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Assetati di potere, sconfitti dall’arroganza

Written by Elly Schlein.

Intervista di Repubblica a Elly Schlein.

«Non è la prima sconfitta di Giorgia Meloni e non sarà neanche l’ultima», avverte Elly Schlein a metà pomeriggio, l’eco dello schianto non ancora spento.
Di certo è quella che alla presidente del Consiglio fa più male.
Perché sull’elezione del suo consulente giuridico alla Consulta ci ha messo la faccia. Firmata col dito intinto nel veleno allorché in chat aveva accusato d’infamia i suoi parlamentari, rei d’aver rivelato alla stampa ciò che avrebbe dovuto restare segreto: l’ordine di presentarsi tutti in aula, ieri mattina, per consumare il blitz sulla Corte costituzionale. Puntando sulla maggioranza a ranghi completi, da saldare con i franchi tiratori annidati nella minoranza.
Seduta su un divanetto in Transatlantico, in attesa della ripresa dei lavori, la segretaria del Pd ne è convinta: «Oggi è stata battuta l’idea proprietaria che questa destra ha delle massime istituzioni della Repubblica. Sono assetati di potere. La compattezza delle opposizioni li ha fermati, ma non cancella la gravità del tentativo».
E dire che Schlein l’aveva avvisata. Quando, lunedì sera, la leader dem capisce che ogni possibilità di mediazione è ridotta a zero e che l’inquilina di Palazzo Chigi avrebbe tirato dritto, alza il telefono e la chiama. Come già era avvenuto sul Medio Oriente in fiamme, per chiederle un impegno più incisivo del governo sul cessate il fuoco. «Guarda che da soli non ce la fate, rinviate e discutiamone», la sintesi della conversazione, pacata nei toni, durissima nei contenuti. «Se la Costituzione prevede il quorum dei due terzi, che poi diventa dei tre quinti, è perché nella composizione degli organi di garanzia serve il contributo delle opposizioni al fine di individuare i profili migliori e assicurare un equilibrio complessivo», insiste Schlein.
Meloni prova a rintuzzare, a far ricadere sulla sordità del centrosinistra la responsabilità della sua forzatura. Ma l’avversaria non sente ragioni: «Noi del vostro blitz l’abbiamo appreso dai giornali, finora non ci avete mai cercato, né avete avuto intenzione di coinvolgerci. Una cosa senza precedenti. Che il dialogo sia indispensabile non lo dico io, è scritto nella Carta», protesta. Inutilmente. La premier rifiuta di scendere a patti. Sicura di arrivare a meta. Come poi, però, non è stato.
Ed ora a rammaricarsene è per prima la segretaria del Pd. Per lei, quanto accaduto alla Camera è una ferita per le istituzioni. «Tutti sanno che per garantire il funzionamento della Corte è necessario che maggioranza e opposizione si parlino, è sempre stato così, sempre i giudici costituzionali sono stati eletti con maggioranze ampie, grazie al confronto paziente e leale fra tutte le forze politiche», riflette a voce alta. «Ma noi ieri (lunedì, ndr) abbiamo trovato un muro. «L’impressione è che volessero andare avanti a prescindere», taglia corto Schlein. «Ed è un problema serio se, in un passaggio cruciale come questo, loro non abbiano ritenuto doveroso aprire un canale con la prima forza d’opposizione».
Non è neppure una questione di nomi: sul conflitto di interessi di Francesco Saverio Marini, pronto a passare da consigliere giuridico di Palazzo Chigi ed estensore del ddl sul premierato a giudice di quelle stesse riforme che ha contribuito a scrivere, la deputata bolognese non vuole proprio esprimersi. «Non ci hanno consentito di entrare nel merito della scelta perché è innanzitutto mancato il metodo: ci è stata negata la discussione, l’Aventino l’hanno fatto loro», attacca. «Quella del dialogo è una prassi antichissima che hanno cercato di violare con una forzatura», ricorda. «E quando dico dialogo intendo non chiamate spicciole a parlamentari dell’opposizione per cercare i voti mancanti». Si riferisce forse alla voce che circola con insistenza? Quella di una trattativa di FdI con i 5Stelle per convincerli a rompere il fronte progressista? «Ne girano tante ma a questa non ho mai creduto», si spazientisce Schlein. «Appena abbiamo saputo che la destra meditava il colpo di mano ci siamo sentiti, tutti e ci siamo messi d’accordo per fermarli». Anche con Giuseppe Conte, nonostante il gelo di questi ultimi giorni, reso plastico dalla sedia lasciata vuota ieri mattina al convengo organizzato in Senato dalla Fondazione Gimbe sulla sanità: l’ex premier giallorosso avrebbe dovuto accomodarsi accanto alla segretaria del Pd, ma ha preferito restare in piedi, in fondo alla sala.
Resta tuttavia una domanda: perché Meloni, sapendo di non avere i numeri, è andata dritta a rischio di schiantarsi? «Per arroganza e per mancanza di senso delle istituzioni», replica netta la leader dem. «Speriamo gli serva da lezione, che capiscano finalmente che sulle massime garanzie costituzionali non si può giocare». La tracotanza acceca, è il messaggio. «Mi auguro che il modello non sia quello di Trump: se così fosse, troveranno le opposizioni unite a sbarrargli il passo». Dunque non si facciano illusioni. E la smettano pure di sostenere che il non voto è servito a coprire le divisioni del centrosinistra: «Detto nel giorno in cui siamo stati granitici fa un po’ sorridere», ironizza Schlein. «Quanta ipocrisia, bastava aprire il dialogo per evitare questa figuraccia».
Lo sa vero che ci riproveranno? La signora del Nazareno si rabbuia, ci pensa su un istante: «E noi saremo più compatti che mai», scommette senza esitare. «È una promessa: se non cambiano strada, andranno di nuovo a sbattere».

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