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L'Europa in crisi si affida alla leadership gallica

Written by Patrizia Toia.

Patrizia Toia L’eurodeputata Patrizia Toia intervistata da Conquiste del Lavoro: i possibili sviluppi della politica europea e il ruolo dell’Italia nella Ue.

L’Europa vive un momento assai delicato della propria storia.
Dall’attuale situazione di crisi può scaturire una definitiva paralisi del processo di unificazione o, viceversa, una nuova e più efficace prospettiva unitaria. Chiediamo all’eurodeputata Patrizia Toia, vicepresidente del gruppo dell’Alleanza di socialisti e democratici al parlamento europeo, un giudizio sui possibili sviluppi della politica europea e del ruolo in essa giocato dall’Italia.
La crisi economica e finanziaria che attraversa l’Europa ha acuito molti problemi, destabilizzando non poco gli assetti europei. Qual è l’atteggiamento italiano rispetto all’Europa di oggi? E quale il ruolo che il governo Letta può effettivamente svolgere?
Io penso che l’Italia abbia assolutamente bisogno dell’Europa, ma altrettanto fermamente credo che l’Europa abbia bisogno dell’Italia. Mi spiego: l’Italia ha bisogno dell’Europa nel senso che non c’è futuro per noi se non nella prospettiva di una maggiore unità e sovranità europea; ma anche l’Europa ha bisogno di noi nel senso che il ruolo che l’Italia può giocare, all’interno del consesso comunitario, è assolutamente strategico. Siamo un paese che può unire gli altri stati membri, smussando le differenze e trovando punti di contatto, come è stato fatto sul tema del lavoro. Questo significa essere capaci di giocare da italiani una leadership europea. Il presidente del consiglio Letta da subito ha dato un orizzonte europeo alla sua attività di governo, e sta esercitando un ruolo di leadership nel consiglio europeo, cercando di dare un indirizzo diverso all’Europa. Così è stato nell’ultimo consiglio di fine giugno, per il quale Letta ha “dettato l’agenda”, ponendo il tema dei giovani e creando una piattaforma comune con Francia, Spagna e Germania, che si è dimostrata vincente. Letta è stato fin da subito esigente con l’Europa, sottolineando che se non risponde ai problemi dei suoi cittadini, allora sarà essa stessa responsabile dell’antieuropeismo che cresce, soprattutto nei Paesi che più hanno pagato, in termini sociali, le misure dell’austerità.
In effetti, larga parte dell’opinione pubblica europea vede l’Europa come un problema, come un soggetto di cui diffidare, a cui non si riconosce né una capacità rappresentativa né un’autentica autorità. Si parla da anni di un “difetto democratico”, di un mancato o troppo scarso coinvolgimento dei cittadini europei nei processi decisionali, nella vita delle istituzioni della comunità europea. Lei ritiene che in questo momento possa essere efficace una maggiore democratizzazione dell’Europa? O rappresenterebbe un rischio troppo grande, viste le spinte disgregatrici che la attraversano?
Più democrazia in Europa è indispensabile. Ci vuole più democrazia perché occorre un’Europa più forte e con più sovranità. Se si fatica a uscire dalla crisi e non si governa l’euro con forza non è colpa dell’Europa, ma semmai è colpa di un’Europa che non ha il potere di fare le scelte necessarie. La costruzione dell’Europa si è fermata prima di darsi i "poteri" necessari: un presidente più forte, un ministro del tesoro unico, una banca con poteri anche di emissione di moneta, una serie di competenze alla commissione europea e al parlamento. E’ vero, c’è un vuoto politico e democratico, un deficit di rappresentanza dei cittadini, ed è questo che ha creato una pericolosa frattura. Io penso che la soluzione sia quella di andare con decisione verso gli "Stati Uniti d'Europa" raccogliendo anche la recente disponibilità di Hollande che ha parlato di Europa federale. Una revisione dei trattati esistenti é d'obbligo, anche per una riconsiderazione generale delle istituzioni, dei poteri e, per una decisione, una volta per tutte, tra l'Europa intergovernativa e l'Europa federale. Occorrerà però "imbarcare i cittadini" come ha detto con una bella frase Hollande, perché non si farà una nuova unità politica contro o senza i cittadini.
La prima elezione del parlamento europeo nel 1979 rappresentò un momento di svolta importante. Nonostante un progressivo accrescimento dei propri poteri, il parlamento appare però ancora oggi un soggetto debole rispetto alle altre istituzioni. Lei pensa che esso possa essere il potenziale “motore” di una nuova fase dell’integrazione?
Io penso di sì. Le elezioni del 2014 possono essere l'occasione per preparare una mobilitazione attorno alle scelte europee e l'occasione per "votare", con l'europarlamento, anche il presidente dell'Europa da parte dei cittadini, con una serie di proposte per fare del prossimo parlamento un "parlamento costituente". Il parlamento già molte volte si è mostrato più lungimirante del consiglio e della commissione, sia sui singoli provvedimenti, che nelle battaglie, come quella sulla tassa sulle transazioni finanziarie, dove in gioco c’era l’identità stessa dell’Europa.
Tra le proposte miranti allo sviluppo della partecipazione democratica vi è anche quella di svolgere contestualmente le elezioni europee nei diversi paesi membri. Quale apporto potrebbe dare questa misura in chiave di europeizzazione dei popoli?
Proprio così, il parlamento infatti ha chiesto che in tutti gli stati si svolgano le elezioni europee tra il 22 e il 25 maggio 2014. Saranno le prime dopo il trattato di Lisbona, che accresce i poteri del parlamento europeo, compreso il suo ruolo nell'elezione del presidente della commissione, e rappresenteranno quindi un'occasione fondamentale per aumentare la trasparenza e rafforzare la dimensione europea di questo momento. Noi abbiamo anche chiesto che i partiti politici europei nominino i rispettivi candidati alla presidenza della commissione con sufficiente anticipo rispetto alle elezioni in modo da consentire l’organizzazione di una campagna significativa su scala europea che si concentri su questioni europee basate sul programma del partito e del candidato alla presidenza della commissione proposto. Sarà un passo avanti per superare la chiave nazionale e fare delle elezioni del 2014 un momento di europeizzazione. Per far fronte alle forze di disgregazione dell’unità europea, sarebbe probabilmente necessario un rafforzamento dei soggetti partitici, di quelle forze capaci cioè di aggregarsi attorno ad una comune cultura politica e di portare nelle istituzioni europee una visione condivisa della realtà. Tuttavia, gli stessi partiti sono diventati uno strumento in crisi, con difetto di rappresentanza e una posizione di marginalità. Animare una democrazia europea, cioè far vivere una vita democratica all'Europa é responsabilità di tutti, ma anzitutto dei partiti. Per questo é da guardare con molto apprezzamento il lavoro di alcune forse (in particolare mi sia permesso di citare il centro sinistra, a partire dal Pd italiano) che stanno creando reti e piattaforme per arrivare a un vero e proprio "soggetto politico europeo" che agisca con piena forza, rappresentatività ed efficacia sulla scena europea. Questo richiederà ai partiti, sia nazionali, che ai futuri partiti europei, un grande sforzo di “svecchiamento” rispetto alle famiglie tradizionali, create più che altro sull’esigenza di grandi dimensioni che sull’affinamento della piattaforma programmatica. Questo sforzo sarà utile anche per superare la crisi attuale dei partiti e dovrà guardare al futuro per contenuti (per affrontare le nuove sfide mondiali) e forme di aggregazione transnazionale.
 
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