Una forte classe media è fondamentale per il successo dell’America
Articolo della Stampa.
«Lo so che ci sono persone con diverse idee politiche che guardano stasera. E voglio che sappiate: prometto di essere il Presidente di tutti gli Americani». Davanti allo United Center dove sventolano bandierine americane, con migliaia di donne vestite di bianco in onore delle suffragette, Kamala Harris, prima donna di colore in vetta al ticket, alle 9:45 accetta la nomination alla Casa Bianca del partito democratico.
Dal soffitto si liberano migliaia di palloncini bianchi, rossi e blu che sommergono il palco dove sono saliti il marito Doug Emhoff e il candidato vice Tim Walz con la moglie Gwen. Si aggiungono i famigliari in un tripudio su cui risuonano altissime le note di Freedom di Beyoncé.
La Convention chiude i battenti all’insegna dell’entusiasmo che solo un mese fa era impensabile nei ranghi democratici. Con una sfilata di vip (Eva Longoria, Stephen Curry, Kerry Washington), artisti (Pink che ha cantato What about us, e The Chicks che hanno cantato l’inno) e tutto il gotha – attuale e del passato – del Partito democratico.
È un passaggio del testimone che va oltre la staffetta Biden-Harris e sottolinea come una nuova generazione di leader sta prendendo le chiavi di quello che è stato il partito di Kennedy, di Bill Clinton e di Biden e in cui gli architetti sono Michelle e Barack Obama, quelli che più di tutti hanno elettrizzato la Convention indicando la strada della sfida a Trump. Facciamo qualcosa, «Do something» aveva detto Michelle Obama al popolo democratico martedì sera, prendendo a prestito quel che la madre di Kamala diceva alla figlia: «Se c’è un’ingiustizia, non lamentarti, fai qualcosa».
Quello davanti ai delegati sugli spalti del palazzetto delle gesta di Michael Jordan e a milioni di persone davanti alla tv nelle case d’America è stato il discorso più difficile e importante della carriera di Kamala Harris, 59 anni, vicepresidente dal 2021.
Ci lavorava da settimane, da quando ancora era «solo» la vice di Biden. Poi lo scatto da numero due a candidata alla Casa Bianca ha richiesto più che un aggiustamento. L’ha ultimato nella suite del Hyatt Park Hotel di Chicago insieme ai più stretti collaboratori Lorraine Voles e Sheila Nix e allo speechwriter Adam Frankel, già nel team di Obama.
Il discorso è durato trenta minuti si è snodato lungo tre filoni.
Nella prima parte Kamala si è presentata «con le proprie parole», come aveva anticipato un suo collaboratore agli americani. Ha raccontato le sue origini, l’essere stata cresciuta da una donna indiana immigrata da sola a 19 anni per approdare nella Bay Area con il sogno di essere la scienziata che sconfigge il cancro al seno. Il matrimonio con il padre giamaicano da cui nascono Kamala e la figlia Maya (anche lei ieri sul palco), poi il divorzio. «Mamma ci ha cresciuto», ha detto Kamala che ha dedicato all’esempio della madre ampie parti del suo discorso. Così come aveva fatto Michelle Obama.
Il primo appartamento in affitto è nella parte nella East Bay di San Francisco. «Nella Baia, o vivi sulla collina o nella zona bassa. Vivevamo nella piana, un fantastico vicinato working class con pompieri, infermieri, operai, ognuno curava i propri giardini con orgoglio», ha raccontato Kamala descrivendo una comunità di vicini solidali in cui la famiglia si allarga in una rete di collaborazioni e aiuti basilari.
A queste radici ha attinto quando ha spiegato quale è la spina dorsale dell’America: «Sappiamo che una forte classe media è sempre stata fondamentale per il successo dell’America. E costruire quella classe media sarà l’obiettivo caratterizzante della mia presidenza. È una cosa personale per me, la classe media è da dove provengo».
La vicepresidente ha raccontato di come è scattata la scintilla della carriera legale. «Quando ero al liceo – il racconto di Kamala Harris – ho iniziato a notare qualcosa in merito alla mia migliore amica Wanda. Era triste a scuola. C’erano delle volte in cui non voleva tornare a casa. Un giorno le chiesi ser era tutto ok, e lei mi confidò con veniva abusata sessualmente dal suo padre adottivo. Immediatamente le dissi che doveva stare con noi. E lei lo fece. Questa è una delle ragioni per cui sono diventata procuratrice, per proteggere persone come Wanda».
