Tra il dire ed il fare
Il viale alberato annegava nella nebbia, Terry stava facendo la sua passeggiata serale. Giocava con gli altri cani del quartiere: si rincorrevano, si annusavano, si mordicchiavano.
Giulio, nel frattempo, camminava a testa bassa con lo sguardo fisso sul cellulare. Si stava aggiornando sulle evoluzioni dell’ennesima petizione digitale a cui aveva partecipato. Un attimo prima aveva finito di seguire le polemiche che lui stesso stava alimentando da giorni su facebook, relativamente ad alcune questioni del quartiere.
Giulio era attentissimo a non lasciarsi scappare i post che venivano pubblicati sulla pagina facebook del partito politico a lui avverso: era sempre pronto a scatenare la polemica, ad attaccare. Criticare e provare a distruggere i suoi “nemici” virtuali lo faceva stare bene; si sfogava, insomma.
Maggiore soddisfazione provava usando Twitter; lì poteva insultare liberamente anche i personaggi famosi, a partire dai suoi odiatissimi avversari politici.
I “social” non lo abbandonavano un attimo o meglio, lui non li lasciava mai: in metropolitana, in auto, dappertutto insomma.
Erano la sua valvola di sfogo, la sua compagna fedele, il suo spazio di espressione.
Tra i personaggi dei social network con cui interagiva ve ne erano diversi che, come lui, operavano sotto falsa identità: il suo peggior nemico era “Mango75”. Giulio lo conosceva virtualmente ormai molto bene, ne era quasi ossessionato, non lo sopportava proprio!
L’immagine del profilo facebook di Mango75 era un mango appena aperto.
A differenza di Giulio, Mango75 scriveva una, massimo due volte al giorno su facebook. Aveva uno stile asciutto.
Non rispondeva quasi mai ai post polemici e, quelle poche volte che lo faceva, dava risposte laconiche, nette, spesso concilianti, che non lasciavano spazio ad ulteriori polemiche.
Guardando il profilo facebook di Mango75 se ne poteva dedurre che si trattava di una persona molto impegnata nell’ambito lavorativo, relazionale, sociale e culturale.
Nella vita reale, invece, Giulio era schivo. Al lavoro non voleva prendersi responsabilità: “faceva il suo”, come si suol dire. Tutte le volte che si trovava costretto a prendere una decisione, veniva preso da una sensazione di paura, di disagio.
Quel sabato mattina decise di staccare tutte le connessioni, di scollegarsi dalla rete e di dedicarsi alla lettura di un libro acquistato il giorno prima.
“…. Pensare bene, le belle idee, la capacità di guardare oltre, di puntare lo sguardo oltre l’orizzonte visibile a volte non basta. Luca aveva paura di varcare quella soglia, di mettere il piede un passo più in là dal precipizio, dove si sarebbe trovato solo con il vuoto ed il suo zainetto. E non sapeva se, tirando i fili dello zaino, sarebbe venuto fuori un paracadute, un aliante o nulla.
Aveva paura di aprire la sua porta, di tirare fuori la testa dal finestrino. Avrebbe sentito gli occhi asciugarsi per il vento, avrebbe dovuto irrorarli di lacrime e non sapeva se queste sarebbero state di gioia o di sconforto. Aveva una fottuta paura di metterci la faccia, era gonfio di energia, di rabbia. Non capiva come trasformare quella rabbia e quell’energia in un turbine di vento.
Luca non sapeva che un turbine di vento, se vuole, può diventare luce.
Marco invece l’aveva capito, aveva messo il piede oltre il precipizio scoprendo che il suo zainetto non era vuoto, che avrebbe potuto godere di un atterraggio morbido o si sarebbe potuto librare nei cieli per respirarne l’azzurro più profondo.
Non aveva paura di essere giudicato soffio di vento, turbine, tempesta o temporale. Era già uscito dai suoi occhi quel piccolo riflesso di luce che avrebbe scatenato tempeste di fotoni.
Non poteva più trattenere questa energia, la lasciava andare: per questo si interessava, si curava dei problemi, ci metteva la faccia, si impegnava nelle relazioni e nelle azioni…”.
Nel pomeriggio Giulio lasciò il cellulare a casa ed uscì a fare la solita passeggiata con Terry: il sole di primavera stava lì, fermo al centro del viale alberato.
Alzò gli occhi e vide i nidi degli uccelli sulla sommità degli alberi, l’aria gli entrò con violenza nei polmoni, come se avesse tirato il primo respiro.
Sulla pista ciclabile, al centro del viale, vide uno dei soliti runner che passavano per raggiungere il vicino parco. Fu colpito dalla corsa lieve e dallo sguardo profondo e sereno di quell’uomo. Correva con armonia, ogni parte del corpo stava al suo posto.
Sentì l’aria entrare ancora più forte nei polmoni e fu colto da un profondo desiderio di correre, di innalzarsi, di volare.
Mentre gettava nel cestino della spazzatura quello che sarebbe stato l’ultimo pacchetto di sigarette della sua vita, senti l’aria muoversi ed un ondata di energia sfiorargli la pelle.
Si voltò, il runner era appena passato. Sul cellulare che aveva attaccato al braccio scorse, con la coda dell’occhio, un mango appena aperto.
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