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Per il futuro dell'Europa

Written by Martin Schulz.

Martin Schulz
Discorso pronunciato in occasione del Consiglio europeo da Martin Schulz, Presidente del Parlamento europeo.

Il referendum britannico sulla permanenza del Regno Unito nell'Unione europea è diventato una delle questioni chiave per il futuro dell'Europa.
La stragrande maggioranza dei deputati al Parlamento europeo vuole che il Regno Unito resti nell'Unione europea.
In un XXI secolo caratterizzato dalla globalizzazione abbiamo più che mai bisogno del Regno Unito – e siamo convinti che anche il Regno Unito beneficerebbe rimanendo nell'Unione europea.
In un momento in cui gli Stati Uniti sono sempre più ripiegati su se stessi, la Russia mette in discussione l'architettura globale della sicurezza in Ucraina e in Siria, la Cina è in ascesa nell'Asia orientale ma al tempo stesso attraversa una fase di rallentamento economico, senza dubbio noi europei dobbiamo restare più che mai uniti. Insieme, forti di 508 milioni di cittadini, 28 Stati membri e il più ricco mercato unico del mondo, abbiamo la possibilità di definire le norme dell'ordine internazionale e di gestire la globalizzazione secondo i nostri interessi e i nostri valori. Ma se noi europei ci dividiamo, adagiandoci nell'ingenua illusione che sia questa l'epoca d'oro degli Stati-nazione, dovremmo essere consapevoli delle conseguenze. Saremo relegati a un insignificante ruolo di secondo piano sulla scena politica mondiale.
Con l'esperienza e il peso che vanta in materia di politica estera, le sue politiche di apertura dei mercati e i risultati ottenuti in ambito commerciale e nella lotta al terrorismo, il Suo paese, signor Cameron, ha molto da offrire. Quando Lei dice che vuole rendere l'Unione europea più democratica, più trasparente, più competitiva e meno burocratica sfonda una porta aperta con il Parlamento europeo. Siamo disposti a essere un interlocutore onesto e costruttivo, a condizione che le discussioni si svolgano nel quadro e nello spirito dei trattati e della Carta dei diritti fondamentali.
Ciò detto, nutriamo preoccupazioni riguardo ad alcune proposte, ed è il caso di dire che il diavolo si nasconde nei dettagli. Vorremmo cogliere quest'opportunità, oggi, per sollevare queste preoccupazioni con l'obiettivo di risolvere i problemi in una fase iniziale ed evitare successive incomprensioni quando la legislazione dovrà essere discussa e approvata dal Parlamento europeo.
In primo luogo, il processo di creazione di un'unione sempre più stretta tra i popoli dell'Europa. Il Parlamento europeo ritiene che tale concetto non dovrebbe riguardare unicamente il nostro patrimonio, il nostro passato e la ragione per cui ci siamo uniti. Si tratta anche di cosa possiamo realizzare insieme in futuro e sappiamo che molti Stati membri e una grande maggioranza di cittadini vogliono andare avanti in questa direzione.
In secondo luogo, la cosiddetta "Unione a più valute", come richiesto dal primo ministro Cameron. I trattati sono molto chiari in proposito: la valuta dell'Unione europea è l'euro. Il Regno Unito beneficia di una clausola di esenzione - un opt-out - dalla moneta unica. A che proposito sarebbero necessari ulteriori chiarimenti? È perfettamente chiaro.
Aprire questo capitolo senza un motivo inequivocabilmente valido rischia di creare ambiguità e potrebbe nuocere al funzionamento dell'Unione economica e monetaria (UEM). Una zona euro forte e stabile è nell'interesse non solo dei paesi che ne fanno parte ma anche di tutti i partecipanti al mercato interno. Nessuno trae vantaggi dalla perturbazione del mercato unico. Pertanto, dobbiamo evitare di creare ambiguità, così come dobbiamo evitare di concedere, di fatto, un diritto di veto a qualsiasi Stato membro in seno al Consiglio europeo sulle questioni che riguardano la zona euro. Il Parlamento europeo reputa inaccettabile che uno Stato disponga, di fatto, di un diritto di veto: come possiamo accettare una procedura che rischia di paralizzare la zona euro? La crisi economica ci ha già mostrato quanto sia alto il prezzo da pagare per un'Unione monetaria non completamente integrata. Dobbiamo rafforzare la zona euro e rendere il processo decisionale più efficiente e trasparente, non paralizzarla.
