Come cambiare le periferie di Milano
Articolo pubblicato dal Manifesto
L’articolo di Aldo Bonomi su il manifesto apre una riflessione molto interessante su uno dei temi che mi sta più a cuore: le periferie. Scrive giustamente Bonomi che «le periferie come le abbiamo intese nel ‘900 ci sono ancora, si fanno enclave, a rischio di ghetto, non ancora banlieue, ma dense di passioni tristi e di rancore, ben visibili nei conflitti attorno al tema della casa esplosi anche a Milano».
Se c’è una città che può e deve proporre un modello innovativo di tessuto urbano capace di mescolare invece di separare, coinvolgere invece di disegnare a tavolino, quella è Milano.
Per farlo penso che ci si debba muovere su tre direttrici.
1. Un nuovo modo di concepire l’housing sociale, che trasformi radicalmente i criteri di assegnazione e di gestione delle case popolari, introduca verde, attenzione estetica, funzioni sociali e di co-housing nella nuova edilizia residenziale, favorisca un mix sociale (giovani coppie, studenti, anziani, immigrati regolari) e preveda una varietà di soluzioni: affitto calmierato, acquisto a riscatto, mutuo agevolato, foresteria.
2. Generare o favorire in ogni zona la nascita di realtà - produttive, commerciali, culturali - attrattive per l’intera città, così da contaminare positivamente la vita dei quartieri; è quello che sta facendo ad esempio la Fondazione Prada, in un’area che si sta popolando anche di laboratori di ricerca, start up, spazi di coworking, imprese sociali, ecc.
L’amministrazione comunale deve perciò sostenere ed orientare i privati a investire nelle periferie, anche con iniziative partecipative: Parigi, ad esempio, ha coinvolto le migliori forze creative per riprogettare 23 luoghi della città con l’innovativo bando «Reinventer Paris»: potremmo trasferire questo modello per cominciare a riqualificare un’area degradata in ciascuna delle nove zone di Milano.
3. Sostenere e moltiplicare quegli spazi e quelle iniziative che - nelle diverse zone della città - contribuiscono alla qualità della vita delle persone, alla loro integrazione e partecipazione: dall’uso delle scuole durante il pomeriggio e la sera per attività culturali e sociali al comodato d’uso gratuito di edifici pubblici per comitati di cittadini, onlus e associazioni che svolgono attività e servizi utili per il quartiere e la città, fino a forme di incentivazione (o sgravio) a quei cittadini che si prendono cura della cosa pubblica (da quelli che curano i giardini ai genitori che dipingono le aule scolastiche). Non si tratta necessariamente di iniziative onerose per la pubblica amministrazione, ma certamente la sfida sarà anche quella di reperire e destinare risorse in modo nuovo, rendendo più efficiente la macchina amministrativa, innovando i processi di appalto, condividendo il rischio con soggetti privati (banche, imprese, enti).
La Milano che abbiamo in mente, in conclusione, è una città che non lascia indietro nessuno, specie chi vive situazioni di difficoltà e di disagio, cercando inedite forme di collaborazione ma anche pretendendo il rispetto di quel rapporto tra diritti e doveri che definisce l’appartenenza alla civitas ambrosiana.
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