I costi alti delle Regioni
Articolo pubblicato da Il Giorno.
Un dipendente regionale su tre è di troppo. Ne basterebbero 54.000 invece di 78.000, con un risparmio di 2 miliardi e mezzo di euro. Quando le Regioni vennero istituite nel 1970 gli obiettivi dichiarati erano: lontani da Roma minore burocrazia, decentramento per rispondere meglio alle esigenze locali, maggiore efficienza e trasparenza. Con pochissime lodevoli eccezioni si assiste al loro sostanziale fallimento istituzionale e politico. La stessa Lombardia che vanta il 23% del personale in meno della media nazionale pagato il 6% in meno ed eroga servizi mediamente superiori, sovente conquista le prime pagine per le vicende giudiziarie.
Pesa in particolare sul cittadino la spesa pubblica di molte Regioni (cui si aggiungono enti territoriali quali Province, Comuni, Comunità Montane, Consorzi di Bonifica e Industriali ecc.) che comprende il mantenimento di sedi distaccate a Roma, a Bruxelles ed in altre importanti città del mondo quasi fossero altrettante ambasciate, cui l’istituzione fa fronte anche imponendo crescenti addizionali delle imposte sul reddito. La spesa regionale ammonta a 232 miliardi secondo l’ultimo dato a disposizione, mentre il passivo ascende a 63 miliardi; mille euro per ogni italiano. Ed il Lazio, con metà della popolazione della Lombardia, spende 10 miliardi in più: 40 contro 30.
La spesa regionale è in buona parte dovuta alle nuove competenze, in particolare sanità, assistenza sociale e trasporti. Ma non solo.
Senza dire del fatto opinabile che il contribuente paghi due tributi, l’uno con aliquota nazionale, l’altro con aliquota regionale, va osservato che il risultato è spesso negativo. Lo si vede nella Sanità che costringe ad emigrare molte migliaia di malati da talune regioni ad altre meglio dotate per strutture e per qualificazione del personale.
Per non parlare degli sprechi: è nota la storia – purtroppo vera - della siringa che in una regione del Sud Italia costa tre volte più che al Nord.
Mentre l’emergenza abitativa è triplicata, passando da 650.000 a oltre 1,7 milioni di famiglie in difficoltà da quando di casa se ne occupano le Regioni.
Ma ci sono altre negatività. Prendiamo il turismo, la principale “industria invisibile” del Paese. Sul settore l’Italia che per arte, paesaggi, cultura, monumenti, enogastronomia non ha pari al mondo, perde colpi rispetto ad altri Paesi meno qualificati. Perché la promozione del turismo è compito delle Regioni le quali, invece di coordinarsi in un’unica offerta nazionale, si fanno all’estero concorrenza l’una con l’altra. Attraverso le “ambasciate” di cui sopra.