Sono sicuro che molti di voi, intorno a questo tavolo, sono d'accordo con noi, dopo le molte riunioni passate a lavorare fino a notte fonda sulla governance della zona euro.
Il governo del Regno Unito sostiene che il suo obiettivo non è quello di ottenere un diritto di veto per sé o un trattamento speciale per la "City", e di questa rassicurazione mi compiaccio. Ma se l'effetto di qualsiasi decisione futura implica questa possibilità e il testo attualmente in discussione comporta questo rischio, poco importa se non vi è un esplicito desiderio di ottenere il diritto di veto. Il pericolo è ben evidente ed è troppo importante perché si possa trascurarlo. Pertanto, dobbiamo lavorare ulteriormente su questo aspetto.
Inoltre, vogliamo evitare di dividere l'UE tra i 19 paesi appartenenti alla zona euro e i 9 paesi che non ne fanno parte. Non c'è assolutamente bisogno di creare nuove unioni parallele e nuove istituzioni parallele. Il Regno Unito ha indicato fin dall'inizio la sua volontà di restare fuori dall'euro. Questa possibilità è già prevista giuridicamente nei trattati.
Vorremmo inoltre chiarire che se alcuni elementi negoziati durante questo Summit saranno in futuro integrati nei Trattati, questo passaggio dovrà essere accompagnato da un approfondimento dell'Unione economica e monetaria, partendo dall'integrazione del Meccanismo europeo di stabilità e del Fiscal Compact nel quadro giuridico dell'Unione europea.
Naturalmente, le imprese e i cittadini britannici non devono essere discriminati nel mercato unico. Dal momento che la metà degli scambi commerciali del Regno Unito si svolgono con l'UE e che il Regno Unito dispone di un importante settore di servizi finanziari, prendiamo molto sul serio le questioni che riguardano la parità di accesso al mercato unico. Ma la non discriminazione è un'arma a doppio taglio: il fatto che i paesi che non appartengono alla zona euro non debbano essere svantaggiati non significa che debbano avere dei vantaggi. Anche le imprese, i cittadini e i settori finanziari dei paesi dell'euro sono profondamente integrati nel mercato unico. Il Parlamento ha sempre insistito sulla parità di trattamento. Un mercato unico necessita di un unico insieme di norme e non di più insiemi di norme diverse.
Il Parlamento ha sempre sostenuto che il prezzo da pagare per il rafforzamento dell'UEM non può essere la divisione dell'UE. E questo molto prima che si profilasse la prospettiva di un referendum nel Regno Unito.
In terzo luogo, la cosiddetta "discussione sulle prestazioni sociali". Se la libera circolazione pone dei problemi nella pratica, questi vanno affrontati, ma le soluzioni non possono comportare una discriminazione per i cittadini dell'UE. E spetta naturalmente agli Stati membri decidere il modo in cui vogliono strutturare i loro regimi di prestazioni sociali e i loro sistemi previdenziali attraverso il diritto nazionale.
La Commissione si impegna ora a proporre un cosiddetto "meccanismo di salvaguardia" se i cittadini britannici sceglieranno di rimanere nell'UE. In base a questo meccanismo, due lavoratori, entrambi cittadini dell'UE, che pagano le stesse tasse e fanno lo stesso lavoro, per un certo periodo di tempo non riceveranno la stessa retribuzione.
