Italia e PD: prospettive dopo il referendum
Al Referendum Costituzionale abbiamo subito una sconfitta pesante, che Renzi non ha nascosto, come si è potuto sentire dal discorso fatto in Assemblea Nazionale.
La Riforma Costituzionale, oggetto del referendum, è stata il senso e l’obiettivo di questa legislatura.
Questa legislatura e il precedente Governo si erano formati attorno all’idea di fare una Riforma Costituzionale perché l’Italia ne aveva bisogno, così come c’era bisogno di riscrivere un patto tra i cittadini e la politica perché era in crisi la credibilità delle istituzioni ed erano già arrivati molti segnali in tal senso.
Paradossalmente, abbiamo perso il referendum proprio per questa ragione, nel senso che credo che uno dei dati che va a comporre il 60% dei No riguarda persone che hanno votato sull’onda di una spinta che non è né di destra né di sinistra ma di protesta anti-istituzionale, molto simile a quella che ha portato alla vittoria di Trump negli Stati Uniti o della Brexit e che temo potrà portare a risultati positivi anche la Le Pen in Francia. Questo perché oggi, di fronte alla crisi e alle diseguaglianze che si sono formate, la risposta è lo scaricare la rabbia contro le istituzioni. Il PD, in questi anni, ha rappresentato le istituzioni e questo ha influito.
Questo non è stato l’unico aspetto ma ha contribuito a caratterizzare il voto.
Visto il quesito referendario, ovviamente, questa situazione è un po’ paradossale, tanto che già il giorno successivo al referendum c’erano sostenitori del No che sui social network affermavano che ora si sarebbe potuto lavorare per ridurre il numero dei parlamentari e abbassare i costi della politica, perché il punto era che non credevano alla proposta fatta dal PD in merito a quelle questioni, non credevano alle istituzioni e non credevano al Governo.
Il clima di sfiducia è stato alimentato ad arte perché per un’intera settimana a ridosso del referendum si è discusso dei possibili brogli sul voto degli italiani all’estero e poi, in sede referendaria, c’è stata la polemica sulle matite copiative.
Tutto ciò ha alimentato il clima di sfiducia verso le istituzioni per cui chi governa non appare più credibile. Inoltre, quello del referendum è stato anche voto molto politico. La spinta anti-istituzionale si è saldata con una critica al Governo che non ha saputo intervenire sulle diseguaglianze.
Personalmente, penso che il Governo Renzi abbia fatto moltissime cose e quei mille giorni non vadano dimenticati e dovremo raccontare quanto abbiano inciso sulla vita di tante persone i provvedimenti e le riforme portate avanti.
Credo che dovremo anche continuare a raccontare quanto sia importante il fatto che abbiamo cambiato in meglio i dati economici e occupazionali.
Il problema è che probabilmente si è creato un cortocircuito tra una voglia di raccontare questa Italia che ripartiva e otteneva risultati e la vita concreta di una parte di questo Paese che non si ritrovava in quel racconto e, anzi, di fronte a quel racconto si arrabbiava e vedeva rappresentate proprio le diseguaglianze che ci sono nella nostra società.
Questo è un dato su cui dovremo riflettere nei prossimi mesi.
Non tutto, infatti, si spiega dentro le dinamiche delle tradizionali contrapposizioni tra destra e sinistra. Oggi c’è uno scontro tra forze anti-istituzionali che spingono contro (e non importa se siano più a destra o a sinistra) e forze riformiste, e questo è un tema su cui dovremo riflettere perché recuperare su questo terreno non è semplice.
Così come non sarà semplice recuperare credibilità rispetto alla lotta alle diseguaglianze perché i tempi in cui possiamo rispondere ai problemi aperti dalle diseguaglianze ai disoccupati fino alle famiglie che sono sulla soglia di povertà, non sono rapidi.
Un’altra cosa che rivela l’esito del referendum riguarda la politica. Avevamo dato per morte alcune forze, invece, i partiti della destra sono ancora capaci di mobilitare le persone in maniera significativa. Lo stesso Silvio Berlusconi, che consideravamo politicamente morto, in realtà ogni volta che parla riesce a mobilitare una parte importante dell’elettorato.
Questo è il quadro che è uscito dalle urne.