Quindi Harris, sottolineando come la strada che l’ha portata alla nomination è stata anomala, «come altri percorsi nella mia vita», ha aperto il capitolo della contrapposizione fra lei e Trump.
Senza articolare proposte politiche – ma i suoi consiglieri confermano che verranno elaborate nelle prossime settimane – Harris ha detto che «con queste elezioni la nostra nazione ha una preziosa e sfuggente opportunità per andare oltre l’amarezza, il cinismo e le battaglie divisive del passato. Un’opportunità per tracciare una nuova strada da seguire (New Way Forward), non come esponenti di un partito ma come americani». Per questo, ha aggiunto la vicepresidente, «sarò un presidente che ci unisce attorno alle più alte aspirazioni. Un presidente che guida e ascolta. Che è realista. Pratico e ha buon senso. E che sempre si batte per il popolo americano. Dal tribunale alla Casa Bianca, che è stato il lavoro della mia vita».
La Convention ha tracciato il netto contrasto fra Trump ricurvo sui suoi interessi e nella definizione di Bill Clinton che pensa a «io, io e io» e Kamala Harris che pensa ai bisogni della gente. Nella sua vita, ha detto Kamala Harris, «ho avuto un solo cliente, la gente, Trump invece ha avuto solo se stesso». È questo il dualismo che ha segnato la Convention e che Kamala nel suo intervento ha sostanziato parlando di come sarebbe un suo mandato presidenziale al confronto con quello di Trump.
«Sappiamo come sarebbe un secondo mandato di Trump. È tutto spiegato nel Project 2025. Per molti versi, Donald Trump è un uomo poco serio. Ma le conseguenze del ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca sono estremamente gravi. Considerate il potere che avrà, soprattutto dopo che la Corte Suprema degli Stati Uniti ha appena stabilito che sarebbe immune da procedimenti penali».
I temi che ha toccato per tracciare le due visioni sono l’aborto, le armi, l’immigrazione, l’economia e la politica estera e di sicurezza. «Noi rafforzeremo la leadership globale, Trump ha incoraggiato l’invasione degli alleati. Da comandante in capo starò solidamente dalla parte dell’Ucraina e con gli alleati della Nato».
Spinoso il tema Gaza invece anche alla luce del diniego della DNC di garantire uno slot sul palco per un attivista pro palestinese. Harris ha ribadito il sostegno e il diritto alla difesa di Israele, «garantirò gli strumenti perché si possa difendere», ma ha sottolineato con enfasi che ora «è tempo di avere un cessate il fuoco» e che «troppe persone innocenti sono morte«. Qualche sparuto slogan urlato dagli spalti (Free Palestine) è stato subito soffocato dagli applausi.
La quarta serata è stata anche all’insegna del patriottismo. Un tema che i democratici hanno scelto di non lasciare alla retorica dell’America first di Trump. I delegati hanno sventolato bandiere a stelle e strisce e ballato e cantato sul ritmo e le parole di Born in the Usa di Bruce Springsteen e Living in America di James Brown. Adam Kinzinger, ex deputato repubblicano cui i democratici hanno concesso uno spazio nel prime time ha rimarcato: «Cari repubblicani vi dico che i democratici sono tanto patriottici quanto voi».
Mercoledì sera Tim Walz aveva detto: «Noi amiamo questo Paese». E ieri sera Kamala – è il terzo elemento del suo discorso – ha ribadito questo amore. «Cari americani, amo il nostro Paese con tutto il cuore. Ovunque vada, in chiunque incontri, vedo una nazione pronta ad andare avanti. Pronta per il passo successivo, nell'incredibile viaggio che è l'America». E ancora: «Vedo un’America in cui ci aggrappiamo alla convinzione intrepida che ha costruito la nostra nazione. Che ha ispirato il mondo. Che qui, in questo paese, tutto è possibile. Niente è fuori portata».
Perché, ha concluso, è il «nostro turno di fare quello che altre generazioni hanno fatto prima di noi». L’America resta nel Kamala-Pensiero il luogo dell’accoglienza, dell’eccezionalità e dell’opportunità. Il luogo in cui lei, figlia di due immigrati della middle class con il sogno – a portata di mano della presidenza – le fa dire: «sento il privilegio e l’orgoglio di essere americana». Applausi, bandiere e palloncini. La stagione delle Convention va in archivio. Ora per le «due America» si apre quella del duello tv il 10 settembre.
