Noi e il tempo delle delusioni
Articolo pubblicato da Il Giorno.
Se la politica è l'arte di tenere in equilibrio la vita dei popoli, mediando fra le istanze delle diverse classi e parti sociali, e commisurando le risorse ai bisogni secondo determinati ordini di priorità, il ceto medio, proprio perché sta nel mezzo della società, occupando una posizione intermedia nella distribuzione della ricchezza, del potere e del prestigio, in democrazia, è fondamentale per l’equilibrio della comunità.
Bankitalia calcola che, fatto 100 il reddito medio dei lavoratori nel 2004 (quello di un operaio era pari a 82, quello di un impiegato 106, quello di un dirigente 184), nel 2012 il primo è sceso a 79, gli altri due sono saliti rispettivamente a 107 a 196. Il risultato? Se nel 2006 il 60% degli italiani dichiarava di far parte del ceto medio, ora vi si identifica solo il 41%.
La fascia di mezzo, quella dell’aurea mediocritas, di oraziana memoria, che garantiva relativo benessere, ragionevole tranquillità nel presente e nel futuro, si sta trasformando in ciò che i sociologi definiscono un “luogo sociale del rischio”; dove domina il panico di arretrare ancora e finire nel gruppo di chi non ha certezze lavorative e non può contare su prospettive migliori perché l’ascensore sociale si è fermato al piano.
Paure diffuse in tutto il mondo occidentale. Gli esiti, nello scenario peggiore, potrebbero essere simili a quello causato dalla reazione delle classi medie europee alla crisi degli anni Trenta del secolo scorso: l’ascesa dei totalitarismi. O, nello scenario migliore, al rafforzamento degli estremismi in prevalenza di destra, ma anche di sinistra. Come hanno confermato anche le recenti scelte elettorali delle amministrative in casa nostra, e in Usa e in Europa, la deflagrazione dei cosiddetti “populismi” e dei loro leader.
Vani i tentativi ultraventennali dei governi di indurre alla fiducia e all’ottimismo. L'insicurezza è cresciuta in misura particolarmente intensa soprattutto negli ultimi anni, addirittura di 7 punti dal 2015. Due italiani su tre ritengono, infatti, che sia inutile fare progetti perché il futuro è incerto e carico di rischi. Non per questo viviamo tempi di ribellione come in Francia. Semmai, di delusione.