Milano apre le porte
Una città internazionale che guarda alla Germania per la gestione degli immigrati e a Londra per il business. Questa è la Milano che ha in mente Beppe Sala, da sei mesi sindaco di una città che sembra non avere più rivali. Seduto a una grande scrivania quadrata, portata dal suo ufficio di Expo e funzionale al lavoro di squadra, Sala si muove agilmente tra palmari e tablet e un computer a doppio schermo. Un milanese primus inter pares tra milanesi indaffarati.
Sala, ha visto cosa è accaduto a Gorino?
“Ciò che è successo a Gorino è una brutta pagina per il nostro Paese. Poi io mi posso anche sforzare capire la gente che magari non viene informata a dovere e a volte viene solleticata dalla politica peggiore, ma certe cose rimangono incomprensibili”.
Perché a Milano non ci sono mai state barricate contro gli stranieri?
“Perché noi li consideriamo una potenziale risorsa. Accogliamo gli stranieri, che siano immigrati o rifugiati, studenti o manager. E’ una vocazione che fa grande questa città, qui si respira un senso di integrazione e tolleranza che sono antiche tradizioni di Milano: bisogna far rispettare le regole ma essere aperti e tolleranti è sempre un vantaggio. Non si può parlare di immigrati quando danno fastidio e di cittadini esteri quando fa comodo. Sono due facce della stessa medaglia. Bisogna accettarle entrambe”.
Si fa in fretta a parlare di accoglienza quando però non li hai sotto casa…
“E allora guardiamo i numeri: Milano attualmente ospita 3.700 migranti, proporzionalmente ne abbiamo più di chiunque altro. Se la media della percentuale di migranti in Italia è dell’8/9 per cento per numero di abitanti, a Milano siamo al 18 per cento”.
Una risorsa o un problema?
“Possono diventare una risorsa se vengono messe in atto misure che facilitino la loro integrazione. Oggi i migranti vengono scaricati ai comuni ma a monte manca un piano preciso. Noi guardiamo alla Germania dove fanno sì che imparino la lingua e gli danno un lavoro, a cifre non alte. Dopodiché li verificano: se funzionano e vedono che hanno trasformato i diritti in doveri, li tengono, sennò se ne devono andare”.
Mentre da noi non se ne va nessuno…
“Ma chi se ne deve andare? Tecnicamente chi non ha diritto ad avere lo status di rifugiato. Ricordiamoci che a volte il nostro iper garantismo, diventa un ostacolo. Ci vogliono tre gradi di giudizio per decidere se uno deve andarsene, anche se non ha requisiti per restare. Alla fine passano due o tre anni per chiudere una pratica. E questo non va bene”.
Dopo la Brexit , lei ha chiesto che l’agenzia internazionale del farmaco si trasferisse in città. Ma davvero Milano può aspirare a diventare come Londra?
“Certo, non nascondo che è un modello che mi piace, ma, appunto, anche lì il segreto è nell’integrazione. È appena il caso di ricordare che l’attuale primo cittadino della capitale inglese, Sadiq Khan, è di origini pachistane e musulmano. Qui noi abbiamo 70 mila musulmani che vivono e lavorano e la più importante comunità cinese italiana. Non a caso in consiglio comunale già siede, nelle file Pd, una cittadina musulmana. Comunque tornerò a Londra settimana prossima. C’è un’idea che vorrei studiare”.
Quale?
“Lavorano sulla promozione della città attraverso una società pubblico-privata, la London and partners, che fa tre cose: promuove turismo, Università e attrazione degli investimenti. Potrebbe essere il cuore anche della promozione di Milano”.
Ultimamente Milano viaggia col turbo: qual è il segreto?
“La sua vocazione internazionale, l’ho detto. A Milano ci sono circa 250 mila studenti universitari, di cui l’11 per cento stranieri e tre su quattro extra europei: sono un’enorme opportunità. Sto puntando a mettere Milano nel circuito delle città che contano nel mondo. Già facciamo parte del C40, il pool delle città più importanti che si incontreranno presto a Città del Messico. L’ambasciatrice palestinese mi ha invitato alla basilica della natività di Betlemme la notte di Natale e ci andrò. Sono modi per promuovere la Milano internazionale. È questo il senso politico che intendo dare al mio mandato”.
Ma con chi si vuole confrontare Milano? Con Roma, Torino?
“Guardi Milano vuole fare concorrenza ad altre città straniere. Il milanese ragiona così: o vivo a Milano oppure mi trasferisco all’estero. Qui non è che tassisti, commercianti e ristoratori possono vivere solo dei consumi dei milanesi. Dobbiamo attrarre turismo, trovare nuovi modelli di business…”.
Milano-Torino: fratelli coltelli?
“No, no. A parte i buoni rapporti che ho con Chiara Appendino, io credo che partendo da MiTo queste due città non possano che collaborare. Vorrei che lavorassimo insieme per esempio sulla promozione e il turismo”.
Intanto però vi siete portati via il Salone del Libro…
“Al di là che si è trattato di un’iniziativa degli editori e non dell’Amministrazione, la verità è che il costo del Salone a Milano era decisamente inferiore rispetto al Lingotto ed è un dato che non si può ignorare”.
Lei riceverà il 2 novembre da Parigi la Legion d’Onore, motivo?
“Un riconoscimento per il lavoro svolto in Expo che voglio condividere con tutta la città”.
Che effetto le fa scoprire adesso che alcune società erano infiltrate dalla criminalità mafiosa?
“Quella delle infiltrazioni mafiose purtroppo è una realtà del Nord, inutile nasconderlo. Ma tutto ciò non inficia un grande evento come Expo a cui le imprese italiane hanno dato grande contributo. Le procure hanno acceso i loro fari, prima durante e dopo, come si vede dalle ultime iniziative”.