«Lo so che ci sono persone con diverse idee politiche che guardano stasera. E voglio che sappiate: prometto di essere il Presidente di tutti gli Americani». Davanti allo United Center dove sventolano bandierine americane, con migliaia di donne vestite di bianco in onore delle suffragette, Kamala Harris, prima donna di colore in vetta al ticket, alle 9:45 accetta la nomination alla Casa Bianca del partito democratico.
Dal soffitto si liberano migliaia di palloncini bianchi, rossi e blu che sommergono il palco dove sono saliti il marito Doug Emhoff e il candidato vice Tim Walz con la moglie Gwen. Si aggiungono i famigliari in un tripudio su cui risuonano altissime le note di Freedom di Beyoncé.
La Convention chiude i battenti all’insegna dell’entusiasmo che solo un mese fa era impensabile nei ranghi democratici. Con una sfilata di vip (Eva Longoria, Stephen Curry, Kerry Washington), artisti (Pink che ha cantato What about us, e The Chicks che hanno cantato l’inno) e tutto il gotha – attuale e del passato – del Partito democratico.
È un passaggio del testimone che va oltre la staffetta Biden-Harris e sottolinea come una nuova generazione di leader sta prendendo le chiavi di quello che è stato il partito di Kennedy, di Bill Clinton e di Biden e in cui gli architetti sono Michelle e Barack Obama, quelli che più di tutti hanno elettrizzato la Convention indicando la strada della sfida a Trump. Facciamo qualcosa, «Do something» aveva detto Michelle Obama al popolo democratico martedì sera, prendendo a prestito quel che la madre di Kamala diceva alla figlia: «Se c’è un’ingiustizia, non lamentarti, fai qualcosa».
Quello davanti ai delegati sugli spalti del palazzetto delle gesta di Michael Jordan e a milioni di persone davanti alla tv nelle case d’America è stato il discorso più difficile e importante della carriera di Kamala Harris, 59 anni, vicepresidente dal 2021.
Ci lavorava da settimane, da quando ancora era «solo» la vice di Biden. Poi lo scatto da numero due a candidata alla Casa Bianca ha richiesto più che un aggiustamento. L’ha ultimato nella suite del Hyatt Park Hotel di Chicago insieme ai più stretti collaboratori Lorraine Voles e Sheila Nix e allo speechwriter Adam Frankel, già nel team di Obama.
Il discorso è durato trenta minuti si è snodato lungo tre filoni.
Nella prima parte Kamala si è presentata «con le proprie parole», come aveva anticipato un suo collaboratore agli americani. Ha raccontato le sue origini, l’essere stata cresciuta da una donna indiana immigrata da sola a 19 anni per approdare nella Bay Area con il sogno di essere la scienziata che sconfigge il cancro al seno. Il matrimonio con il padre giamaicano da cui nascono Kamala e la figlia Maya (anche lei ieri sul palco), poi il divorzio. «Mamma ci ha cresciuto», ha detto Kamala che ha dedicato all’esempio della madre ampie parti del suo discorso. Così come aveva fatto Michelle Obama.
Il primo appartamento in affitto è nella parte nella East Bay di San Francisco. «Nella Baia, o vivi sulla collina o nella zona bassa. Vivevamo nella piana, un fantastico vicinato working class con pompieri, infermieri, operai, ognuno curava i propri giardini con orgoglio», ha raccontato Kamala descrivendo una comunità di vicini solidali in cui la famiglia si allarga in una rete di collaborazioni e aiuti basilari.
A queste radici ha attinto quando ha spiegato quale è la spina dorsale dell’America: «Sappiamo che una forte classe media è sempre stata fondamentale per il successo dell’America. E costruire quella classe media sarà l’obiettivo caratterizzante della mia presidenza. È una cosa personale per me, la classe media è da dove provengo».
La vicepresidente ha raccontato di come è scattata la scintilla della carriera legale. «Quando ero al liceo – il racconto di Kamala Harris – ho iniziato a notare qualcosa in merito alla mia migliore amica Wanda. Era triste a scuola. C’erano delle volte in cui non voleva tornare a casa. Un giorno le chiesi ser era tutto ok, e lei mi confidò con veniva abusata sessualmente dal suo padre adottivo. Immediatamente le dissi che doveva stare con noi. E lei lo fece. Questa è una delle ragioni per cui sono diventata procuratrice, per proteggere persone come Wanda».
