd, in Consiglio nell’agosto 2015, in occasione dell’approvazione della riforma sanitaria, anziché limitarsi ad abbassarli dai 30 ai 15 euro solo per alcuni esami clinici. L’ennesimo proposito disatteso. La Lombardia resta, tra le Regioni con i conti in pareggio, quella con i ticket meno equi.
La legge arranca dunque. Tanto che non sono ancora stati approvati i Poas, i piani organizzativi aziendali, che avrebbero dovuto essere licenziati dalla giunta entro la fine del 2016. Allo stesso modo il Progetto Milano, valutato dal tavolo costituito da tutti i direttori generali delle aziende sanitarie, che, come indicato nella legge, prevede una particolare organizzazione dei servizi della città, non è ancora stato discusso e condiviso né con il Comune, né con la Commissione regionale sanità, come invece stabilisce la legge.
Una riforma mancata, insomma, anche se gli elementi di innovazione, grazie al contributo delle minoranze, non mancano a partire dall’istituzione dell’Agenzia di controllo, nominata dai gruppi di opposizione, che potrà verificare l’appropriatezza delle cure. Novità anche per le nomine, che non sono più a discrezione della Giunta ma individuate all’interno di una short list selezionata da una commissione indipendente con criteri di merito. La nuova norma prevede anche che i manager siano valutati per l’efficienza e la qualità dei servizi e non solo per il rispetto del budget di spesa. Positiva anche la drastica riduzione delle funzioni non tariffate, la cosiddetta legge Daccò, alla base di molti degli scandali degli anni scorsi. Così come la reintroduzione dell’Osservatorio epidemiologico, che però a oggi non è ancora a regime.
Qualcosa è cambiato ma la piena attuazione è lontana. I servizi territoriali, rispetto alla rete ospedaliera restano la Cenerentola. Un effetto visibile del loro mancato aumento, in questo caso per il rallentamento nella realizzazione dei Pot (Presidi Ospedalieri Territoriali) e dei Presst (Presidi Socio Sanitari Territoriali), è che i cittadini continuano a rivolgersi al Pronto soccorso come è accaduto proprio in questo periodo di picco delle sindromi influenzali. Secondo un’analisi sollecitata dal gruppo regionale del Pd i codici bianchi e verdi, non sono diminuiti: negli ospedali del Milanese, nel primo trimestre del 2016, la loro incidenza è stata ancora dell’89,65%. Confrontando i dati dei primi mesi del 2016 con quelli del 2015 si riscontra addirittura un lieve aumento (+2,76%) del ricorso al pronto soccorso.
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