Permettetemi di dirlo molto chiaramente: il Parlamento europeo si opporrà alla discriminazione tra i cittadini dell'UE. La non discriminazione e la parità di trattamento sono principi fondamentali della nostra Unione. Valutiamo positivamente il fatto che la procedura legislativa ordinaria sia quella proposta, ma comprenderete senz'altro che nessun parlamento al mondo possa determinare in anticipo i risultati del proprio lavoro legislativo. Il Parlamento europeo si impegna a trovare, insieme al Consiglio, soluzioni costruttive che affrontino in maniera equa i problemi che possono emergere dalla libera circolazione delle persone.
In quarto luogo, il Parlamento europeo ha sempre sostenuto la partecipazione dei parlamenti nazionali alla legislazione europea. Proprio questa settimana abbiamo ospitato a Bruxelles la Quarta settimana parlamentare europea, che riunisce i parlamenti nazionali dell'UE e il Parlamento europeo per discutere il Semestre europeo. Solo attraverso una stretta cooperazione di questo genere tra i parlamenti nazionali e il Parlamento europeo riusciremo a ottenere una buona legislazione, un'idonea responsabilità e titolarità.
Ciò detto, il Parlamento europeo è sorpreso del fatto che i governi degli Stati membri sembrino pronti ad accettare un'interferenza diretta e automatica dei propri parlamenti nazionali nella loro funzione decisionale di colegislatori in sede di Consiglio. A nostro parere, la cooperazione deve essere organizzata in modo da garantire il corretto funzionamento del processo legislativo e da non distogliere i parlamenti nazionali dalla loro prima prerogativa di chiamare a rispondere i propri governi.
Il Parlamento europeo è pronto ad accompagnare queste discussioni in buona fede. Sosterremo qualsiasi proposta che renda l'UE più democratica e più trasparente. Vogliamo che l'UE renda migliore l'esistenza delle persone.
Pertanto, vi chiediamo di decidere stasera e domani riforme che rendano l'UE più forte. Una cosa deve esser chiara: quanto stiamo facendo qui in questo momento, è affrontare le preoccupazioni di uno Stato membro specifico, vale a dire il Regno Unito. Ciò non dovrebbe trasformarsi in un'occasione per altri Stati membri per iniziare a srotolare elenchi di surrettizie modifiche dei trattati. Se si dovesse aprire un vaso di Pandora, e lanciamo in tal senso un avvertimento, allora siamo in modalità di modifica dei trattati e il Parlamento europeo ravviserebbe la necessità di convocare una Convenzione.
Signor Cameron, nel suo discorso ad Amburgo la scorsa settimana, Lei ha giustamente sostenuto che i cittadini britannici dovrebbero guardare al quadro più ampio sottolineando come il Regno Unito sia più avvantaggiato all'interno dell'UE ai fini della lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata, per gestire la migrazione, il commercio mondiale e affrontare il cambiamento climatico. Il Parlamento europeo è d'accordo. C'è un altro quadro più ampio che vorremmo che voi tutti qui consideraste: che in un mondo globalizzato e complicato, l'UE deve essere più forte. Ed essere più forte significherà invariabilmente che alcuni avranno bisogno di una più stretta integrazione.
Dopo cinque anni di guerra, dopo più di 250 000 morti, dopo che metà di tutti i siriani hanno abbandonato le proprie case in cerca di rifugio, milioni hanno perso i loro mezzi di sostentamento, milioni di case giacciono in rovina, dopo l'impennata della disoccupazione, dell'inflazione e della povertà, quando pensavamo che non potesse andar peggio, è andata invece ancora peggio: le bombe russe stanno cadendo su Aleppo, con conseguente spargimento di sangue e terrore e un ulteriore esodo di rifugiati. Questa tragedia umana che si sta consumando deve costringerci a spingere più vigorosamente per una cessazione negoziata della guerra, a rafforzare l'assistenza umanitaria e ad incrementare i nostri sforzi per affrontare la situazione dei rifugiati e della migrazione.