Alla luce di questo, occorre prendere atto che abbiamo bisogno di un partito che non rinunci a rivendicare questi tre anni di Governo, perché sono state fatte cose importanti, e che non abbandoni la scelta di fare riforme, mettendo in discussione privilegi e rendite di posizione, perché l’Italia ne ha bisogno.
E poi serve avere la capacità e la forza per proseguire su questa strada, sapendo che la fase è cambiata.
In Assemblea Nazionale, Renzi ha proposto il Mattarellum perché ha in sé ancora un principio maggioritario che vogliamo difendere (mentre tutto il resto del panorama politico spinge verso il sistema proporzionale), perché prevede i collegi, che a mio avviso è utile ricominciare a valorizzare perché il tema delle preferenze è molto problematico (in particolar modo al Sud).
Inoltre, in questo modo, iniziamo ad avanzare una proposta e poi starà agli altri esprimersi. Al momento, si sono mostrati contrari Forza Italia e Movimento Cinque Stelle, quindi, probabilmente non sarà la nostra proposta anche il punto di arrivo, però, abbiamo indicato una strada.
Non rinunciamo, dunque, al maggioritario e ad alcune battaglie, sapendo, però, che quell’idea di stabilità secondo cui il giorno successivo alle elezioni si sa con certezza chi ha vinto e chi governa ha fatto dei passi indietro.
Resta il bicameralismo paritario che, come abbiamo spiegato per tutta la campagna referendaria, dal punto di vista della stabilità dei Governi è un problema.
Dovremo, quindi, riaprire una riflessione generale. L’idea del partito a vocazione maggioritaria, ad esempio, è ancora forte ma non può essere interpretata come l’autosufficienza, per cui dovremo ricostruire un ragionamento sulle alleanze.
In questo senso, il “modello Milano” può essere un punto di riferimento anche a livello nazionale.
La discussione su ciò deve avvenire da subito e coinvolgere tutto il partito ma abbiamo, giustamente, deciso di non fare il congresso adesso.
Va chiarito che era impensabile l’ipotesi di andare al voto a febbraio, intanto perché era opportuno attendere almeno l’esito dell’esame dell’Italicum da parte della Consulta. Inoltre, vi è la necessità di armonizzare le leggi elettorali di Camera e Senato, nel tentativo di avvicinarci il più possibile all’obiettivo di garantire governabilità e avere una stessa maggioranza in entrambi i rami del Parlamento.
Il Governo Gentiloni ha, quindi, questa funzione, unitamente all’affrontare i temi dell’oggi (risolvere la crisi bancaria, la ricostruzione post-terremoto, gli impegni internazionali).
Il voto sarà sicuramente prima dell’estate, raccogliendo anche la sollecitazione arrivata dai cittadini con il No al Referendum Costituzionale.
Si deve tornare al voto senza alcuna paura, anche perché continuiamo ad essere l’unica forza politica che ha ancora un consenso e un radicamento molto grande. Restiamo ancora il perno attorno a cui ruota la politica italiana.
Ovviamente, questo non è sufficiente: dobbiamo reimmergerci nella società e ricominciare a stare nelle periferie non solo con la presenza (anche perché in molti luoghi ci siamo già) ma anche con la testa.
Questa, a mio avviso, è la priorità e viene prima rispetto al fare un congresso che, oltretutto, diventerebbe un regolamento di conti interno, in cui si parlerebbe di noi solo per le liti dell’uno contro l’altro anziché parlare all’Italia della proposta politica per il Paese e i cittadini.
Il congresso lo faremo alla naturale scadenza, in ogni caso, ci occuperemo ugualmente anche del partito, tanto che è già stata convocata una riunione dei segretari provinciali e regionali per costruire un percorso programmatico-organizzativo.
Dobbiamo, quindi, prendere atto di una sconfitta; dobbiamo saperne guardare le ragioni e anche le conseguenze, cioè cosa significa non aver fatto la Riforma Costituzionale e quale sistema politico sarà possibile costruire, sapendo che quel tipo di riforme per un lungo periodo non si faranno più.
Adesso, dunque, dobbiamo fare un ragionamento serio, mettendo al centro il tema delle diseguaglianze che, nonostante gli sforzi fatti in questi anni, si sono allargate (come si stano allargando in tutto il mondo).
Dobbiamo, quindi, ritornare a mostrare che la nostra priorità è essere dove ci sono le persone che soffrono le diseguaglianze e cercare di chiudere la forbice tra ricchi e poveri di questo Paese.
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