Quindi Harris, sottolineando come la strada che l’ha portata alla nomination è stata anomala, «come altri percorsi nella mia vita», ha aperto il capitolo della contrapposizione fra lei e Trump.
Senza articolare proposte politiche – ma i suoi consiglieri confermano che verranno elaborate nelle prossime settimane – Harris ha detto che «con queste elezioni la nostra nazione ha una preziosa e sfuggente opportunità per andare oltre l’amarezza, il cinismo e le battaglie divisive del passato. Un’opportunità per tracciare una nuova strada da seguire (New Way Forward), non come esponenti di un partito ma come americani». Per questo, ha aggiunto la vicepresidente, «sarò un presidente che ci unisce attorno alle più alte aspirazioni. Un presidente che guida e ascolta. Che è realista. Pratico e ha buon senso. E che sempre si batte per il popolo americano. Dal tribunale alla Casa Bianca, che è stato il lavoro della mia vita».
La Convention ha tracciato il netto contrasto fra Trump ricurvo sui suoi interessi e nella definizione di Bill Clinton che pensa a «io, io e io» e Kamala Harris che pensa ai bisogni della gente. Nella sua vita, ha detto Kamala Harris, «ho avuto un solo cliente, la gente, Trump invece ha avuto solo se stesso». È questo il dualismo che ha segnato la Convention e che Kamala nel suo intervento ha sostanziato parlando di come sarebbe un suo mandato presidenziale al confronto con quello di Trump.
«Sappiamo come sarebbe un secondo mandato di Trump. È tutto spiegato nel Project 2025. Per molti versi, Donald Trump è un uomo poco serio. Ma le conseguenze del ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca sono estremamente gravi. Considerate il potere che avrà, soprattutto dopo che la Corte Suprema degli Stati Uniti ha appena stabilito che sarebbe immune da procedimenti penali».
I temi che ha toccato per tracciare le due visioni sono l’aborto, le armi, l’immigrazione, l’economia e la politica estera e di sicurezza. «Noi rafforzeremo la leadership globale, Trump ha incoraggiato l’invasione degli alleati. Da comandante in capo starò solidamente dalla parte dell’Ucraina e con gli alleati della Nato».
Spinoso il tema Gaza invece anche alla luce del diniego della DNC di garantire uno slot sul palco per un attivista pro palestinese. Harris ha ribadito il sostegno e il diritto alla difesa di Israele, «garantirò gli strumenti perché si possa difendere», ma ha sottolineato con enfasi che ora «è tempo di avere un cessate il fuoco» e che «troppe persone innocenti sono morte«. Qualche sparuto slogan urlato dagli spalti (Free Palestine) è stato subito soffocato dagli applausi.
La quarta serata è stata anche all’insegna del patriottismo. Un tema che i democratici hanno scelto di non lasciare alla retorica dell’America first di Trump. I delegati hanno sventolato bandiere a stelle e strisce e ballato e cantato sul ritmo e le parole di Born in the Usa di Bruce Springsteen e Living in America di James Brown. Adam Kinzinger, ex deputato repubblicano cui i democratici hanno concesso uno spazio nel prime time ha rimarcato: «Cari repubblicani vi dico che i democratici sono tanto patriottici quanto voi».
Mercoledì sera Tim Walz aveva detto: «Noi amiamo questo Paese». E ieri sera Kamala – è il terzo elemento del suo discorso – ha ribadito questo amore. «Cari americani, amo il nostro Paese con tutto il cuore. Ovunque vada, in chiunque incontri, vedo una nazione pronta ad andare avanti. Pronta per il passo successivo, nell'incredibile viaggio che è l'America». E ancora: «Vedo un’America in cui ci aggrappiamo alla convinzione intrepida che ha costruito la nostra nazione. Che ha ispirato il mondo. Che qui, in questo paese, tutto è possibile. Niente è fuori portata».
Perché, ha concluso, è il «nostro turno di fare quello che altre generazioni hanno fatto prima di noi». L’America resta nel Kamala-Pensiero il luogo dell’accoglienza, dell’eccezionalità e dell’opportunità. Il luogo in cui lei, figlia di due immigrati della middle class con il sogno – a portata di mano della presidenza – le fa dire: «sento il privilegio e l’orgoglio di essere americana». Applausi, bandiere e palloncini. La stagione delle Convention va in archivio. Ora per le «due America» si apre quella del duello tv il 10 settembre.