Il Parlamento europeo ritiene che questa non sarebbe diventata una crisi se ogni Stato Membro avesse assunto le proprie responsabilità attraverso un approccio comune a livello UE. Negli ultimi mesi, sono state predisposte soluzioni. Molti nuovi strumenti sono stati creati e altri indispensabili tasselli sono in via di definizione. Il problema però è che ognuno vede la situazione dal proprio punto di vista individuale e attende che gli altri muovano il primo passo per attuare queste necessarie soluzioni. Anche se l'ultima indagine pubblicata ieri evidenzia forti aspettative di un'azione unitaria europea: il 79% degli europei ritiene che l'UE dovrebbe avere una politica comune di migrazione, l'87% ritiene che l'UE abbia il dovere comune di proteggere i suoi confini esterni e il 79% ritiene che i richiedenti asilo dovrebbero essere equamente distribuiti fra tutti gli Stati membri.
Adesso dovete imprimere il necessario impulso per tirar fuori l'UE da questo stallo o quella che chiamerei piuttosto una crisi di solidarietà.
In primo luogo, la cooperazione con la Turchia è stata giustamente rafforzata negli ultimi mesi. La Turchia ospita il più grande numero di rifugiati siriani e merita la nostra assistenza. La Turchia è però anche il punto di partenza per molti rifugiati che si imbarcano su un pericoloso viaggio verso l'Europa. In Grecia si sono registrati 60 000 ingressi irregolari solo nel mese di gennaio. Nonostante alcune promettenti modifiche legislative in Turchia e la crescente pressione migratoria cui essa stessa è esposta, è difficile affermare che il Piano di azione UE-Turchia abbia avuto un effetto tangibile nell'arginare la migrazione irregolare. Stiamo assistendo a un "effetto dell'inverno" piuttosto che a un "effetto del Piano di azione UE-Turchia". La parte pertinente dell'accordo di riammissione UE-Turchia dovrebbe produrre effetti solo dal 1° giugno e nemmeno l'accordo con la Grecia sta funzionando in modo soddisfacente. Guardiamo inoltre con crescente timore all'aumento dell'attività militare nelle zone curde. Come far quindi decollare il partenariato UE con la Turchia, sulla base del reciproco rispetto, di sforzi condivisi e di valori fondamentali comuni?
Dobbiamo passare dalle parole ai fatti. Vari paesi, come ad esempio la Germania, la Svezia e l'Austria, stanno compiendo ingenti sforzi finanziari per sostenere i rifugiati a livello nazionale. Assistere i siriani che godono di protezione temporanea in Turchia e migliorarne le condizioni di vita in Turchia è però altrettanto importante. Il Parlamento europeo sostiene quindi dell'accordo tra gli Stati membri sulle disposizioni relative allo Strumento per la Turchia a favore dei rifugiati. Attuare i progetti direttamente con le organizzazioni internazionali, le ONG e le autorità locali sul posto è il modo migliore per dimostrare che l'UE è impegnata - e questo iniziando da subito. Perché le categorie più vulnerabili di sfollati non possono aspettare - e i miei colleghi che hanno visitato il paese la settimana scorsa mi hanno comunicato che chi sta in città, fuori dai campi profughi, è particolarmente bisognoso di aiuto.
La migrazione irregolare che sta attualmente continuando a partire dalla Turchia deve essere sostituita da canali legali grazie al reinsediamento e all'ammissione umanitaria ed è comprensibile che il Primo Ministro Davutoğlu non abbia potuto essere a Bruxelles per discuterne con una serie di Stati membri volenterosi, a causa dell'infame attacco terrorista che ha avuto luogo ieri ad Ankara.
Lasciatemi aggiungere poi che la Turchia dovrebbe essere preoccupata anche dell'impatto che la crisi potrebbe avere sul futuro dell'integrazione UE. Un'Europa più debole sia economicamente che politicamente influenzerebbe la crescita economica della Turchia. Si spera che la leadership turca capirà la dimensione storica della situazione.
In secondo luogo, nonostante tutti gli inaccettabili ritardi nell'istituirli, il concetto dei punti di crisi (hotspot) presentato dalla Commissione nella sua Agenda sulla migrazione lo scorso maggio rimane, secondo il Parlamento europeo, fondamentalmente valido in quanto "sportelli unici" situati laddove la pressione è più forte alla frontiera esterna dell'UE. Il rilevamento delle impronte digitali e la registrazione sono essenziali se vogliamo garantire che la migrazione sia gestita in modo corretto. In Grecia, il rilevamento delle impronte digitali è ormai passato al 78% dall'8% dello scorso settembre. Ma non basta! Ciò significa che migliaia di persone non identificate stanno attraversando a piedi il nostro continente. Ogni persona deve essere registrata.
Il 100% degli arrivi deve essere controllato rispetto alle banche dati Interpol e UE in relazione a documenti falsificati e rubati nonché ai rischi di sicurezza.
Se i richiedenti asilo sanno di poter facilmente sfuggire al sistema di asilo competente per il trattamento della loro domanda, l'incentivo a chiedere la ricollocazione dall'Italia o dalla Grecia sarà molto basso. Se a questo si aggiungono le difficoltà amministrative, la resistenza politica e persino le sfide a cui siamo attualmente confrontati sul piano giuridico, è facile capire perché il meccanismo di ricollocazione sia partito a rilento. Da quando il Consiglio ha adottato il meccanismo lo scorso settembre sono state effettuate meno di 500 ricollocazioni, un numero che corrisponde a quello delle persone che, ogni sei ore, raggiungono irregolarmente le nostre frontiere esterne. Questi sforzi insufficienti sono quindi soltanto una goccia nell'oceano. In questo senso, siamo lieti che sabato scorso il Primo ministro Valls abbia sottolineato il risoluto impegno della Francia a ricollocare in tempi rapidi la percentuale concordata di rifugiati dall'Italia e dalla Grecia. Se tutti i paesi accelerassero i propri sforzi, saremmo già un passo avanti.
In terzo luogo, l'assenza di una gestione ordinata dei flussi migratori lungo la rotta dei Balcani occidentali continua a rappresentare una preoccupazione particolarmente pressante. La primavera si avvicina, e alcuni paesi dell'UE continuano a "far passare" i cittadini di paesi terzi che ritengono abbiano il diritto di scegliere dove presentare la propria richiesta di asilo. In base alle norme dell'UE, non esistono Stati membri di "transito". Né la chiusura delle frontiere risolverà di fatto qualcosa. Al contrario, quest'ultima rischia di aggravare ulteriormente la crisi dando luogo a un frazionamento delle rotte. In questo contesto è opportuno aggiungere che la Grecia deve ricevere assistenza per poter controllare pienamente la frontiera con l'ex Repubblica jugoslava di Macedonia e che, analogamente, l'eventuale assistenza complementare fornita all'ex Repubblica jugoslava di Macedonia deve essere coordinata a livello dell'UE. È tempo ormai che ognuno si assuma le proprie responsabilità, ma dobbiamo anche onorare le nostre responsabilità condivise.
In quarto luogo, il sistema di asilo funziona solo se coloro che non hanno il diritto di restare vengono rimpatriati. Se una persona non ha il diritto di restare ma, nel 60% dei casi, non viene rimpatriata, si crea un incentivo a venire comunque in Europa. È questo il messaggio che volete inviare? E vogliamo incoraggiare il lucroso modello operativo che alcuni paesi terzi sembrano aver sviluppato, nel momento in cui chiedono somme consistenti per riammettere i propri cittadini? È per questo motivo che l'UE deve concludere con urgenza accordi di riammissione con il Marocco e l'Algeria e rinnovare l'impegno ad attuare quello con il Pakistan, prestando inoltre particolare attenzione al Bangladesh e all'Afghanistan. Senza dubbio sarebbe utile se la Turchia allineasse la sua politica in materia di visti a quella dell'UE per quanto riguarda quei paesi che sono all'origine di flussi significativi di migrazione irregolare.
In quinto luogo, sappiamo che molti di voi condividono le nostre preoccupazioni in merito all'impatto della crisi migratoria su Schengen. Il Parlamento europeo prende atto del fatto che il Consiglio ha adottato la scorsa settimana una raccomandazione ai sensi del codice frontiere Schengen che prevede un termine di tre mesi per affrontare le carenze gravi e persistenti attraverso 50 raccomandazioni dettagliate. Lasciatemi lanciare un appello affinché questi tre mesi siano utilizzati efficacemente attivando gli investimenti necessari in Grecia – con la massima assistenza dell'UE sul piano finanziario e umano. Per questo motivo il Presidente Juncker, a cui rendo omaggio per i continui sforzi di coordinamento profusi nell'ambito di questa crisi, ha ragione a parlare di una procedura di salvaguardia di Schengen.
Sappiamo tutti che un possibile esito di tale procedura potrebbe essere, in ultima istanza, il ripristino dei controlli alle frontiere interne in vari punti della zona Schengen. Vogliamo sottolineare un fatto importante: la chiusura delle frontiere comporta dei costi. Si tratta di un aspetto che coinvolge il trasporto delle merci, i lavoratori transfrontalieri, la logistica, e a cui sono inoltre associati molti costi indiretti, come nel settore del turismo. La libera circolazione va ben oltre la circolazione delle persone: essa interessa le merci, i servizi e i capitali. Un rischio reale è quello di un effetto disastroso sul mercato interno, proprio appena dopo la sua uscita da diversi anni di crisi economica. Tutti coloro a cui oggi non importa del futuro di Schengen dovrebbero tenerlo bene a mente. Se penso al mio Stato Membro di provenienza, la Germania, confina con ben altri nove Stati membri. Anche se capiamo bene l'esigenza di assicurare flussi di popolazione ordinati nell'ambito di questa crisi eccezionale, il Parlamento europeo vi esorta a non innescare un processo che potrebbe diventare irreversibile, distruggere posti di lavoro e compromettere l'economia europea.
Da ultimo, ma non per importanza, il Parlamento europeo adempierà da parte sua alla propria responsabilità di conseguire risultati sul versante legislativo. Che Parlamento e Consiglio convengano immediatamente sulla creazione di una Guardia costiera e di frontiera europea efficace, dotata di risorse adeguate e responsabile nei confronti delle istituzioni, che possa divenire operativa entro l'estate! Il relatore del Parlamento europeo, l'on. Artis Pabriks è stato nominato, e l'équipe negoziale è pronta a lavorare alacremente con la presidenza olandese su questa cruciale proposta legislativa, e so che il primo ministro Rutte condivide questa ambizione.
Vorrei inoltre cogliere questa opportunità per chiedere che sia conferita priorità a tutte le altre proposte legislative relative alla migrazione ora sul tavolo, che si tratti di rimpatri, di paesi sicuri, del codice frontiere Schengen o, elemento di grande importanza, della prossima revisione del sistema di Dublino e del nostro quadro giuridico in materia di migrazione legale.
Un giorno tutti noi ora seduti a questo tavolo saremo chiamati a rispondere in merito a come noi come UE abbiamo risposto alla più grande crisi umanitaria dalla fine della Seconda guerra mondiale. Questa crisi sta purtroppo mettendo in evidenza le profonde fratture politiche, ideologiche e sociali nella nostra Unione. Per evitare che queste fratture diventino sempre più profonde c'è bisogno di tutta la vostra leadership collettiva e l'impegno a lavorare in maniera costruttiva, con l'appoggio del quadro giuridico sostenibile nell'UE che le istituzioni europee stanno gradualmente mettendo a punto. Questo significa smettere di parlare di precondizioni, smettere di puntare il dito, e affrontare i veri problemi là dove si presentano, per porre fine alla crisi di solidarietà che ha assalito l'Unione europea. Ma prima di tutto questo significa riconoscere la forza fondamentale dell'UE quale forza di solidarietà, che condivide i benefici ma anche le responsabilità. Non diamo altre soddisfazioni a coloro che, nel mondo, sperano in una "piccola" Europa divisa e più debole.

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